Dall’inizio della pandemia, tra lockdown, timide aperture e ritorni indietro,
viviamo in uno stato di continua incertezza, con tante restrizioni
rispetto alla precedente normalità. Questa situazione quanto pesa sui
più giovani?
In questi mesi i giovani si sono confrontati con cambiamenti profondi,
che hanno inciso sul copione della vita che stavano scrivendo. Sono stati
privati di ingredienti essenziali nell’età evolutiva, necessari per imparare a
maneggiare la grammatica di base della crescita, come la socializzazione,
la possibilità di vivere varie esperienze all’interno delle comunità di appartenenza
o di sperimentare la pluralità di stili relazionali ed educativi degli
adulti che incontrano.
È un tempo di fatica e di sacrificio per loro, come attesta l’aumento
degli accessi ai pronti soccorsi psichiatrici e di salute mentale dell’età evolutiva,
per problemi soprattutto di ansia, frustrazione, demotivazione, de
pressione, autolesività. Ma se vissuto
con il giusto atteggiamento,
questo periodo può trasformarsi
in un’opportunità, come è successo
durante il primo lockdown.
Potremmo vedere questo tempo
come un enorme progetto di responsabilità
collettiva promosso
su scala globale, dove il sacrificio
di ciascuno di noi genere un
valore per la comunità allargata,
per i soggetti più vulnerabili e
deboli. Questo dipende molto
dal livello di significazione, di
dialogo e di relazione a cui i ragazzi
giungono, grazie agli scambi tra loro e con gli adulti a loro fianco.
Tra gli ingredienti della crescita più compromessi in questo momento
vi sono senz’altro la dimensione della corporeità e l’esperienza del contatto
fisico, fondamentali sia per i più piccoli sia per gli adolescenti. Che
impatto può avere su di loro questa sorta di congelamento del corpo e
delle manifestazioni fisiche nella sfera delle relazioni?
Il nostro equilibrio e benessere dipende da una interazione dinamica tra
tre dimensioni: mente, corpo e relazioni. In questo tempo, che ha fortemente
impoverito le dimensioni del corpo e delle relazioni, tutto passa per
la mente, chiamata a essere la principale risorsa per far fronte all’attuale
complessità. Tuttavia, se si è nell’età evolutiva, la mente non può svolgere
adeguatamente questa funzione, perché è ancora in formazione. E per la
“costruzione” della mente è cruciale l’esperienza senso-motoria: esplorare il
mondo, toccare, muoversi permettono a un giovane di apprendere quanto
c’è fuori di lui, per poi farlo proprio con l’assimilazione e l’accomodazione,
come sosteneva lo psicologo svizzero Jean Piaget.
In questo momento, la crescita dei bambini e degli adolescenti è
decorporeizzata: devono fare tutto tenendo il corpo fermo, recluso,
compresso. Le conseguenze sono pesanti, perché viene meno un elemento
chiave per la crescita: la dimensione attiva-operativa dell’esplorazione. Non
si può esplorare stando fermi. Inoltre, il corpo non è solo un contenitore,
ma è un contenuto della crescita, dato che impariamo il mondo attraverso
la prossimità fisica e la condivisione dei gesti nel quotidiano. Infine, il
corpo è anche un grandissimo regolatore emotivo. Nell’età evolutiva noi
siamo molto più emozione che ragione, ma come gestire l’emozione accumulata?
Il ruolo svolto dall’attività corporea quale fattore di protezione è
fondamentale. Le energie negative, la fatica, lo stress collegato alla crescita
sono scaricati in una corsa, in una partita di calcio. Così il giovane trova
nel corpo un sostegno insostituibile per rigenerare un sano equilibrio.
Come società non siamo stati sufficientemente attenti a questi aspetti.
Avremmo potuto ricorrere di più alle potenzialità offerte dall’outdoor
education, una opzione compatibile con le precauzioni oggi necessarie,
perché utilizza i luoghi all’aperto come spazi di vita, apprendimento ed
esplorazione. Ma, a causa della velocità con cui si è dovuto far fronte
alla pandemia, si è adottata la soluzione più facile di immobilizzare
il corpo nello spazio ristretto dello schermo, che obbliga a stare fermi
e impoverisce la multidimensionalità. Questa scelta è stata penalizzante [continua]
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