La Chiesa intera è in cammino lungo il percorso del Sinodo 2021-2023, intitolato “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione”. Al momento è in corso la prima fase, dedicata all’ascolto e al dialogo a livello locale: i contributi raccolti saranno sintetizzati a livello di diocesi e successivamente di Conferenza episcopale, e inviati alla Segreteria generale del Sinodo entro metà agosto. Intrecciato a quello universale, si è messo in moto anche il Cammino sinodale delle Chiese in Italia (2021-2025).
L’impegno di questi mesi è di dare concreta attuazione, adattandole ai diversi contesti locali, alle indicazioni contenute nel Documento preparatorio (DP) e riprese in chiave metodologica nel Vademecum che l’accompagna. Ci focalizzeremo qui su un punto su cui il DP insiste con particolare forza: «sarà di fondamentale importanza che trovi spazio anche la voce dei poveri e degli esclusi, non soltanto di chi riveste un qualche ruolo o responsabilità all’interno delle Chiese particolari» (n. 31). Anche il Vademecum insiste sulla necessità che la prima fase del cammino sinodale sia contrassegnata da uno sforzo di inclusione: «Dobbiamo raggiungere personalmente le periferie, coloro che hanno lasciato la Chiesa, coloro che praticano la loro fede raramente o non la praticano affatto, coloro che sperimentano la povertà o l’emarginazione, i rifugiati, gli esclusi, i senza voce, ecc.» (n. 4.1).
Il Sinodo 2021-2023 sul web
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Si tratta di imprimere al cammino sinodale il dinamismo della Chiesa in uscita, in modo da lasciarsi evangelizzare dai poveri: «La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG, n. 198).
Tuttavia, come segnalano i primi feedback dalle Chiese locali, dobbiamo riconoscere che non tutte le comunità ecclesiali si sentono sufficientemente preparate per questo compito. È un dato da prendere sul serio, sfuggendo alla tentazione di cercare un rimedio “tecnico” – una metodologia, un dispositivo organizzativo – con cui aggirare il problema più che risolverlo. Lascirsi interrogare più profondamente dalla questione del coinvolgimento di poveri ed esclusi consente non solo di mettere meglio a fuoco il compito da svolgere, ma anche di cogliere alcune implicazioni profonde di un processo autenticamente sinodale. Nelle pagine che seguono ci proponiamo di offrire alcuni spunti in questa direzione, attingendo anche a due esperienze ecclesiali che riteniamo illuminanti a riguardo.
Che cosa significa “coinvolgere in un processo sinodale”?
Un primo punto su cui soffermarsi è proprio il significato di coinvolgimento in un processo sinodale. Per lungo tempo e fino ad anni molto recenti, partecipare a un sinodo voleva dire recarsi a Roma per prendere parte all’Assemblea sinodale: dunque riguardava un numero neppure enorme di vescovi, prelati o ecclesiastici (meno di 250), e un gruppo ancora più limitato di uditori ed esperti. In anni più recenti si sono aperti maggiori spazi, a partire dal questionario per il Sinodo sulla famiglia; poi, in certo modo hanno partecipato al Sinodo le decine di migliaia di giovani di tutto il mondo che hanno risposto al questionario online in vista dell’Assemblea sinodale del 2018, o i circa 300 che si sono effettivamente recati a Roma per la riunione presinodale. Lo stesso si può affermare per le quasi 90mila persone che, con diverse modalità, sono state coinvolte nel cammino di preparazione del Sinodo amazzonico, offrendo un contributo all’elaborazione dei documenti su cui l’Assemblea sinodale ha lavorato.
Questo vale anche nel caso del Sinodo 2021-2023: i contributi raccolti nella fase consultiva saranno rielaborati come base per le tappe successive. Ma c’è qualcosa di più in gioco. Quanto più prendiamo consapevolezza che la sinodalità è «dimensione costitutiva della Chiesa» (CTI, n. 70), tanto più la questione della partecipazione al sinodo acquista spessore e il suo significato “esplode”. Infatti non si tratta solo di compilare un questionario o partecipare a una riunione: domandarsi come coinvolgere nel sinodo i poveri e gli esclusi equivale a interrogarsi sulla loro partecipazione alla vita di una Chiesa “costitutivamente sinodale”, anche a prescindere dall’orizzonte della celebrazione di un’assemblea sinodale.
