Whistleblowing, il potere della libertà. Intervista ad Andrea Franzoso

Andrea Franzoso, ex dipendente delle Ferrovie Nord Milano, nel 2015 ha denunciato le “spese pazze” dell’allora presidente Norberto Achille. A seguito della denuncia, è stato costretto a lasciare il posto di lavoro. Ha raccontato la sua esperienza nel libro Il disobbediente (PaperFIRST 2017). In seguito ha pubblicato il libro per ragazzi #disobbediente! Essere onesti è la vera rivoluzione (De Agostini 2018). 
Gli abbiamo chiesto di spiegarci in che cosa consiste la pratica del whistleblowing, quali sono i suoi risvolti etici e legislativi e che cosa dice questo fenomeno della cultura e del costume della nostra società. L’intervista integrale, a cura di Mauro Bossi SJ, è pubblicata sul numero di aprile di Aggiornamenti Sociali, qui la parte iniziale.
 
 
 
D. La parola inglese whistleblower è entrata a far parte del nostro lessico per indicare una realtà che non sappiamo definire altrimenti: mi riferisco ai casi in cui un dipendente, all’interno di una società privata o della Pubblica Amministrazione, denuncia un reato che vi è stato commesso. Non denuncia genericamente “qualcosa” ma anche “qualcuno”: un collega o un superiore. Questo suscita scandalo in alcune persone, quasi si trattasse di un tradimento. Che differenza c’è fra whistleblowing e delazione? Perché non è la stessa cosa?
 
R. Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro e interrogarci sul senso stesso del patto sociale, che noi italiani tendiamo a interpretare come l’intersezione di rapporti e di interessi privati. Secondo questa logica, la denuncia rompe il legame sociale. Ma è una logica sbagliata, che si basa sulla privatizzazione dello spazio pubblico e sulla amoralità dei rapporti di lavoro. Lo spazio pubblico appare come un campo moralmente neutro, uno spazio vuoto, che viene occupato da gruppi politici o confessionali e sfruttato per interessi di parte. In questa visione delle cose, l’etica pubblica, in senso stretto, non esiste, perché l’unico obbligo è la fedeltà al proprio gruppo.
 
Invece, dalla nostra cultura latina ci proviene l’idea dello spazio pubblico come “amicizia sociale”, con tutto lo spessore etico di tale valore. Pensiamo a quanto afferma Cicerone nel De amicitia: gli amici sono lo specchio morale di noi stessi. Se sei amico di un ladro, diventi un ladro. Perciò se il mio amico ruba, io devo interrompere questo rapporto per salvare la mia coscienza. Qui alcuni si scandalizzano: «come puoi tradire un amico?». Non hanno colto il punto che l’amicizia in senso proprio, l’amicizia come valore, non come semplice convergenza di interessi e utilità, può esistere solo in un quadro di vita virtuosa. Questo tipo di amicizia costruisce un certo modo di vivere i rapporti pubblici e, di conseguenza, plasma la società. Penso che la questione culturale sia fondamentale. Norberto Bobbio diceva che la legge fa cultura, in quanto contribuisce a formare una mentalità. 
 
La legge sul whistleblowing [Legge 30 novembre 2017, n. 179, N.d.R.], in effetti, solleva un problema culturale italiano, un’inconfessabile cultura dell’omertà diffusa in tutto il Paese, e contribuisce a cambiarla. Dobbiamo affrontare dei cambiamenti di mentalità. Trovo notevole il fatto che, in italiano, non esista nemmeno una parola che traduce il concetto, come se non ci appartenesse. Ancora oggi, invece, spesso i media parlano di whistleblowing con un linguaggio stigmatizzante: chi denuncia è chiamato “gola profonda”, “talpa”, addirittura “spia”. Troviamo esempi di questo linguaggio anche su testate a diffusione nazionale. È evidente come tutto questo formi un clima culturale favorevole al silenzio. Queste narrazioni vanno rovesciate, affermando il valore civile della denuncia.
 
Un altro fenomeno inquietante è la manipolazione, in certi ambienti, del linguaggio etico e religioso cristiano: l’amministratore disonesto è rappresentato come il “fratello che sbaglia”, al quale è garantito il perdono. Ma è del tutto abusivo usare concetti nobili come “misericordia” e “perdono” per passare un colpo di spugna su comportamenti criminali. Il Vangelo non ha mai inteso sdoganare la corruzione.
 

CONTINUA A LEGGERE

 
 
 
4 aprile 2019
Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza