Ultima generazione. Disobbedienza civile e resistenza climatica

Francesco D’Isa (ed.)
Edizioni Tlon, Roma 2024
Scheda di: 
Fascicolo: ottobre 2024

Il movimento Ultima Generazione (UG) dal 2022 si è fatto conoscere dall’opinione pubblica tramite azioni controverse e di grande impatto mediatico, come i blocchi stradali o l’imbrattamento di monumenti. Questo libro, pubblicato a firma del movimento stesso, comprende testimonianze di attivisti e documenti collettivi e permette di andare oltre la cronaca, per comprendere motivazioni, strategie, storia e ideali dell’organizzazione. Questa recensione richiede forse una premessa o, meglio, un coming out: negli ultimi anni ho partecipato agli scioperi globali per il clima, pubblicato articoli e fatto conferenze sul tema, e sento una profonda consonanza con le aspirazioni dei movimenti per la giustizia climatica; al tempo stesso, ho sempre avvertito una distanza critica rispetto al tipo di azioni messe in atto da UG. Ho letto perciò il volume cercando di mettere in discussione i miei presupposti, e la mia valutazione è inscindibile da quella delle prassi concrete del movimento. Si tratta infatti di un libro scritto agendo e riflettendo progressivamente sull’esperienza maturata di azione in azione.

Il primo punto forte del libro è il richiamo all’urgenza di agire, ancora più incisivo in quanto espresso da persone “comuni”, arrivate all’attivismo con poche o senza esperienze precedenti. La gravità della crisi climatica interpella tutti e anche chi non condivide le scelte del movimento è spinto a chiedersi che cosa stia facendo, in prima persona, per farvi fronte. L’appello è ad agire insieme, riappropriandosi del senso di partecipazione, vera anima della democrazia. In un momento di crisi delle istituzioni democratiche, l’esigenza di un’azione collettiva per il clima è anche il luogo dove ripensare i termini della partecipazione e rielaborarne le motivazioni.

Il libro presenta riflessioni interessanti sull’organizzazione interna di un movimento nonviolento: si evidenziano i limiti di un modello strettamente orizzontale, che tende a rendere implicite le inevitabili dinamiche di potere, e si cerca di realizzare un modello ibrido, definito high input, low democracy, basato sulla distribuzione di responsabilità, l’alternanza dei ruoli, la formazione alla leadership e il ricorso alla facilitazione di gruppo (cfr pp. 71-87). Altrettanto interessante è l’attenzione alla formazione, allo scopo di «costruire una comunità basata sulla nonviolenza, che riesca a gestire conflitto, cura, dolore e sogno, i quattro pilastri del nostro gruppo» (p. 56). Questa attenzione è nella tradizione dell’attivismo nonviolento, per il quale l’azione politica è inscindibile da un percorso di trasformazione personale e comunitaria.

Ciò che suscita perplessità è la scarsa lettura del contesto politico. Al di là di qualche generico riferimento all’inazione climatica del Governo italiano, non si trova alcuna valutazione o menzione dei processi che stanno indirizzando la governance del clima, a livello europeo e globale, come il Green deal e le Conferenze ONU sui cambiamenti climatici; è perché queste istituzioni non risultano credibili? In tal caso, quali soggetti possono farsi carico di una trasformazione tanto urgente quanto complessa? Questa ambiguità si riflette anche in alcune strategie del movimento: quando gli attivisti di UG occupano una strada qualunque in un giorno lavorativo, bloccando comuni cittadini, chi e che cosa contestano?

Gli attivisti di UG hanno compreso che la lotta ai cambiamenti climatici rientra in conflitti enormi, che devono essere abitati attraverso le pratiche della nonviolenza e testimoniano questa consapevolezza con radicalità e coerenza. Che si condividano o meno le scelte del movimento, questo libro provoca e dà materia per riflettere sulle caratteristiche e le potenzialità dei movimenti per la giustizia climatica.

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