Vivere il Natale da cristiani in Medio Oriente

I cristiani di molti Paesi del Medio Oriente si preparano a festeggiare un Natale in condizioni di progressiva marginalità e, spesso, colpiti da aperte persecuzioni e discriminazioni. Ma quali sono, a livello storico, i tratti caratteristici della presenza dei cristiani in queste terre? Se si va al di là di formule conosciute, e comode, si scopre una ricca pluralità di tradizioni ecclesiali cresciute anche sotto l’islam. Qual è stata la loro condizione giuridica sotto il potere musulmano nel corso dei secoli? E quale può essere il contributo dei cristiani alla luce dell’attuale situazione in Medio Oriente? Sono i temi di un articolo in uscita sul numero di gennaio 2016 di Aggiornamenti Sociali, firmato da Antoine Courban, professore all’Università di Saint-Joseph (Beirut) e membro del Centre Georges Canguilhem d’Histoire et Philosophie des Sciences. 

Qui riportiamo il paragrafo finale. L'articolo integrale sarà disponibile anche online, per gli abbonati, a partire dal 2 gennaio. I non abbonati posso acquistare il pdf del singolo numero.


Dal momento dell’apparizione dell’ISIS nel 2013, con l’intervento militare russo nel giugno 2014, i flussi migratori verso l’Europa, gli attentati terroristici in Francia, Medio Oriente, Egitto, Africa e altrove, il Medio Oriente è divenuto il teatro di un conflitto mondiale di rilevanti dimensioni. 

All’inizio del conflitto siriano era facile camuffare gli obiettivi strategici più importanti dietro argomenti propagandistici. Dal punto di vista occidentale, la situazione siriana si riassumeva nella sopravvivenza di alcune minoranze religiose, cristiane e non. Oggi si stima che circa 10 milioni di siriani, a fronte di una popolazione complessiva di 24 milioni, sono sfollati, la metà all’interno della Siria, il resto all’estero. Su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti, il Libano è piegato sotto il peso di 1,5 milioni di rifugiati ufficiali siriani registrati dall’UNHCR, senza contare i rifugiati irregolari. A queste cifre si aggiungono i 400mila rifugiati accolti in Palestina. Questa situazione pone problemi inestricabili, che vanno ben al di là delle capacità del Libano. Più del 90% dei rifugiati sono di confessione musulmana sunnita e facile preda per i reclutatori delle diverse reti di islamismo radicale. Il sostegno al regime di Damasco aumenta le adesioni sunnite all’ISIS, considerata l’unica via di uscita per liberarsi della loro frustrazione e vendicarsi di tutto quello che hanno perso.

Il grave conflitto in Medio Oriente non può ridursi alla scelta impossibile tra un regime dittatoriale e sanguinario e una realtà criminale costituita dall’ISIS. Se le Chiese mediorientali hanno sempre sostenuto il regime di Damasco per paura di ogni cambiamento o per la volontà inconsapevole di conservare i privilegi acquisiti al tempo degli ottomani, è oggi chiaro che sono chiamate a essere testimoni di una terza possibilità: vivere insieme. Già nel II secolo, l’autore anonimo della Lettera a Diogneto scriveva: «Ciò che nel corpo è l’anima, i cristiani lo sono nel mondo». Niente distingue i cristiani dai loro concittadini, se non la loro visione della dignità della persona umana e dei valori morali. Numerosi prelati, fedeli alla dottrina politica orientale della “sinfonia dei due poteri”, hanno ritenuto utile parteggiare per il regime autoritario esistente in Siria per paura o per desiderio di protezione. 

In questo contesto, i cristiani mediorientali si richiudono su se stessi, abbandonando il loro tradizionale atteggiamento di apertura e fiducia in sé, che li contraddistingueva sin dalla conquista del Medio Oriente da parte dei musulmani. Le reti terroristiche devono essere di certo vinte nel quadro di una guerra e non in quello di una crociata, ma numerosi cristiani orientali vedono nell’intervento russo una guerra santa, una visione che non corrisponde alla lunga tradizione orientale, anche quella del tempo delle crociate medioevali. 

Il vecchio ordine che muore è quello degli individui inglobati nei corpi confessionali. Il nuovo ordine che le Chiese cristiane potrebbero contribuire a far nascere in Medio Oriente è quello di un vivere insieme fondato sulla testimonianza dell’umanesimo integrale, dove l’uomo non è né schiavo né rivale di Dio. Questo nuovo ordine del futuro si caratterizza per le reti di cittadinanza tra loro articolate, composte da uomini, da soggetti e non oggetti della storia. 

Tale sarebbe il senso delle parole, spesso pronunciate, da san Giovanni Paolo II: «Il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente!» (1989). 

23/12/2015
Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza