Tomasz ha vent’anni e dopo la morte dei genitori si è trasferito a Varsavia da una zona rurale della Polonia per studiare giurisprudenza, grazie all’aiuto economico dei Krasucki, una famiglia dell’alta borghesia, impegnata in politica a sostegno di Pawel Rudnicki, candidato sindaco della capitale per una lista di sinistra. Tomasz ammira i suoi benefattori e ne corteggia la figlia Gabi, ma vive un profondo senso di inferiorità dovuto alle sue origini modeste.
L’attrazione non corrisposta per Gabi è la cifra del desiderio frustrato di integrarsi in un milieu sociale e culturale che lo guarda con accondiscendenza mista a un fondo di disprezzo. Questo mix di ammirazione e senso di inferiorità è il fondamento della costruzione psicologica di Tomasz e la chiave dello svolgimento del film. La svolta giunge quando, a causa di un plagio, il giovane viene espulso dalla facoltà e Tomasz, che già lavorava part time come social media manager, viene assunto da un’agenzia di comunicazione che si occupa di diffondere notizie false, spiare personaggi pubblici, organizzare campagne di disinformazione e diffamazione online, al soldo del miglior offerente o addirittura al servizio, contemporaneamente, di più clienti in competizione tra di loro. Tomasz si getta senza alcuno scrupolo in questo lavoro: la sua prima missione consiste nel distruggere la reputazione di una influencer che reclamizza prodotti per il fitness, per favorire la concorrenza. Utilizzando centinaia di falsi profili Facebook costruiti
ad hoc, invade la rete con fake news relative a presunti effetti collaterali di una bevanda, costringendo così la vittima a chiudere la propria attività.
Guadagnatosi così la fiducia della titolare dell’agenzia, Tomasz viene coinvolto in un progetto ben più rischioso e redditizio: sabotare la campagna elettorale dello stesso Rudnicki; il committente dell’operazione, chiamato “il cliente”, resta nell’ombra, ma si intuisce che si tratta del diretto avversario di Rudnicki, un candidato nazionalista che non si fa scrupolo di cercare il sostegno dei gruppi più oltranzisti della destra polacca. Per Tomasz è l’inizio di una doppia vita: di giorno frequenta i Krasucki, partecipa alla campagna elettorale di Rudnicki e ne diventa amico personale; nel frattempo colloca microspie, ascolta conversazioni di nascosto, manipola il router del comitato elettorale. Di notte organizza la macchina della diffamazione: frequenta e crea gruppi Facebook e canali YouTube dedicati alla propaganda contro musulmani, immigrati e omosessuali, diffonde immagini denigratorie di Rudnicki e sembra assestare il colpo finale quando ne rivela pubblicamente l’omosessualità.
In parallelo, il film descrive il progressivo intreccio tra il diffondersi dell’odio online e la sua traduzione nel mondo “reale”, rappresentata dai gruppi di estremisti che invadono le strade di Varsavia aggredendo gli immigrati e reclamando «un’Europa bianca o nessuna Europa». Il dramma raggiunge l’apice quando Tomasz inizia a manipolare Stefan, uno youtuber appassionato di armi, che è in realtà un giovane emarginato e affetto da disturbi psichici, il quale trova un senso alla propria vita nell’illusione di essere un patriota che difende la Polonia dall’invasione islamica. L’esito tragico, a questo punto, è inevitabile. Tomasz affonda in un crescendo di manipolazione e violenza, fino quasi a restarne sopraffatto a sua volta, per riportare in conclusione una paradossale vittoria e conquistare tutto ciò che desiderava.
The Hater, terza pellicola di Jan Komasa, finalista agli Oscar 2020 come migliore film straniero, è un’opera che permette diversi livelli di riflessione. Il primo riguarda, senza dubbio, il mondo dei social media e il loro uso manipolatorio. Il film mette in scena fatti e circostanze già riportati in cronaca negli ultimi anni: il traffico di account fittizi, la compravendita di fake news e il ruolo svolto da gruppi di interesse per condizionare i processi democratici. Il secondo è un dramma personale: Tomasz – interpretato in modo eccellente da Maciej Musialowski – è un personaggio tragico, un Faust dell’era digitale che conquista il mondo rinunciando alla propria identità. Ma la prospettiva di riflessione più interessante riguarda lo scenario sociale e culturale che nel film motiva i sostenitori dell’estrema destra: il senso di inferiorità, l’avversione per il ceto intellettuale, il desiderio di riscatto, se non di vendetta contro la borghesia liberale percepita come élite. In uno dei momenti emotivamente più intensi, forse l’unico nel quale Tomasz appare autentico, egli grida a Stefan: «Si sentiranno sempre al di sopra di noi. Siamo vittime delle circostanze. Non lo senti il disprezzo? Sarai sempre una nullità per loro. È l’élite, l’élite europea».
Il film insiste, d’altronde, sulla contrapposizione tra gli ambienti della borghesia colta (il teatro, la galleria d’arte) e quelli del proletariato neofascista (il bar di periferia, il poligono di tiro). Da un lato, si tratta di stereotipi, dall’altro è una rappresentazione della realtà che oggi molte persone trovano convincente. E se la storia dell’eroe negativo che si vendica dell’aristocrazia che lo ha scartato non è certo nuova, in questo momento assume tratti credibili e inquietanti.
Il film va certamente collocato nello scenario della Polonia di oggi, segnata dalla radicalizzazione dello scontro ideologico tra una destra sostenuta dalle aree rurali e una sinistra che ha le sue roccaforti nei grandi centri urbani. The Hater restituisce efficacemente il clima di odio fra settori del Paese che rifiutano qualsiasi dialogo e che mutualmente rappresentano la parte avversa come l’incarnazione del male: da un lato il grido di allerta contro il risorgere del fascismo, dall’altro la demonizzazione di un’evoluzione della società, vissuta come distruzione dell’identità tradizionale. Ciascuna fazione sente minacciato il “proprio” mondo, senza considerare che esso è condiviso con chi ha posizioni e valori differenti. Il film mette ugualmente in evidenza l’accanimento del dibattito su alcuni temi ad alto richiamo ideologico ed emotivo: l’aborto, i diritti degli omosessuali, l’immigrazione e l’islam; il tutto giocato, su entrambi i fronti, sul piano della comunicazione empatica, senza alcuno sforzo argomentativo. Ricordiamo che, poco dopo la fine delle riprese del film, la Polonia è stata scossa dall’omicidio di Pawel Adamowicz, sindaco di Danzica, ucciso da un giovane con disturbi psichici. Adamowicz, in gioventù leader delle proteste studentesche contro il regime comunista, dopo avere aderito al partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), se ne era progressivamente distaccato ed era divenuto bersaglio dell’odio sui social media per le sue posizioni a favore del diritto d’asilo e dei diritti degli omosessuali.