Un'agenda per il diritto al lavoro dignitoso

Chiesa cattolica e Organizzazione internazionale del lavoro si muovono da lungo tempo in sintonia perché l’occupazione e i diritti sul lavoro siano considerati dalla comunità internazionale come il percorso privilegiato nella lotta alla povertà e per una globalizzazione più giusta. Per questo collaborano nel promuoverli, mentre alle Nazioni Unite si definiscono gli Obiettivi di sviluppo per il post-2015.
Fascicolo: novembre 2014
L’espressione decent work, che in inglese assume un’accezione più estesa di “lavoro dignitoso” perché sottolinea la dignità intrinseca di ogni persona, sta entrando con forza nel dibattito pubblico internazionale. L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), la più antica agenzia specializzata dell’ONU, ne fornisce una definizione che è sintesi delle aspirazioni delle persone nella propria vita lavorativa. Decent work significa svolgere un lavoro produttivo e che garantisca un equo compenso, sicurezza sul posto di lavoro e protezione sociale per le famiglie, migliori prospettive di crescita personale e integrazione sociale, libertà di esprimersi, organizzare, partecipare a discussioni che riguardano la propria vita, pari opportunità per donne e uomini; una tematica che sta a cuore anche alla Chiesa, che ne ha fatto un argomento centrale della sua dottrina sociale, come vedremo in questo contributo.

Il concetto di decent work unisce in sé il diritto al lavoro e i diritti sul lavoro, definiti in otto Convenzioni dell’OIL approvate dalla stragrande maggioranza degli Stati: sull’organizzazione dei lavoratori (1948), la contrattazione collettiva (1949), contro il lavoro forzato (1930, 1957), contro le discriminazioni (1951, 1958) e contro il lavoro minorile (1973, 1999). Nel 1998 la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali del lavoro ha riassunto questo cammino.

Dalla fine degli anni ’90 il riconoscimento della dignità del lavoro è diventato una priorità per l’OIL. Nel mondo del lavoro le crescenti disuguaglianze scaturite dalla globalizzazione hanno avuto effetti dirompenti, provocando, da un lato, il declino del lavoro dipendente formale e, dall’altro, un aumento degli impieghi informali nel Nord del mondo e di posti di lavoro a basso costo (e limitate tutele) nelle nuove economie emergenti orientate all’esportazione: aumento delle ore di lavoro, riduzione dei salari ed erosione del sistema previdenziale si sono manifestati in molti Paesi, non solo in Italia.

Nell’era della globalizzazione l’OIL ha riaffermato i propri principi con la Dichiarazione sulla giustizia sociale e per una globalizzazione giusta del 2008, in cui ribadisce che occupazione, protezione sociale, dialogo sociale e diritti nel lavoro sono obiettivi strategici tra loro interconnessi, e che i Paesi sono tenuti a perseguire. È l’Agenda per il decent work, che assume, visto il gran numero di Stati firmatari, un valore universale.

Il contributo delle Nazioni Unite

Nel 2015 le Nazioni Unite valuteranno i risultati degli otto Obiettivi del Millennio fissati nel 2000, mentre tra i Paesi membri e gli organismi internazionali è in corso da due anni la riflessione sui nuovi obiettivi per il periodo 2015-2030. Una vasta indagine globale condotta dall’ONU sulle future priorità ha mostrato che la creazione di posti di lavoro si colloca fra le prime tre della lista per i consensi raccolti (cfr <http://vote.myworld2015.org>). Secondo l’OIL ci sono globalmente più di 200 milioni di disoccupati, di cui 73 milioni giovani. L’attenzione però dovrebbe rivolgersi non solo al numero di lavoratori, ma anche alla qualità dell’impiego, poiché la crisi economico-finanziaria ha messo ancora più in luce fenomeni di crescita senza equità, mentre si diffonde la richiesta di sicurezza sociale in un contesto di crescita del lavoro informale e milioni di lavoratori con le loro famiglie restano intrappolati sotto la soglia di reddito di 2 dollari al giorno.

Se, come affermano alcune stime, occorre creare 470 milioni di posti di lavoro nei prossimi quindici anni per stare al passo con la crescita della popolazione attiva, quale sarà la qualità di questo lavoro? Quali reali opportunità esisteranno per emergere da condizioni di indigenza? La risposta richiede di affrontare i problemi della precarietà e delle disuguaglianze di reddito che stanno indebolendo le protezioni sociali costruite nei decenni scorsi in Occidente e che non ne favoriscono lo sviluppo nel resto del mondo.

