Sconfiggere Golia
Le guerre sono da sempre una costante della storia dell’umanità. Così
era anche tra i popoli protagonisti del racconto biblico: il desiderio
di acquisire nuove risorse (pascoli o campi più ampi e migliori, fonti
d’acqua più abbondanti, ecc.) sottraendole ai gruppi che le stanno
usando e la conseguente necessità di difendersi da parte di questi
ultimi, creava continuamente eventi bellici.
Proprio a causa dell’incessante incombere della guerra
sull’orizzonte della vita, la narrazione degli eventi bellici – o per
celebrare la potenza del re vittorioso, oppure, in caso di sconfitta,
per ricordare errori da non ripetere o per spingere a cercare un
riscatto – costituisce parte integrante dell’epopea con cui si
custodisce e si trasmette l’identità di un popolo, di cui fa senz’altro
parte la sua relazione con la divinità. Proprio per la loro valenza
simbolica fondante, le narrazioni che ci sono state trasmesse rispondono
a criteri diversi dalla semplice descrizione fattuale o narrazione
cronachistica degli eventi. Rientra in questa categoria anche il noto
racconto dello scontro di Davide contro Golia in 1Samuele 17,
all’interno di una delle molte battaglie tra Israele e i filistei che
hanno segnato buona parte dell’XI sec. a.C. Questo testo ci offre
infatti quasi una parabola di una modalità concreta di risoluzione di
conflitti alternativa alla mera applicazione della “legge del più
forte”, o, per meglio dire, di una diversa definizione di “forza”
all’interno di un conflitto.
Le “dimensioni” di Golia
Il testo racconta come, di fronte allo stallo dei due eserciti,
si debba ricorrere a un duello tra i campioni dei due popoli, con
conseguenze decisive: il popolo di colui che vincerà si impossesserà
dell’altro, riducendolo in schiavitù.
1Samuele 17, 1-11
1 I Filistei radunarono di nuovo le loro truppe per la
guerra, si radunarono a Soco di Giuda e si accamparono tra Soco e Azekà,
a Efes-Dammìm. 2 Anche Saul e gli Israeliti si radunarono e
si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono a battaglia
contro i Filistei. 3 I Filistei stavano sul monte da una parte, e Israele sul monte dall’altra parte, e in mezzo c’era la valle. 4 Dall’accampamento dei Filistei uscì uno sfidante, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. 5 Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. 6 Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. 7
L’asta della sua lancia era come un cilindro di tessitori e la punta
dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo
scudiero. 8 Egli si fermò e gridò alle schiere d’Israele:
«Perché siete usciti e vi siete schierati a battaglia? Non sono io
Filisteo e voi servi di Saul?
Sceglietevi un uomo che scenda contro di me. 9
Se sarà capace di combattere con me e mi abbatterà, noi saremo vostri
servi. Se invece prevarrò io su di lui e lo abbatterò, sarete voi nostri
servi e ci servirete». 10 Il Filisteo aggiungeva: «Oggi ho sfidato le schiere d’Israele. Datemi un uomo e combatteremo insieme». 11 Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; rimasero sconvolti ed ebbero grande paura.
A partire dalla stessa descrizione fisica, Golia è rappresentato come
una figura del male assoluto e soverchiante: si dice che era alto sei cubiti e un palmo
(due metri e ottanta), che era capace di tenere in testa un elmo di
bronzo e di indossare una corazza a piastre pesante 5mila sicli (60 kg) e
di scagliare un giavellotto la cui punta pesava 600 sicli (7 kg).
Questa descrizione presenta caratteri di straordinarietà tali da
ritenere assai improbabile che un gigante di queste dimensioni sia
esistito realmente: l’esagerazione serve a rendere l’idea della potenza
tremenda del male, della forza impareggiabile del nemico. Evidentemente
nelle schiere di Israele non si riesce a trovare un campione simile: di
qui la paura che sconvolge Saul e tutto il popolo (vv. 11 e 24).
