Nelle riflessioni sulla democrazia e l’avvenire della politica sempre di più si discute sul ruolo svolto dal digitale, un fattore recente ma capace già di cambiare profondamente forme e prassi della vita pubblica.
Nel numero di agosto-settembre, disponibile da oggi su carta e online,
Aggiornamenti Sociali ospita una lunga intervista a Marco Morosini: ispiratore e
ghostwriter di Beppe Grillo negli spettacoli che il comico portava in giro per l'Italia negli anni Novanta, Morosini ha poi preso le distanze dal Movimento Cinque Stelle; oggi è docente di Politiche della sostenibilità al Politecnico federale di Zurigo.
A lui Chiara Tintori, della redazione di Aggiornamenti Sociali, ha chiesto di evidenziare alcune dinamiche di questa realtà, che egli definisce “digitalismo politico”. In che cosa consiste e quale idea di società veicola? Quali opportunità e rischi cela? In che modo è incarnato dal MoVimento 5 Stelle in Italia? Inoltre, non mancano nell'intervista alcuni riferimenti ai primi mesi di azione del governo Lega-M5S, un'alleanza che Morosini valuta estremamente pericolosa per il futuro della coesione europea.
Di seguito riportiamo la parte iniziale dell'interviste e le due risposte conclusive. La versione integrale è disponibile per gli abbonati e per chi acquista il singolo articolo:
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Tra i tanti aspetti della nostra vita che l’avvento del digitale ha profondamente rivoluzionato vi è anche la sfera politica. Quale scenario si delinea a suo parere nel prossimo futuro?
Il “digitale”, inteso come fenomeno sociale (Internet, social media, smartphone, computer), è sempre più impiegato per la propaganda e la comunicazione. Questa pratica è ormai corrente per centinaia di partiti nel mondo, come mostrano gli esempi di politici da Trump a Salvini.
Ma vi è un modo ancor più radicale del ricorso al digitale nella politica di cui l’esempio è dato dal MoVimento 5 Stelle (M5S), che è l’unica organizzazione politica a fare un uso non solo propagandistico, ma anche strutturale del digitale. Questo partito, infatti, è nato ed esiste completamente nella sfera digitale, la sua macchina interna funziona attraverso strumenti digitali, non tutti “i cittadini” possono aderire al partito, ma solo gli “user” (utenti), ossia le persone abili nell’uso di computer e Internet. Ovviamente, le decisioni e le strategie sono formulate da persone reali, in luoghi reali ma conosciuti da pochi. Ma «il MoVimento non ha sedi e non ha soldi» scrisse Beppe Grillo. Inutile cercare in rete indirizzo e telefoni della centrale. La macchina del M5S, infatti, si fonda su una “scatola di attrezzi digitali”: Internet, i social media, le piattaforme pubbliche come <
meetup.com>, o quelle autoprodotte come il “Blog” (<
beppegrillo.it> dal 2004 al 22 gennaio 2018, in seguito solo <
www.ilblogdellestelle.it>) o la piattaforma “Rousseau”, detta “sistema operativo del M5S” (<
rousseau.movimento5stelle.it>). La caratteristica capitale e il vero patrimonio della dirigenza del M5S sono però la proprietà e la gestione in segretezza dei server e dei big data, ossia di moltissime informazioni sugli utenti dei media del partito, sugli iscritti e sui suoi eletti.
Per il M5S, quindi, il digitale, oltre che un mezzo di comunicazione con l’esterno, è soprattutto uno strumento di potere all’interno del partito. Inoltre, il digitale è circondato da una mitica aura di progresso presso gli aderenti: su di esso si fonda, infatti, non solo la macchina del partito, ma anche la sua ideologia. Chiamo
“digitalismo politico” questo insieme di mito e di programma.
La sua visione è di emancipare politicamente l’umanità grazie alle tecnologie informatiche, invece che grazie a ideologie, filosofie e religioni. Questa concezione – una fede per alcuni – fiorì in California decenni or sono e fu analizzata nel saggio
L’ideologia californiana del 1995 da Richard Barbrook e Andy Cameron (cfr <
www.che-fare.com/lideologia-californiana>). Insomma, mentre per altri il digitale è una tecnica al servizio del partito, con il M5S, è il partito a essere al servizio dell’utopia digitalista.
Il mito digitalista è ben espresso nel brevissimo video Gaia, il futuro della politica, il “credo digitale” di Gianroberto Casaleggio. Egli lo realizzò nel 2008, dopo quattro anni di simbiosi con Grillo e pochi mesi prima della trasformazione formale, il 4 ottobre del 2009, del movimento degli “Amici di Beppe Grillo” in un vero partito con una forte direzione centralizzata. Nel video Casaleggio abbozza alcune tappe della storia dell’umanità verso crescenti connessioni di persone, gruppi e popoli, che sfoceranno infine in una comunità mondiale di persone interconnesse. Grazie a Internet – questo è lo scenario – tutti i cittadini del mondo genereranno un’intelligenza collettiva e parteciperanno alla gestione diretta delle decisioni della collettività umana.