L’OIL si è dunque impegnata perché il lavoro sia in cima all’agenda internazionale per lo sviluppo. Il decent work come impegno per i Governi, catalizzatore di politiche di giustizia e promozione umana, diventa allora un termine ampio per indicare buona qualità dell’impiego e protezione sociale. Per l’OIL occorre integrarlo in un quadro strategico socioeconomico più ampio possibile, per prevenire il declino, stimolando la crescita e dando forma a una globalizzazione equa.

Un Gruppo di lavoro aperto sullo sviluppo sostenibile (Open Working Group on Sustainable Development Goals, OWG-SDG) sta preparando le proposte, attualmente formulate in una “Bozza zero” (Zero draft), dove è indicato un lungo elenco di 17 obiettivi che hanno come orizzonte temporale il 2030. Alcuni si pongono sulla scia degli otto in scadenza, altri sono nuovi e rispecchiano le nuove priorità globali. L’OIL insiste per l’adozione dell’ottavo, relativo al decent work: «Promote sustained, inclusive and sustainable economic growth, full and productive employment and decent work for all» («Promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e lavoro dignitoso per tutti»). Solo tre degli otto Obiettivi del Millennio fissati nel 2000 sono stati pienamente raggiunti e altri in modo parziale, ma l’esperienza dimostra che laloro stessa definizione, comune a tutti i Paesi, offre una cornice in cui mettere a fuoco gli sforzi per lo sviluppo. Le priorità danno forza.

Il processo di definizione dei prossimi obiettivi di sviluppo, nonostante il peso preponderante dei Governi, è aperto e partecipativo e molti soggetti si sono mossi attivamente. Leader sindacali di ogni parte del mondo, coordinati dall’OIL, hanno definito in giugno proposte concrete per l’OWG. Lo stesso vale per l’Organizzazione internazionale degli imprenditori (IOE) e l’Alleanza internazionale delle cooperative (ICA). Nel 2007 la campagna «Decent Work, Decent Life» fu lanciata dalla Confederazione sindacale internazionale (ITUC) e dall’anno successivo il 7 ottobre è diventato la Giornata mondiale dedicata al decent work.

In questo spazio di partecipazione della società civile si inseriscono le Chiese – quella cattolica, in primis – la cui voce, anche per conto di chi non ha voce, ricerca nuovi canali di ascolto, a partire dai messaggi del Papa. Il 9 maggio, in Vaticano, di fronte all’influente Comitato esecutivo di alto livello che coordina il sistema delle Nazioni Unite, papa Francesco ha ricordato che lo sguardo, spesso silenzioso, di quella parte della famiglia umana che è messa da parte, deve portare a decisioni coraggiose con risultati immediati.

Chiesa e OIL: una collaborazione di lunga data

La Chiesa cattolica è direttamente impegnata per un accordo globale su un’agenda che accresca numero e qualità dei posti di lavoro, per stimolare i Paesi a concentrare l’attenzione politica e le risorse su aspetti cruciali che non sono stati affrontati in modo adeguato dagli Obiettivi del periodo 2000-2015.

Tale impegno si colloca sulla scia di una collaborazione tra la Santa Sede e l’OIL che non ha equivalenti con altre agenzie dell’ONU. Fondata a Ginevra nel 1919, nel quadro della Società delle Nazioni, l’OIL già negli anni ’20 aprì canali di collaborazione con la Santa Sede, stabilendo contemporaneamente rapporti anche con il mondo protestante, attraverso il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) che ha sede nella città svizzera, e allargò lo spazio di collaborazione con gli organismi religiosi. Con la decolonizzazione, nel secondo dopoguerra, l’OIL fu capace di mettersi in relazione anche con i non cristiani, trovando specialmente nel mondo islamico, ebraico e buddhista interlocutori sempre più interessati a cercare nei valori fondanti dell’Organizzazione orizzonti comuni tra persone di diverse fedi.

Negli ultimi anni seminari organizzati in diverse città del mondo dall’OIL e dal CEC hanno studiato le prospettive spirituali e di fede legate al decent work e approfondito il confronto interreligioso sulla giustizia sociale, ma è nella Chiesa cattolica che l’Organizzazione trova un interlocutore fondamentale. Lo ha ricordato papa Francesco in un messaggio all’ultima assemblea dell’OIL: «L’insegnamento della Chiesa si pone a sostegno delle iniziative dell’OIL che intendono promuovere la dignità della persona umana e la nobiltà del lavoro».