La
logica ordinariamente vincente in tutte le situazioni di conflitto è
quella di cercare una potenza capace almeno di controbilanciare quella
del nemico, ma all’interno di una stessa definizione di forza: l’unica
possibilità per sconfiggere la paura che Golia incute è trovare un
gigante almeno altrettanto gigantesco. Il periodo della guerra fredda,
dalla fine della Seconda guerra mondiale al crollo del Muro di Berlino
nel 1989, è stato dominato da queste dinamiche: il mondo intero era
“bloccato” (come i due eserciti nel nostro testo) dalla contrapposizione
tra i due blocchi, ciascuno dei quali produceva una narrativa e
un’epica che identificava l’altro come male assoluto da debellare e
giustificava la spirale della corsa agli armamenti (sempre rigorosamente
definiti “di difesa”), per poter disporre sempre di una potenza
superiore a quella di “Golia”. L’equilibrio pare possibile solo se una
forza viene controbilanciata da una altrettanto grande: è la logica che
Giovanni XXIII identifica (e stigmatizza) nel n. 59 della enciclica Pacem in terris,
di cui lo scorso 11 aprile abbiamo celebrato il cinquantesimo
anniversario: «Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare
adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che
la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità
politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed
armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le
altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari».
Un’altra logica
Esistono,
però, altre logiche: Davide ne è l’emblema. Il testo ce lo presenta
come un giovanissimo pastore – all’epoca, come ancora oggi in molte
parti del mondo, sono i ragazzini a badare a pecore e capre che brucano –
che lascia il gregge per raggiungere i fratelli maggiori impegnati
nella guerra ai filistei, e si propone per sfidare Golia.
Molti deridono Davide e i suoi fratelli gli dicono: Tu sei qui per goderti lo spettacolo. Torna alle tue pecore. Noi lo sappiamo: sei un orgoglioso, un superbo di cuore (v. 28). Per una significativa coincidenza, sono quasi le stesse parole utilizzate in una vignetta del Sunday Telegraph
(30 luglio 1961) contro il segretario dell’ONU, Dag Hammarskjöld, che
si stava adoperando per una soluzione pacifica della crisi congolese:
Charles de Gaulle e Nikita Kruscev si fronteggiavano ciascuno su un
carro armato. Tutti e due portavano un distintivo con la scritta: «Non
mi piace Dag!». E sotto la caricatura si leggeva la frase: «Chi si crede
di essere questo, un uomo del destino?». Non è ironia della storia: è
la naturale reazione di chi adotta la “logica di Golia” nei confronti di
una alternativa alla prova di forza.
1Samuele 17, 32-40
32 Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». 33
Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a
combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla
sua adolescenza». 34 Ma Davide disse a Saul: «Il tuo servo
pascolava il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a
portar via una pecora dal gregge. 35 Allora lo inseguivo,
lo abbattevo e strappavo la pecora dalla sua bocca. Se si rivoltava
contro di me, l’afferravo per le mascelle, l’abbattevo e lo uccidevo. 36
Il tuo servo ha abbattuto il leone e l’orso. Codesto Filisteo non
circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha sfidato le schiere
del Dio vivente». 37 Davide aggiunse: «Il Signore che mi
ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà
anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene
va’ e il Signore sia con te». 38 Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza. 39
Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di
camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul:
«Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E
Davide se ne liberò. 40 Poi prese in mano il suo bastone,
si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca
da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò
al Filisteo.
Anziché la potenza della forza fisica, Davide
segue una diversa linea di azione, basata sulla fiducia nell’aiuto di
quel Dio di cui egli sempre ha fatto esperienza nella sua vita di
piccolo pastore che deve affrontare il leone e l’orso (v. 37) e
la notte del deserto. Se, almeno in questi termini, pare difficile
proporre questa visione di fede nel contesto secolarizzato della
diplomazia e della soluzione dei conflitti, la storia ci ha riservato
sufficienti “sorprese” per poter affermare che quella dell’equilibrio
del terrore non è l’unica logica a cui è ragionevole sottostare.
All’interno di questa logica rimane in parte anche Saul, che pure non
deride Davide per la sua offerta: accetta che sia il debole a sfidare il
forte, ma prova a rivestirlo della sua corazza. Saul rappresenta quella
prudenza che cerca di tenere il piede in due staffe: intuisce la
misteriosa potenza della logica di Davide, quella del debole che
combatte il forte, ma non vi si affida fino in fondo e cerca di dare al
debole almeno un’arma o una protezione. Senza rendersi conto che in
questo modo scende a patti con quella logica sulla cui base risulterà
sicuramente perdente.