Del resto, anche la fase consultiva del Sinodo 2021-2023 ha un duplice obiettivo. Punta a raccogliere contributi e spunti per le fasi successive, ma come riflessione su esperienze di sinodalità vissuta; più radicalmente, quindi, si propone di incentivare dinamiche sinodali a tutti i livelli della Chiesa: quanto più entreranno nella vita ordinaria delle comunità cristiane, tanto più vivranno di vita propria e daranno vita a processi che prescinderanno dall’agenda del Sinodo 2021-2023, magari per reincontrarla nella fase dell’attuazione. Questo non significa trascurare o sottovalutare gli appuntamenti del Sinodo 2021-2023 o del più ampio cammino sinodale italiano, ma è bene essere consapevoli di questa molteplicità di orizzonti.
Persone senza voce o Chiesa senza orecchie?
Altrettanto importante è interrogarci sul significato di espressioni come “coloro che non hanno voce”, ormai entrata in una certa retorica, ecclesiale e non solo, che pare diagnosticare una mancanza di parola che colpisce alcune persone e gruppi sociali. Effettivamente chi è vittima di ingiustizie, violenze e oppressioni può abbandonarsi alla rassegnazione: lo vediamo in tanti casi di violenza domestica o di minoranze oppresse. Tuttavia queste situazioni ci insegnano che la sofferenza non è mai davvero muta; piuttosto si esprime nella forma del lamento e del gemito. Questo va ascoltato e decifrato, altrimenti può facilmente rimanere un rumore fastidioso, o essere considerato una manifestazione di vittimismo. In una cultura che troppo spesso ritiene l’essere poveri una colpa o un destino autoinflitto, il rischio di non decodificare correttamente gemiti e lamenti è reale.
Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra,
che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo,
con un lamento che reclama da noi un’altra rotta».
Papa Francesco, Laudato si’, n. 53
Assai frequentemente, però, poveri ed esclusi non stanno affatto zitti: il loro grido assume la forma della protesta e reclama, ad alta voce, il rovesciamento del sistema, o almeno un suo deciso mutamento, suscitando inevitabilmente reazioni di chiusura e rifiuto. Spesso finisce rubricato come problema di ordine pubblico, e questo ne depotenzia la carica politica. Al limite, può dare impulso a qualche iniziativa filantropica, che interviene sui sintomi senza mettere in discussione le ingiustizie strutturali che li generano. L’esempio del movimento ormai globale “Black lives matter” aiuta a mettere a fuoco questa dinamica: si tratta di una protesta molto rumorosa di fronte a situazioni di emarginazione e violenza a base razziale, che suscita resistenze e rifiuto proprio perché mette in discussione la struttura di ingiustizia su cui si regge la società, tra l’altro puntando il dito su una istituzione come la polizia, deputata a difendere l’ordine costituito.
Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere».
Papa Francesco, Laudato si’, n. 54
Nel caso del lamento come in quello della protesta, il punto cruciale sembra risiedere nella disponibilità all’ascolto, ben più che nel volume del grido. La comunità cristiana, in quanto parte della società, non può considerarsi esente da queste dinamiche di rifiuto nei confronti dei lamenti e delle proteste. Così, la strategia per favorire la partecipazione degli esclusi ai processi sinodali è togliere le mani dalle orecchie di chi fatica a sentire, piuttosto che dare un megafono più potente a chi parla o magari già urla. La domanda guida non è “Chi non riesce a farsi sentire?”, ma “Chi facciamo fatica ad ascoltare, per quanto strepiti?”. Del resto, è proprio all’identificazione delle resistenze all’ascolto che puntano alcune delle domande che il DP formula al n. 30, come «Quali persone o gruppi sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto?», oppure «Che spazio ha la voce delle minoranze, degli scartati e degli esclusi? Riusciamo a identificare pregiudizi e stereotipi che ostacolano il nostro ascolto?».