Il digitalismo politico è il vero nucleo ideologico del M5S. Quasi tutto il resto è intercambiabile. Per Grillo, infatti, «la specie che sopravvive, non è la più forte, ma quella che si adatta meglio. Noi siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa. A patto che si affermino le nostre idee». Queste sembianze rendono il M5S inafferrabile. Quando i suoi rappresentanti dicono tutto e il suo contrario (secondo l’uditorio o il momento), sono davvero sinceri. Ciò serve, infatti, per “l’affermazione delle nostre idee”, delle quali (non essendo di destra, di sinistra e di centro) ne resta una sola: il digitalismo politico. Quindi, guardando al M5S possiamo affermare che le tecnologie digitali possono modificare non solo la comunicazione, ma la stessa natura e gestione del potere. Per questo ho chiamato il M5S “partito digitale”. Si tratta di un’innovazione unica al mondo, che forse farà scuola.
Dopo quanto detto sul digitalismo politico, come riassumerebbe i tratti peculiari dell’esperienza del M5S?
Uso sempre tre aggettivi: digitale, privato, ambiguo. La prima caratteristica, quella del partito digitale, è la principale. È assolutamente innovativa, ed è l’espressione di un connubio molto italico tra credulità messianica nella tecnica e pragmatismo amorale, un misto di Steve Jobs e Niccolò Machiavelli. Con quest’ultimo veniamo alla seconda peculiarità, quella del partito privato, capace di ogni spregiudicatezza pur di arrivare a condividere il potere governativo con la “casta” dei vecchi partiti. In Italia nell’ultimo ventennio abbiamo visto la nascita di due partiti privati (Forza Italia e M5S), bracci politici di rispettive aziende. Entrambi si presentarono come “movimenti” anti-partiti. L’uno promise di “rivoltare l’Italia come un calzino”, l’altro di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. I rispettivi marketing promisero l’uno “un nuovo sogno italiano”, l’altro “un nuovo rinascimento”. Alle loro prime elezioni, rispettivamente nel 1994 e nel 2013, entrambi raccolsero un quinto dei voti e un quarto dei voti validi e andarono al Governo insieme ad altri partiti. Entrambe le famiglie e le aziende alle quali fanno capo i due partiti sono specializzate in pubblicità e marketing. Entrambe sono emblematiche della propria epoca e dei media allora egemoni: rispettivamente, la TV commerciale negli anni ’80 e ’90 e Internet commerciale negli anni duemila. Tuttavia, mentre il partito dei Berlusconi fu al servizio degli uomini della grande azienda, la piccola azienda dei Casaleggio è al servizio del partito – ed è di fatto la centrale del partito – per realizzare un’utopia tecno-umanista.
La terza peculiarità del M5S, infine, è l’ambiguità politica. È quel dichiararsi “di destra, di sinistra e di centro”, che è stata la formula per il suo successo elettorale e che probabilmente ne causerà la decadenza. Il giorno dopo le elezioni, Luigi Di Maio proclamò la nascita di una “Repubblica dei cittadini” (che in realtà nacque 70 anni fa). Allora, quei 40 milioni, su 51 milioni di elettori che non hanno votato M5S non sono cittadini? Presto il M5S scoprirà che i cittadini hanno interessi diversi. Molti vogliono più crescita economica, altri meno; alcuni vogliono le privatizzazioni, altri le imprese pubbliche; più combustibili fossili, o più energie rinnovabili; la permanenza nell’euro o il suo abbandono, e così via. Se queste differenze non esistessero, un solo partito basterebbe per fare “gli interessi dei cittadini”. Governare, invece, significa scegliere di favorire i deboli, o i forti, o di mantenere lo status quo (ossia favorire i forti). Secondo la teoria politica dell’ideatore del M5S, invece, «un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea, buona o cattiva». Un conto però è vincere le elezioni, un altro è vincere le sfide del governo di un Paese del G7. Queste, infatti, richiedono scelte risolute, spesso sgradite a una parte dell’elettorato.
Il banco di prova che sta vivendo il M5S al Governo appare dunque cruciale. Come vede il futuro politico?
Non sono ottimista sul futuro del M5S, e più in generale dell’Italia e dell’Europa. Mentre i social-ecologisti nel MoVimento si rallegrano perché sperano ora di poter installare qualche pannello solare di più in Italia, non si rendono conto che hanno messo una bomba a orologeria sotto la pace civile in Europa. Secondo Steve Bannon, l’ideologo dell’ipernazionalismo statunitense ed ex capo stratega di Trump, nonché ispiratore di Marine Le Pen e Matteo Salvini, un Governo Lega-M5S è un’auspicata testa d’ariete per aprire la prima breccia nell’edificio della Unione Europea, ossia l’istituzione che ha assicurato all’Europa più di mezzo secolo di pace e prosperità. L’obiettivo di Bannon, infatti, è di favorire – nella scia del tecno-populismo italiano – il dilagare e la presa del potere delle destre populiste in Europa. Questo disegno eversivo, di cui – secondo Bannon – il M5S è una colonna portante, è esplicito sulla bocca dell’agitatore statunitense e ampiamente documentato nei media. Le uniche a fingere di non vederlo sono le “anime belle” nel MoVimento. Staremo a vedere quali antidoti saprà maturare il M5S e quanto i suoi aderenti più avveduti e l’opposizione sociale e politica sapranno sventare la minaccia che incombe sull’Europa.