L’opposizione all’idea che il lavoro sia una merce, espressa nella Dichiarazione di Filadelfia del 1944 dell’OIL, fa eco a quanto Pio XI aveva ribadito nel 1931 nella Quadragesimo anno (n. 84). La riflessione strutturata della dottrina sociale della Chiesa sul lavoro, antica più di un secolo, proseguita da Giovanni XXIII nella Mater et magistra (1961) e da Giovanni Paolo II nella Laborem exercens (1981), ha nutrito nel tempo l’opera dell’OIL. Proprio nella Laborem exercens il Papa insisteva su un dato etico fondamentale: «Il lavoro […] è non solo un bene “utile” o “da fruire”, ma un bene “degno”, cioè corrispondente alla dignità dell’uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce». «Il lavoro – specifica il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (CDSC, n. 287), esplicitando la tradizione personalista che pone l’uomo al centro della creazione – ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona». Nel corso degli anni i documenti papali hanno anche intrecciato i tradizionali temi del lavoro con quelli dello sviluppo umano, in una dinamica di reciproco scambio.

Nel 2000, invitato da Giovanni Paolo II, l’allora direttore generale dell’OIL, Juan Somavía, parlò davanti a 250mila persone riunite per il Giubileo dei lavoratori e illustrò l’Agenda per il decent work nel XXI secolo. Cinque anni dopo, presentando all’Università Lateranense il rapporto The challenge of a fair globalization, frutto di tre anni di lavoro di un’importante commissione dell’OIL, Somavía (2005) ribadiva la necessità di rendere il decent work un obiettivo globale. «Mentre nel corso degli anni la Chiesa cattolica ha arricchito il suo insegnamento sociale, abbiamo sviluppato la cornice del diritto internazionale per una società migliore, costruita, attraverso il dialogo tripartito, sull’ideale del lavoro che diventi sempre più dignitoso e disponibile per tutti». Tale incoraggiamento da parte della Santa Sede all’indirizzo dell’OIL è ben presente a Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, laddove spiega che cosa significhi la parola «decente» applicata al lavoro (CV, n. 63).

Rilancio cattolico

«Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto – scrive papa Francesco nella Evangelii gaudium nel novembre 2013 –. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un “decoroso sostentamento”, ma che possano avere “prosperità nei suoi molteplici aspetti”. Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita» (EG, n. 192).

Da Cagliari, nel settembre 2013, dove ha definito il lavoro sorgente di dignità, a Terni, di fronte agli operai delle acciaierie, dove ha parlato di solidarietà umana che assicura a tutti la possibilità di svolgere un’attività lavorativa dignitosa, papa Francesco ha costantemente invitato tutte le forze sociali alla collaborazione per il bene comune. La lotta alla povertà, che nelle parole e nei gesti di questo Papa ha avuto richiami così espliciti, trova un nuovo slancio in tante realtà cristiane.

La percezione che il decent work possa realmente catalizzare l’impegno multiforme per la giustizia e la difesa degli emarginati ha portato una trentina di organizzazioni internazionali di ispirazione cattolica a sottoscrivere, nel giugno 2013, la Dichiarazione per il lavoro dignitoso e l’agenda per lo sviluppo dopo il 2015, che individua nell’occupazione giovanile e nel lavoro dei migranti due ambiti prioritari di attenzione e sostiene l’OIL nel suo sforzo per inserire il decent work nel quadro di riferimento post-2015. In prima linea per questo rilancio è il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che il 29 e 30 aprile scorsi a Roma ha organizzato insieme all’OIL un seminario di studi sul decent work, nella convinzione che esso sia «la chiave essenziale di tutta la questione sociale».

Il seminario ha riunito una cinquantina di delegati di 22 Paesi, membri di UNIAPAC (imprenditori cattolici), IYCW (giovani lavoratori cristiani), MMTC (Movimento mondiale dei lavoratori cristiani), IMCSC (studenti cattolici), ICMC (Commissione per le migrazioni), Pax Romana, Kolping internazionale, Caritas e altre realtà impegnate su più fronti con le persone vulnerabili. L’incontro è stato un’occasione di conoscenza e di scambio di buone pratiche nate da innumerevoli esperienze sul campo, mettendo a confronto organismi impegnati su temi che si intersecano: giovani lavoratori, migranti irregolari, sfollati interni, categorie vulnerabili come i lavoratori marittimi o quelli dediti all’assistenza domiciliare. Una moltitudine di soggetti colpiti da forme di sfruttamento, con cui tante associazioni cattoliche vengono a contatto in ogni Paese: 5,7 milioni di minori sono vittime di lavoro coatto, servitù domestica, matrimoni forzati e forme di asservimento basate sulle caste. «Sono forme più sottili di schiavitù – ha denunciato il 9 settembre scorso al Consiglio per i Diritti umani di Ginevra il rappresentante vaticano mons. Silvano Tomasi – e meritano un’attenzione specifica».