Offrire spazi di protagonismo
Se in apertura abbiamo segnalato la difficoltà di molte comunità a mettersi in ascolto dei poveri e degli esclusi, non sarebbe corretto dimenticare che processi di questo genere fanno già parte dell’esperienza vissuta delle nostre Chiese: ad essi possiamo ispirarci in questa fase.
Un primo esempio, che considereremo soprattutto a livello della Chiesa universale, ma che è ben radicato in specifici contesti locali, è l’itinerario degli Incontri mondiali dei movimenti popolari, a cui Aggiornamenti Sociali ha dato più volte attenzione. In occasione del primo Incontro, nell’ottobre 2014, papa Francesco ricevette i partecipanti nell’Aula vecchia del Sinodo; prendendo lo spunto da questo fatto, “dichiarò” la natura sinodale dell’evento, esprimendo con chiarezza la sua idea di sinodo: «Siamo in questa sala, che è l’Aula del Sinodo vecchio, ora ce n’è una nuova, e sinodo vuol dire proprio “camminare insieme”: che questo sia un simbolo del processo che avete iniziato e che state portando avanti!» (Papa Francesco 2014). Agli Incontri mondiali i movimenti popolari sono invitati non solo ad ascoltare, ma a parlare e a confrontarsi, in vista di un’articolazione globale della loro lotta; sono invitati a “camminare insieme” innanzi tutto tra di loro, grazie alla convocazione da parte del Papa e a uno spazio messo a loro disposizione senza che chi ha lanciato l’invito pretenda di determinarne l’agenda. In altri termini, gli Incontri mondiali rappresentano un riconoscimento della soggettività politica dei movimenti popolari e della loro capacità di azione, a cui il Vaticano offre sostegno rispettando il loro modo di prendere l’iniziativa, partecipare ed essere protagonisti. Francesco entra in dialogo con loro senza condiscendenza o paternalismo. Tutto questo è possibile grazie alla sua familiarità con “scartati” ed emarginati, maturata negli anni di frequentazione delle periferie di Buenos Aires. Ci rendiamo così conto che per ascoltare i poveri e gli esclusi bisogna innanzi tutto “parlare la loro lingua”: qualcosa che non si improvvisa, ma che è possibile acquisire nel tempo.
Alla base dell’itinerario degli Incontri mondiali vi era anche la speranza di suscitare percorsi analoghi a livello locale. Quanto questo auspicio si sia realizzato è difficile dirlo: la sensibilità varia molto tra le diverse aree socioculturali e almeno in alcuni continenti si sono messi in moto processi regionali e nazionali. Uno spunto concreto per il percorso sinodale 2021-2023 potrebbe essere andare a cercare dove si sono aperti percorsi di interlocuzione con i movimenti popolari a livello locale e con quale esito; o per quali ragioni questo non è accaduto e quali potrebbero essere gli interlocutori rilevanti localmente. Questo vale anche per il nostro Paese, partendo dal fatto che agli Incontri mondiali hanno partecipato anche rappresentanti italiani: con alcune realtà e organizzazioni, dunque, il discorso è già aperto. Ma soprattutto, in occasione del terzo Incontro mondiale (5 novembre 2016), il Papa rivolse il suo discorso non solo ai circa 200 partecipanti provenienti da tutto il mondo, ma a un uditorio ben più numeroso che gremiva l’Aula Paolo VI, formato da oltre 3.500 persone appartenenti a realtà radicate in ambienti popolari di tutta Italia. Questo dimostra una certa diffusione e attrattiva della Chiesa italiana in questo mondo, o almeno di alcune sue componenti: qualcuno che ne parla la lingua c’è, e oggi può servire da interprete.
