La storia è il ritratto di una famiglia a “Roma”, quartiere alto-borghese di Città del Messico nei primi anni ’70, al momento della sua disgregazione, quando il padre, medico facoltoso, abbandona la moglie Sofía e i quattro figli per una nuova relazione. Parallelamente si svolge la vicenda dell’indigena Cleo, domestica della famiglia, messa incinta e abbandonata da un giovane balordo, fanatico di arti marziali e membro degli squadroni della morte. Sullo sfondo, l’instabilità politica e sociale, le proteste studentesche la loro repressione violenta ad opera dei gruppi paramilitari Los Halcones.
I livelli del racconto si intersecano, al punto che la vicenda privata appare quasi come la cassa di risonanza di una storia messicana riletta nella prospettiva della dominazione, prima coloniale, poi sociale e politica. In questa ottica, il film si può interpretare come una meditazione sulle varie forme di oppressione e sulla loro intersezione, mettendo al centro la condizione di Cleo che, in quanto povera, donna e india occupa l’ultimo gradino della scala. Roma è un film di donne, bambini e animali. In primo piano spiccano le figure femminili, impegnate a mantenere vivo un tessuto umano, di fronte a un mondo maschile percepito come violento e irresponsabile.
Sul versante opposto, i personaggi maschili appaiono vuoti, al limite del ridicolo: il padre, del quale non vediamo mai il volto, definito sulla scena dagli orpelli di una virilità posticcia: gli abiti eleganti, l’auto di grossa cilindrata, la sigaretta; il fidanzato di Cleo, assorbito dagli esercizi ginnico-militari agli ordini di una specie di santone, salvo poi svignarsela dal bagno di un cinema alla notizia della gravidanza di lei. Vengono poi i bambini, vittime inconsapevoli, convinti che il padre stia facendo un ciclo di conferenze in Canada; portano avanti il loro quotidiano, tra scuola e giochi, ma assorbono le preoccupazioni dell’ambiente domestico, in un crescendo di tensione che sfocia in una rissa fra i due fratelli. Infine, gli animali: il cane Borros, al quale nessuno bada – eccetto Cleo che ogni sera deve raccoglierne gli escrementi – perso in un andirivieni senza senso nel cortile di casa, dal quale tenta invano di uscire. Su un gradino ancora più basso, i corpi morti degli animali imbalsamati che campeggiano sui muri della villa di campagna, muti testimoni dell’ultimo stadio dell’oppressione: la riduzione del corpo vivente a oggetto.
Ma Roma mette in scena una forza che appare in grado di resistere alla reificazione: la resilienza femminile, intesa come capacità di accoglienza e dedizione incondizionata alla vita. Saranno infatti le tre donne del film, Cleo, Sofía e sua madre, a mantenere vivo il nucleo familiare, che appare in conclusione stremato ma ancora in piedi, salvato dal naufragio.