Il movimento Ultima Generazione
(UG) dal 2022 si è fatto conoscere
dall’opinione pubblica tramite azioni
controverse e di grande impatto
mediatico, come i blocchi stradali
o l’imbrattamento di monumenti.
Questo libro, pubblicato a firma del
movimento stesso, comprende testimonianze
di attivisti e documenti
collettivi e permette di andare oltre
la cronaca, per comprendere motivazioni,
strategie, storia e ideali
dell’organizzazione. Questa recensione
richiede forse una premessa
o, meglio, un coming out: negli ultimi
anni ho partecipato agli scioperi
globali per il clima, pubblicato
articoli e fatto conferenze sul tema,
e sento una profonda consonanza con le aspirazioni dei movimenti
per la giustizia climatica; al tempo
stesso, ho sempre avvertito una distanza
critica rispetto al tipo di azioni
messe in atto da UG. Ho letto
perciò il volume cercando di mettere
in discussione i miei presupposti,
e la mia valutazione è inscindibile
da quella delle prassi concrete del
movimento. Si tratta infatti di un
libro scritto agendo e riflettendo progressivamente sull’esperienza
maturata di azione in azione.
Il primo punto forte del libro è il
richiamo all’urgenza di agire, ancora
più incisivo in quanto espresso
da persone “comuni”, arrivate
all’attivismo con poche o senza
esperienze precedenti. La gravità
della crisi climatica interpella tutti
e anche chi non condivide le scelte
del movimento è spinto a chiedersi
che cosa stia facendo, in prima persona,
per farvi fronte. L’appello
è ad agire insieme,
riappropriandosi del
senso di partecipazione,
vera anima
della democrazia.
In un momento
di crisi delle istituzioni
democratiche,
l’esigenza di
un’azione collettiva
per il clima è anche il
luogo dove ripensare i
termini della partecipazione
e rielaborarne le motivazioni.
Il libro presenta riflessioni interessanti
sull’organizzazione interna
di un movimento nonviolento: si
evidenziano i limiti di un modello
strettamente orizzontale, che tende
a rendere implicite le inevitabili dinamiche
di potere, e si cerca di realizzare
un modello ibrido, definito
high input, low democracy, basato
sulla distribuzione di responsabilità,
l’alternanza dei ruoli, la formazione
alla leadership e il ricorso alla
facilitazione di gruppo (cfr pp.
71-87). Altrettanto interessante è
l’attenzione alla formazione, allo
scopo di «costruire una comunità
basata sulla nonviolenza, che riesca
a gestire conflitto, cura, dolore e
sogno, i quattro pilastri del nostro
gruppo» (p. 56). Questa attenzione
è nella tradizione dell’attivismo
nonviolento, per il quale l’azione
politica è inscindibile da un percorso
di trasformazione personale e
comunitaria.
Ciò che suscita perplessità è la
scarsa lettura del contesto politico.
Al di là di qualche generico
riferimento all’inazione climatica
del Governo italiano, non si trova
alcuna valutazione o menzione dei
processi che stanno indirizzando
la governance
del clima, a livello
europeo e globale,
come il Green deal
e le Conferenze
ONU sui cambiamenti
climatici;
è perché queste
istituzioni non
risultano credibili?
In tal caso, quali soggetti
possono farsi carico
di una trasformazione
tanto urgente quanto complessa?
Questa ambiguità si riflette anche
in alcune strategie del movimento:
quando gli attivisti di UG occupano
una strada qualunque in un giorno
lavorativo, bloccando comuni cittadini,
chi e che cosa contestano?
Gli attivisti di UG hanno compreso
che la lotta ai cambiamenti
climatici rientra in conflitti enormi,
che devono essere abitati attraverso
le pratiche della nonviolenza e
testimoniano questa consapevolezza
con radicalità e coerenza. Che si
condividano o meno le scelte del
movimento, questo libro provoca
e dà materia per riflettere sulle
caratteristiche e le potenzialità dei
movimenti per la giustizia climatica.