Ascoltare davvero i poveri genera conflitti
Una seconda esperienza da cui trarre ispirazione è il già citato percorso di preparazione al Sinodo amazzonico. Grazie allo sforzo della Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM), rappresenta il primo esperimento di un processo basato sulla Costituzione apostolica Episcopalis communio (2018), che innova la dinamica del sinodo proprio in senso partecipativo. Ragioni di spazio impediscono di analizzarlo con il dettaglio che meriterebbe. Ci limitiamo a evidenziare un punto di grande rilevanza: le aspre polemiche che hanno accompagnato lo svolgimento dell’Assemblea sinodale a Roma nell’ottobre 2019. Formulate come preoccupazioni e poi come accuse di paganesimo e idolatria, almeno formalmente si pongono in ambito teologico e pastorale, dunque all’interno del perimetro ecclesiale, anche se sono intrise di violenza e disprezzo nei confronti della diversità di cui la regione amazzonica è portatrice; ma soprattutto sono state cavalcate strumentalmente da persone e gruppi a cui non interessava l’Amazzonia, ma la promozione delle proprie ideologie o dei propri interessi economici.
La lezione è chiara: aprire spazi di ascolto degli esclusi, che offrano opportunità al loro protagonismo, significa riconoscerne la soggettività e legittimare le loro richieste di cambiamento. Questo non potrà non suscitare la reazione e l’opposizione, anche virulenta, di quanti hanno interesse a non far cambiare le cose. È bene saperlo in anticipo in modo da essere preparati quando queste resistenze si manifesteranno, all’esterno ma soprattutto all’interno della comunità ecclesiale. Mettersi davvero in ascolto dei poveri e lasciarsi interrogare da loro susciterà tensioni e conflitti, anche dentro la Chiesa. Fare sinodo e camminare insieme non significa nasconderli o far finta che non esistano: sarebbe un falso irenismo. Da questo punto di vista, il cammino sinodale può rappresentare l’occasione per farli emergere e attraversarli, senza averne paura, nello spirito del cap. 7 dell’enciclica Fratelli tutti: dialogo e incontro possono essere strumenti di riconciliazione solo a condizione di fare verità. Ascoltare i poveri richiede di essere disponibili a fare i conti con verità scomode. L’esperienza del Sinodo amazzonico dimostra che è possibile, ma esige uno sforzo supplementare, anche dal punto di vista comunicativo, che non di rado rappresenta una debolezza per le nostre Chiese.
Ridurre il deficit d’ascolto
La reazione di chiusura all’ascolto di una posizione che risulta eversiva della propria visione del mondo non può destare sorpresa. Nel recentissimo Messaggio per la 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, papa Francesco ricorda: «Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro» e termina sottolineando che «Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci», indicando nel cammino sinodale 2021-2023 una opportunità di ascolto reciproco.
Il primo passo da fare, anche in vista del coinvolgimento di emarginati ed esclusi nel processo sinodale, riguarda il miglioramento della capacità di ascolto. A seconda della situazione in cui ciascuna comunità locale si trova, potrebbe essere un investimento anche ingente e faticoso. In molti casi, nella Chiesa siamo più abituati a parlare che ad ascoltare, e questo vale in particolare per quanti ricoprono ruoli di una qualche responsabilità (a diversi livelli). È un effetto collaterale del virus del clericalismo, che si traduce anche in una smania di controllare e di definire a priori che cosa può essere detto e che cosa no. Pensando al Sinodo del 2018, i contributi che con rispettosa chiarezza mettevano sul tavolo alcuni nodi problematici (dalla morale sessuale al ruolo delle donne nella Chiesa) non mancarono di suscitare reazioni in questa linea e anche qualche fantasia di censura. Tocchiamo qui un punto cruciale, molto dibattuto anche nella preparazione del Sinodo 2021-2023: ascoltare qualcuno significa riconoscerlo. Ma se si è in disaccordo con le sue posizioni, o se queste sono espresse in maniera aggressiva, o se si ha a che fare con lobby e gruppi di pressione (o presunti tali), come si può fare? E che succede se non siamo disposti a riconoscere coloro che ci vogliono parlare?