L’insegnamento sociale della Chiesa, come ha ribadito il card. Peter Turkson, che presiede il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, è pertinente rispetto agli obiettivi per il post-2015. Da questa consapevolezza è scaturita una strategia per spingere il decent work in cima all’agenda per lo sviluppo dell’ONU. Secondo questa road map approvata a Roma, non possono restare senza risposta le sofferenze che derivano dalle strutture ingiuste, da forme di lavoro precario e scarsamente remunerato, dal traffico di esseri umani e dal lavoro forzato, dalle diffuse forme di disoccupazione tra i giovani e dalle migrazioni non volontarie. L’obiettivo è dunque quello di portare queste istanze presso i rappresentanti dei Paesi che negoziano il nuovo quadro, perché l’accordo tra Governi nel definire le priorità nella cooperazione multilaterale orienterà scelte politiche e finanziamenti e avrà influenza su milioni di persone.

La 69ª Assemblea generale dell’ONU, che si è conclusa il 1º ottobre, ha dibattuto i temi del post-2015 in vista della dichiarazione universale prevista per settembre del prossimo anno. Tuttavia, come riferisce Joseph C. Donnelly, delegato permanente di Caritas Internationalis presso le Nazioni Unite, il tema del decent work in questa occasione, anche se non è stato ignorato, non ha trovato ancora un’attenzione adeguata. «Molte organizzazioni della società civile – spiega – si fanno portavoce di questa realtà, di un bisogno disperato e diffuso di lavoro, ma non hanno ancora forza sufficiente per essere ascoltate e le risposte alle richieste dei giovani disoccupati sembrano ancora insufficienti».

Le parole forti che papa Francesco ha rivolto in maggio al Comitato esecutivo dell’ONU sono risuonate il 26 settembre nel discorso del Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, all’Università di Fordham, l’ateneo dei gesuiti di New York: promuovere tutti insieme una vera mobilitazione etica mondiale che, al di là di ogni differenza di credo o di opinione politica, diffonda e applichi un ideale comune di fraternità e di solidarietà, specialmente verso i più poveri e gli esclusi. Il percorso attraverso il decent work è delineato. Resta ancora un anno per influenzare chi decide gli indirizzi dello sviluppo globale.

RISORSE

Magistero

CV = BENEDETTO XVI, enciclica Caritas in veritate, 2009.

EG = FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii gaudium, 2013.

LE = GIOVANNI PAOLO II, enciclica Laborem exercens, 1981.

MM = GIOVANNI XXIII, enciclica Mater et magistra, 1961.

QA = PIO XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931.

RN = Leone XIII, lettera enciclica Rerum novarum, 1891.

CDSC (2004) = PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.

Testi

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BHOWMIK S. K. (2013) (ed.), The State of Labour. The Global Financial Crisis and Its Impact, Routledge India, London-New York-New Delhi.

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OPEN WORKING GROUP ON SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOALS (2014), Zero Draft, in <http://sustainabledevelopment.un.org/owg.html>.

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PALLOTTINO M. (2013), «Un’agenda per lo sviluppo: la cooperazione dopo gli Obiettivi del Millennio», in Aggiornamenti Sociali, 6-7, 475-486.

PAPA FRANCESCO (2014a), Discorso ai dirigenti e agli operai delle acciaierie di Terni e ai fedeli della diocesi di Terni-Narni-Amelia, 20 marzo, in <www.vatican.va>.

— (2014b), Discorso ai membri del Consiglio dei capi esecutivi per il coordinamento delle Nazioni Unite, 9 maggio, in <www.vatican.va>.

— (2013), Visita pastorale a Cagliari. Incontro con il mondo del lavoro, 22 settembre, in <www.vatican.va>.

PAROLIN P. (2014), Address at Fordham University, New York, 26 settembre, <www.centesimu sannus.org/media/2inuu1412320318.pdf>.

PECCOUD D. (2005) (ed.), Philosophical and spiritual perspectives on Decent work, ILO Publications, Geneva.

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE (2002), Work as Key to the Social Question. The Great Social and Economic Transformations and the Subjective Dimension of Work, Libreria Editrice Vaticana, Roma.

SOMAVÍA J. (2005), The Challenge of a Fair Globalization, Roma, <www.ilo.org/public/english/bu reau/dgo/speeches/somavia/2005/rome.pdf>.

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