Il numero di aprile di
Aggiornamenti Sociali ospita un articolo di Susy Zanardo, professore associato di Filosofia all'Università Europea di Roma, sul tema della maternità surrogata. L'articolo è riservato agli abbonati (
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«La gestazione per altri (GPA), chiamata anche maternità surrogata o utero in affitto - si chiede l'autrice in apertura -, è una forma di ospitalità? Con questo interrogativo ci riferiamo al dibattito sulla pratica di procreazione medicalmente assistita in cui una donna mette al mondo un figlio con l’esplicita intenzione di portare a termine la gravidanza per altri».
Dopo avere chiarito i termini della questione, in particolare la differenza tra GPA commerciale e GPA gratuita o solidale, la Zanardo ricorda che il mondo femminista ha quasi unanimemente condannato la prima pratica, mentre la seconda riceve una più generale approvazione, anche se si riconosce che non è particolarmente diffusa. «Noi riteniamo - afferma invece l'Autrice - che per nessuna di esse si possa parlare di dono e ospitalità». Infatti, «la trasformazione della maternità avviene in entrambe le forme di GPA. (...) La GPA solidale non è molto dissimile dalla prima. La sua ragion d’essere è il desiderio di un figlio a tutti i costi; la sua condizione è l’interruzione della relazione genitoriale e materna».
Dopo avere riflettuto sulle implicazioni del materiale genetico che viene utilizzato per la generazione, la filosofa esamina un altro punto chiave, ovvero la doppia interruzione con cui viene spezzata l’unicità della relazione materna, da una parte, e l’unicità della relazione fra il padre e la madre della creatura, dall’altra. «La GPA passa precisamente per la progettazione dell’interruzione dell’unicità della relazione materna e di quella genitoriale. L’interruzione ne è la sua condizione di possibilità. Non c’è altro modo di diventare madre (o padre) che spezzando un legame genitoriale. In questo modo se ne coglie la differenza specifica dall’adozione: se l’adozione interviene a riparare una mancanza che è avvenuta, la GPA provoca l’interruzione».
L'articolo prosegue con una riflessione sull'applicabilità del concetto stesso di dono di un figlio, un aspetto che, nell'immaginario collettivo, rende più comprensibile e accettabile la GPA solidale: «Se la tecnica ce lo permette - si chiede provocatoriamente l'Autrice -, perché dovremmo cedere su questo desiderio? La fobia del nuovo? Un uso proibizionistico del diritto? Gli oscurantismi religiosi? (...) Cedere a un’altra il proprio figlio. Cos’altro chiederebbe un disinteresse maggiore? Ma, ci chiediamo, non è anche una forma di onnipotenza e una messa a disposizione del proprio figlio? Perché quel figlio lo consegni a un’altra, non perché non puoi fare altrimenti, perché le vicende della vita che nessuno controlla non rendono più possibile continuare quella relazione, perché farlo adottare talvolta è la prova d’amore suprema; al contrario, progetti in partenza la cessione di quella relazione. Cioè accetti quella relazione perché essa si interromperà. Almeno si interromperà nell’esclusività del rapporto di madre. L’interruzione della relazione è la condizione della relazione».
Susy Zanardo conclude provando a mettersi dalla parte del bambino: rispondendo, tra gli altri, alla scrittrice Michela Murgia, secondo la quale «un bambino nato con una GPA è esattamente uguale agli altri», si chiede: «Che cosa accade quando viene sottratta a una creatura, oltre alla propria origine, l’idea stessa di indisponibile? Non stiamo dicendo ai nostri figli che nulla è indisponibile, a partire dal loro stesso essere, il quale è a disposizione di altri che lo confezionano per ragioni altruistiche, commerciali o predatorie?».
«L’ospitalità - conclude allora l'articolo, riprendendo la domanda iniziale - chiede di amare il figlio di un’altra, quando quest’altra è perduta. Quando è perduta, però, e non quando contribuisco a eclissarla. Meglio sarebbe, laddove possibile, ospitarla col proprio bambino - come nei casi di affido di una famiglia da parte di un’altra famiglia - così da proteggere i legami familiari e in particolare la relazione materna, la cui frammentazione non è una fra le tante, ma rischia di far deperire il nostro livello di civiltà».