Se si vuole controllare tutto, non sono possibili un autentico ascolto né l’apertura di reali spazi di riconoscimento e partecipazione per chi è portatore di una diversità o marginalità. La questione non riguarda soltanto quanti sono normalmente definiti poveri o esclusi, ma anche una serie di categorie e gruppi che faticano a trovare ascolto all’interno della Chiesa: dai giovani che rivendicano possibilità di protagonismo, alle donne che mettono in questione una cultura maschilista, agli omosessuali che chiedono di poter stare all’interno della Chiesa senza essere stigmatizzati.
In apertura dell’Assemblea sinodale del 2018 papa Francesco rilanciava una diagnosi che non suscitò stupore in chi ne aveva seguito la preparazione: «Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto” anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti» (Papa Francesco 2018b). Evidentemente «anche nei confronti dei giovani» vuol dire non solo verso di loro: lo stesso vale nei riguardi degli emarginati, degli esclusi, dei poveri. Da questo punto di vista occorre essere realistici: non possiamo immaginare di colmare questo deficit con le iniziative, pur fondamentali, che potranno essere organizzate nei pochi mesi della fase consultiva del Sinodo 2021-2023. Porsi questo obiettivo vorrebbe dire sottovalutare il problema o, peggio, volerlo celare senza affrontarlo. Meglio stabilire un traguardo ragionevolmente alla nostra portata, cioè cominciare a invertire la rotta, realizzando qualche esperimento di ascolto su cui riflettere per costruire percorsi più ambiziosi su un arco di tempo più lungo. In una Chiesa costitutivamente sinodale, si continua a camminare insieme anche oltre le scadenze dell’agenda 2021-2023, e il Cammino sinodale delle Chiese in Italia già punta a un orizzonte più ampio.
Questo articolo sviluppa riflessioni nate in vista dell’intervento di Giacomo Costa SJ alla Giornata di studio “Entendre la voix des plus pauvres dans le processus synodal”, organizzata il 27 gennaio 2022 dal Centre Sèvres di Parigi.
Risorse
Sinodo: documenti ufficiali di riferimento
DP = Sinodo dei Vescovi, Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione. Documento preparatorio, 2021.
Sinodo dei Vescovi, Vademecum per il sinodo sulla sinodalità, 2021.
CTI = Commissione Teologica Internazionale (2018), La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa.
Documenti del Magistero
FT = Papa Francesco, lettera enciclica Fratelli tutti, 2020.
LS = Papa Francesco, lettera enciclica Laudato si’, 2015.
EG = Papa Francesco, esortazione apostolica Evangelii gaudium, 2013.
Papa Francesco (2022), Messaggio per la 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Ascoltare con l’orecchio del cuore.
— (2018a), Costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo dei vescovi.
— (2018b), Discorso all’inizio del Sinodo dedicato ai giovani, 3 ottobre. — (2014), Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari, 28 ottobre.
Sinodo 2021-2023, Sinodo 2019 e Sinodo 2018 su Aggiornamenti Sociali
Costa G. (2021), «Fare Sinodo: il coraggio della fecondità», 10, 507-512.
Mora P. (2019), «Amazzonia: mille volti, un territorio. Alla ricerca di una nuova struttura per la Chiesa panamazzonica», 10, 661-669.
Costa G. (2019), «Sinodo per l’Amazzonia: perché coinvolgerci e come?», 8-9, 533-540.
López M. (2019), «REPAM: per una Chiesa dal volto amazzonico», 6-7, 512-516.
Costa G. (2019), «Christus vivit: per un cammino sinodale che porti frutto», 5, 366-376.
— (2018), «Sinodo 2018: il dono dei giovani», 12, 797-804.
— (2018), «Sinodo dei giovani: ritrovare il dialogo tra le generazioni», 8-9, 533-540.
— (2017), «“Lasciare spazio ai giovani”: un Sinodo che interroga tutti», 4, 269-276.