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Terzo settore: come operare nell’interesse generale? Riflessioni a partire dall’esperienza di San Marcellino
Foto: San Marcellino
- Giovanni Moro, Dalle pratiche emergono i principi
- Sabina Licursi, Una valutazione controcorrente
- Luca Borzani, Sentirsi attori costituzionali
- Andrea Morniroli, Riempire il vuoto con la cura anziché con il rancore
Il Codice del Terzo settore (D.Lgsl. 3 luglio 2017, n. 117 e successive modificazioni), all’art. 4 indica tra i requisiti per il riconoscimento della qualifica di ente del Terzo settore «lo svolgimento, in via esclusiva o
principale, di una o più attività di interesse generale». Radica in questo modo il comparto nell’art. 118 della Costituzione, riconoscendolo come strumento attraverso cui si attua «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati» che, quando è diretta allo «svolgimento di attività di interesse generale», lo Stato e gli Enti territoriali hanno il compito di favorire, in base al principio di sussidiarietà. All’art. 5, poi, il Codice definisce le attività di interesse generale in base a un unico requisito: che il loro oggetto sia ricompreso tra i molti elencati nel testo di legge.
In questo quadro non può stupire che gli enti del Terzo settore focalizzino prevalentemente la rendicontazione del proprio operato, cui sono obbligati dal Codice stesso, sulla descrizione delle attività, mostrandone la pertinenza alle tipologie indicate, e sul volume delle stesse, in termini di prestazioni erogate e/o di beneficiari raggiunti. Senza nulla togliere al valore di quanto realizzano molti enti del Terzo settore e le persone che al loro interno operano, a un altro livello è legittimo chiedersi se questo approccio sia sufficiente. [continua]
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