Per questo il piccolo Davide rifiuta la
corazza e ribatte: «Non riesco neanche a muovermi con questa roba
addosso, perché non l’ho mai provata!» (vv. 38-39). La sua logica è in
radicale antitesi con quella dell’armarsi. Infatti, quando lo vede,
Golia ne ha disprezzo: lo riconosce come portatore di quelli che
lui ritiene dei disvalori. Davide invece, che non indossa l’armatura e
incede libero, sa che il Dio che è con lui ha valori diversi da quelli
di Golia (vv. 44-45) e per questo è sicuro di poter vincere. Il pensiero
di Davide può così essere tradotto in un linguaggio non immediatamente
teologale: «Agisco confidando che esiste una categoria di valori che
risulterà vincente». Ci vuole una fede profonda, che è stata di tanti
uomini laici e di tanti religiosi di diversa appartenenza. Viene
naturale pensare a Gandhi di fronte all’Impero britannico, come ad altri
approcci cosiddetti “non violenti” che si sono rivelati molto più
efficaci delle soluzioni armate. Trattandosi di uno scontro tra logiche
irriducibilmente alternative, è chiaro come, alla prova dei fatti, siamo
sempre un po’ nella posizione di Saul, tirati da entrambe le istanze,
attraversati al nostro interno dal loro scontro. Il male ci sta di
fronte e ci urla addosso la sua mostruosa forza: con quali strumenti ci
opporremo?
La sconfitta di Golia
Conoscendo
l’esito del confronto, questa lunga disquisizione sui mezzi può sembrare
un puro esercizio di retorica: non si tratta che di dar prova di
scaltrezza nel riconoscere il punto debole del gigante e scegliere
l’arma migliore per colpirlo. Ma questo significa misconoscere
l’opposizione drammatica delle due logiche prima del combattimento. È in
quel momento che dobbiamo collocarci, quando l’esito è tutt’altro che
scontato: non si sa come andrà a finire quando si decide quale mezzo
utilizzare per andare incontro al male con la speranza – e solo con
questa! – di sconfiggerlo.
1Samuele 17, 41-50
41 Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva. 42
Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo,
perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. 43
Il Filisteo disse a Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a
me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi
dèi. […] 48 Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse a prendere posizione in fretta contro il Filisteo. 49
Davide cacciò la mano nella sacca, ne trasse una pietra, la lanciò con
la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella
fronte di lui che cadde con la faccia a terra. 50 Così
Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra,
colpì il Filisteo e l’uccise, benché Davide non avesse spada.
Scriveva il card. Martini commentando questo brano: «Sono chiaramente
opposte le due maniere di agire. Da una parte la prudenza politica,
dall’altra il coraggio “teologico”. Davide ha delle ragioni su cui fonda
il suo coraggio che non è perciò né stupido né irrazionale. Queste
ragioni però esigono l’accettazione di un nuovo rischio» (MARTINI
C.M., Le ragioni del credere, Mondadori, Milano 2011, 235).
Una
prassi non violenta, che non adotta cioè le stesse “armi” del male
nella spirale della paura e della prudenza politica, chiede l’assunzione
del rischio. Non vi è la certezza del successo. Anzi, la storia mostra
spesso la sconfitta di Davide e la vittoria di Golia. Per questo uomini e
donne restano prigionieri della paura e quel Golia che vince sarà prima
o poi sconfitto da uno più forte di lui: solo per poco potrà dire di
aver liberato il suo popolo!
Non è quella dunque la strada per
una autentica e duratura risoluzione dei conflitti, quella di cui il
mondo ha bisogno: una volta decantati gli elementi epici e gli aspetti
più squisitamente teologali, il testo che abbiamo esaminato pone alla
nostra attenzione la questione del discernimento degli strumenti più
efficaci per la soluzione dei conflitti. Ma forse, in modo ancora più
radicale, quella delle paure che bloccano le nostre società in tanti
“equilibri del terrore” e precludono il ricorso a logiche diverse, di
cui pure intuiamo il fascino: non è questa la dinamica bloccata tra il
richiamo dell’incontro e del dialogo e le tante ossessioni securitarie?
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