Se l'Europa riesce a fare peggio di Trump

Maurizio Ambrosini
Ci siamo appena indignati per le scelte politiche di Trump sull’immigrazione, ma stranamente pochi si accorgono che l’Italia e l’Unione Europea stanno imboccando una strada forse peggiore. Grazie all’accordo con la Libia salutato con favore da gran parte dei mass-media e a un finanziamento di 200 milioni di euro, abbiamo rilanciato la strategia dell’esternalizzazione del controllo delle frontiere: in pratica, paghiamo i libici perché facciano da guardie di confine per nostro conto. 

Come ai tempi di Gheddafi, dovranno reprimere il transito di quanti arrivano dall’interno del continente africano per imbarcarsi, raggiungere il suolo europeo e chiedere asilo. Addirittura c’è chi ha parlato con compiacimento di “strategia del deserto”, ponendo in rilievo il fatto che i movimenti delle persone verranno intercettati alla frontiera Sud, dove la Libia confina con Algeria, Niger, Ciad e Sudan: là, in mezzo al deserto, al riparo dagli occhi indiscreti di telecamere e organizzazioni umanitarie, i libici potranno usare le maniere forti per svolgere il lavoro sporco che abbiamo loro richiesto. Blande rassicurazioni sull’istituzione di centri di accoglienza e su garanzie di rispetto dei diritti umani saranno assai difficili da mettere in pratica e ancora più difficili da verificare.

La principale giustificazione di queste scelte consiste nel fatto che circa il 60% delle richieste di asilo vengono attualmente respinte, ricacciando i richiedenti nell’infamante categoria dei “migranti illegali” perché in cerca di lavoro e di futuro in Europa. 

Ma due considerazioni s’impongono: la prima riguarda il fatto che comunque il 40% viene riconosciuto come legittimo aspirante alla protezione internazionale. E’ lecito dubitare che i libici nel deserto faranno distinzioni. La repressione colpirà tutti quelli che cercheranno di passare, ed è questo in realtà l’obiettivo perseguito. In secondo luogo, sono le nostre autorità a definire Paesi sicuri e Paesi insicuri, situazioni meritevoli di protezione e altre che non lo sono. Per esempio la Nigeria e il Gambia non sono considerati Paesi a rischio.

Il Centro Astalli di Trento ha intitolato un messaggio: “Siamo tutti un po’ Trump”. Certo, tacendo o indignandoci solo in difesa dei migranti lontani, anche noi stiamo legittimando la politica dei muri e delle chiusure.

9 febbraio 2017
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