Rifugiati, i tanti dubbi sull'accordo con la Libia

Maurizio Ambrosini
Alla vigilia della sospensione dell’attività politica per le vacanze estive, arriva quasi a sorpresa e in maniera confusa la notizia di una specie di accordo con la Libia per l’invio di navi da guerra: a sostegno, si dice, della marina libica in lotta con i trafficanti di esseri umani.

A parte il fatto che i beneficiari di un simile aiuto non ne sembrano entusiasti, e la portata della missione ha dovuto essere subito ridimensionata, poche voci si sono levate in difesa degli esseri umani “trafficati”  e della loro sorte.
Le loro domande di asilo dovrebbero essere verificate in Libia, presso hotspot gestiti da organismi sovranazionali specializzati (UNHCR e OIM). Ma una simile operazione comporta diverse incognite.

La prima riguarda il trattamento da parte delle forze armate libiche prima della consegna agli hotspot. Le testimonianze dei maltrattamenti inflitti alle persone in transito sono troppo note e numerose per non sollevare dubbi.

La seconda incognita riguarda il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, compreso quello di appello a seguito di un eventuale diniego. Non si vede come possano farlo strutture di emergenza come gli hotspot, che tipo di assistenza legale e piscologica possano offrire.

Una terza domanda riguarda il delicato rapporto tra i servizi disponibili presso gli hotspot e quelli a disposizione della popolazione libica: per esempio la sanità. Se i servizi saranno scadenti, comporteranno una violazione dei diritti umani. Se verranno portati a standard occidentali, provocheranno risentimento presso la popolazione locale che non ne potrà fruire.
Un’ultima e forse più grave questione riguarda il destino dei richiedenti asilo diniegati. Se non potranno venire in Europa, rimarranno in Libia. Bisogna domandarsi come verranno tutelati e chi se ne farà carico.

Tante incognite, come si vede. Risposte finora poche, forse nessuna.


01 agosto 2017
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