Vercelli e richiedenti asilo: cattive notizie dalla provincia italiana

Arrivano cattive notizie dalla provincia italiana. È una storia a suo modo esemplare quella che si sta consumando ormai da tempo nella mia Vercelli, 47.000 abitanti, sull’asse Milano-Torino.

Il rifiuto di accogliere le persone in cerca di asilo, rispettando diritti umani e regole di elementare solidarietà, può assumere molti volti. C’è quello dei campi di Lesbo e dei respingimenti al confine greco, quello delle navi lasciate in mare senza indicare porti di attracco, quello pseudo-sanitario del presidente siciliano Musumeci. Ma c’è anche quello silenzioso delle omissioni e dello scarica-barile fra istituzioni, che invariabilmente getta il fardello sulle spalle del volontariato. A Vercelli da mesi ogni tanto arrivano dei giovani per chiedere asilo in Prefettura, soprattutto pakistani e afgani. Piccoli numeri in realtà, dieci o dodici, ma tanto basta per attivare una semplice misura preventiva: per diversi giorni non vengono ricevuti, o vengono messi alla porta, e sono lasciati a bivaccare sotto gli alberi di una piazza del centro storico. Anche sotto la pioggia. Solo qualche volontario arriva ogni tanto a portare cibo, vestiti e coperte, qualcuno a volte offre anche ospitalità per la notte alle persone più sofferenti, mentre i cittadini si lamentano per il decoro e i padroni di cani per il fastidio arrecato alle passeggiate dei loro amici a quattro zampe.

Finalmente ad agosto un cittadino benemerito, dopo essersi prodigato durante la pandemia, ha sollevato il caso, e qualcosa si è mosso. Soprattutto il volontariato organizzato e alcune sigle dell’attivismo politico. Si è formata una rete, “Vercelli solidale”, che ha cominciato a pungolare le istituzioni e a fornire un’assistenza più organizzata. Dopo diversi giorni passati all’addiaccio, assistiti soltanto dai volontari a rischio della propria sicurezza, i richiedenti asilo sono stati finalmente identificati e avviati al percorso di accoglienza. Alcuni però sono risultati positivi al COVID-19, seminando apprensione tra i volontari coinvolti.

Ma a settembre sono arrivati nuovi richiedenti, e lo spettacolo dell’indifferenza è tornato in scena. Il Comune dichiara che l’accoglienza dei richiedenti asilo non gli compete. La Prefettura che non ha posti disponibili. L’Asl che non può effettuare i tamponi anti-COVID perché le persone da controllare non dispongono del codice fiscale. Quelle malate – e siamo al paradosso - non vengono prese in carico tempestivamente per mancanza di strutture idonee, lasciandole così all’addiaccio, o alle cure dei volonterosi, e rendendole un fattore di rischio per i compagni di sventura, ma anche per volontari e cittadini.

La ragione sottostante, da quel che trapela, è tanto semplice quanto sconfortante: se accogliamo, ne arriveranno altri. Si consuma così, nella civile e ordinata provincia piemontese, uno scarica-barile fra istituzioni e territori. Ritardando la presa in carico, rendendo più lunga e pesante l’attesa anche soltanto di essere ricevuti, si spera che i candidati alla protezione internazionale vadano a spostare la loro dolente umanità in un’altra città, e che non ne arrivino di nuovi. Se proprio qualche gruppo caritatevole ci tiene, ci pensino loro a fornire assistenza e se ne assumano la responsabilità. Siamo quasi al “portateli a casa vostra” dei siti nazional-populisti.

La buona notizia, anch’essa emblematica, è la formazione di un’alleanza locale tra gruppi e sigle solitamente frammentate: un’alleanza attiva nella solidarietà concreta, ma anche coraggiosa nel denunciare l’inazione delle istituzioni pubbliche preposte. Disposta a collaborare, ma non a sostituirsi allo Stato. E qualche faticoso risultato sta emergendo: col contagocce, alcuni casi stanno cominciando a trovare risposta. Ma altri arrivano e rimangono all’addiaccio, anche in questi ultimi giorni, malati di scabbia e da monitorare per il COVID, sprovvisti di cibo.

Resta malgrado tutto la speranza che da una storia triste di sofferenza imposta, possa nascere il frutto inatteso di una nuova solidarietà, insieme civica e fraterna.
21 settembre 2020
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