Tra rumors e segreti: quello che sappiamo sul TTIP

I negoziati per la firma dell’Accordo transatlantico di libero scambio, noto come Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), sono in parte usciti dallo stretto riserbo che li circondava. Nel 2013 il Consiglio Europeo aveva dato alla Commissione il mandato di negoziare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, sottoponendolo però al segreto diplomatico. Ma l’estrema riservatezza per un accordo che prevede un mutamento decisivo del commercio mondiale, è stata colta come un furto di democrazia che ha portato alla mobilitazione della società civile. 

Così, finalmente, dall’ottobre 2014 è stato reso possibile anche a soggetti esterni accedere ai documenti sul negoziato in corso tra Unione Europea e Stati Uniti per la creazione di una zona di libero scambio, da istituire con il TTIP. In realtà, l’inizio dei negoziati risale addirittura al 2007, quando la UE e gli Stati Uniti hanno creato il Transatlantic Economic Council.
 
Come spiega un articolo pubblicato sul nuovo numero di Aggiornamenti Sociali, il TTIP non si propone - come molti credono - di ridurre le tasse doganali sull’importazione ed esportazione, mira piuttosto a riposizionare le economie delle due parti in un contesto globale in evoluzione. Da quanto si sa, gli Stati Uniti mirano a sostenere le esportazioni delle proprie imprese, in particolare i prodotti tecnologici e di innovazione e quelli agricoli, mentre per la UE l’obiettivo è aprire il mercato degli Stati Uniti alle imprese europee, ridurre le formalità burocratiche per quelle che esportano e fissare nuove norme in materia di esportazioni, importazioni e investimenti. I primi beneficiari, sul fronte europeo, sarebbero le imprese del settore automobilistico e le compagnie aeree.

Gli sforzi compiuti di fronte alle richieste di trasparenza, però, non sono riusciti a eliminare l’ostilità dell’opinione pubblica, tant’è che, secondo alcuni sondaggi, il sostegno a favore del TTIP in Europa è passato in un anno dal 58% al 53%, mentre in America dal 53% nel 2014 al 18% nel 2016. Inoltre in questi mesi una cifra record di quasi tre milioni e mezzo di cittadini ha firmato una petizione online contro il TTIP (www.stop-ttip.org). Ciò dimostra che il tempo in cui il commercio era un argomento di discussione riservato agli economisti sembra finito: basti pensare alle numerose dichiarazioni rilasciate dai politici europei e dai quattro principali candidati alla presidenza americana, i quali hanno espresso diverse riserve a proposito del TTIP. 

Gli stessi benefici economici del Trattato sono poco chiari: due diversi studi prevedono la crescita del PIL per gli Stati Uniti, ma non concordano nell’affermare uno sviluppo analogo per quanto riguarda l’UE, infatti in uno dei due studi sono state rilevate conseguenze negative per il PIL dell’UE, a causa di minori esportazioni europee e un incremento di quelle americane.

Si discute molto anche sui possibili cambiamenti a livello normativo che dovrebbero derivare dall’adozione del TTIP: se l’accordo andrà nel senso delle richieste degli Stati Uniti, cambierà in modo significativo il panorama attuale. Secondo quanto è noto, le controversie commerciali saranno risolte dai tribunali arbitrali a cui possono rivolgersi sia gli Stati sia le imprese e gli investitori, ma solo gli Stati possono essere condannati e obbligati a pagare i danni a un’impresa o un investitore, non viceversa. Per questo, voci influenti criticano apertamente i meccanismi di risoluzione delle controversie sovranazionali previsti nel TTIP perché introducono una giustizia a più velocità, che favorisce gli attori privati stranieri. 

Ulteriore conseguenza del TTIP potrebbe essere la possibilità di indurre in via indiretta Paesi terzi ad adottare nuovi standard globali nel campo ambientale o del lavoro, spingendoli a realizzare accordi regionali analoghi, ma con regolamentazioni meno stringenti per essere più competitivi.

Ancora, va sottolineato che gli Stati Uniti non hanno ratificato la maggior parte delle convenzioni e dei trattati internazionali a forte valenza etica e sociale. Ne segue che una zona di libero scambio tra partner così diversi può creare situazioni ambigue o pericolose per i sistemi di protezione sociale dei Paesi europei.

Alla luce di queste considerazioni, scrive l'autore dell'articolo Frédéric Rottier, direttore del Centre Avec (gesuiti di Bruxelles), la conclusione di un accordo ambizioso sembra essere sempre più compromessa. Scelte che riguardano la società meritano un maggior coinvolgimento dei cittadini e un dibattito democratico, entrambi assenti nella vicenda del TTIP. 

Per noi cittadini del Vecchio Continente questi interrogativi si accompagnano a quelli sul progetto europeo. La UE è un progetto politico o un mercato comune? L’intero sistema del libero scambio non fa alcun riferimento al bene comune, allo sviluppo sostenibile, alla pace, al pianeta. Da quale lato della globalizzazione vogliamo che si posizioni la UE: tra coloro che difendono il bene di tutti o tra chi privilegia gli interessi di alcuni?

(Nella foto, una manifestazione contro il TTIP, con un cavallo di Troia a simboleggiare i pericoli che si nascondono nel Trattato; credit: Greensefa)


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9 giugno 2016
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