Con l’arrivo della bella stagione, sono ripresi gli sbarchi di persone in cerca di asilo sulle coste italiane. E sono ripresi gli allarmi, le polemiche, l’affannosa ricerca di soluzioni alternative. Come prima constatazione, dobbiamo osservare che non era l’operazione Mare Nostrum ad attirare i rifugiati, ma è la cruenta geopolitica del Medio Oriente e dell’Africa a spingerli a cercare salvezza in Europa.
In secondo luogo, va sfatata la persistente retorica dell’invasione e dei numeri ingestibili. È vero che l’Unione Europea ha registrato 626mila richiedenti asilo nel 2014, 191mila in più rispetto al 2013, con un incremento del 41%. L’Italia, con 64.625 domande, occupa il terzo posto (dati Eurostat). Se però allarghiamo lo sguardo, scopriamo che l’Europa è investita solo marginalmente da una crisi umanitaria ben più vasta.
Come abbiamo spiegato in un precedente contributo, nei primi sei mesi del 2014, Libano, Turchia e Giordania accoglievano molti più richiedenti asilo di quanto fanno i Paesi europei, sia in valore assoluto sia se si calcola il rapporto tra rifugiati e popolazione locale. E da allora, nei tre Paesi citati la situazione è ancora peggiorata.
È vero poi che i profughi sbarcano in Italia, ma la maggioranza transita per presentare domanda di asilo al di là delle Alpi: su circa 170mila sbarcati nel 2014, solo 70mila hanno chiesto protezione in Italia; la Germania ha ricevuto 202mila domande, pari al 32% del totale europeo, la Svezia 114mila.
Prosegue un triste scaricabarile tra i governi: l’Italia accusa i partner europei di scarsa solidarietà, gli altri cercano di imporre al nostro Paese di rispettare rigidamente le convenzioni di Dublino accogliendo tutti i profughi sul suo territorio.
Anche sul fronte interno le cose non vanno meglio. Le regioni più ricche sono quelle che accolgono meno richiedenti asilo. La Valle d’Aosta, quella che ne ospita meno (1 profugo su 2.074 abitanti), ha rifiutato di riceverne altri; la Lombardia ne accoglie uno ogni 1.605 abitanti, il Veneto 1 ogni 1.805. In queste regioni, ispezioni delle ASL hanno imposto la chiusura di strutture di accoglienza faticosamente reperite.
Di fronte a queste notizie, tornano alla mente le parole di papa Francesco a Lampedusa, quando ha tuonato contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, contro il disorientamento ansioso e difensivo, “per cui l’altro non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”; contro la perdita del senso della “responsabilità fraterna”; contro “la cultura del benessere (...) che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri”. Oltre ad applaudirlo, sapremo risvegliarci dal sonno della responsabilità?