Rifugiati, colpevoli di esistere

Maurizio Ambrosini
Il provvedimento di dissequestro della nave dell’ONG spagnola Open Arms sembra indicare che la clamorosa azione giudiziaria lanciata dalla procura di Catania contro i soccorsi in mare si sta finalmente incanalando verso l’esito più logico: quello della riaffermazione del primato della salvaguardia delle vite umane in percolo, contro l’idea di introdurre un “reato di solidarietà” e una concezione della sovranità impermeabile ai diritti umani universali.

Non così si era espresso qualche settimana fa il GIP di Catania. Pur lasciando cadere l’accusa davvero incredibile di associazione per delinquere, aveva confermato quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le motivazioni addotte appaiono illuminanti per comprendere lo spirito dei nostri tempi e il contesto politico-culturale in cui s’inscrive l’azione della magistratura catanese.  

Pur riconoscendo, a differenza dei suoi colleghi della procura della Repubblica, il trattamento disumano e «veramente degradante» che i migranti subiscono nei campi libici, aveva però ritenuto prioritaria «la tutela dell’ordine pubblico, e delle esigenze di sicurezza e di pacifica convivenza all’interno di ogni singolo Stato (assicurata mediante un razionale contingentamento del flusso migratorio)». Salvare vite, in sostanza, sarebbe secondario rispetto ai presunti disagi per i cittadini derivanti dal dover accettare un certo numero di persone in cerca di asilo. Per la loro mera presenza, i rifugiati rappresenterebbero una minaccia per l’ordine pubblico. Per di più, il GIP aveva negato che le persone soccorse si trovassero in pericolo di vita, giacché avrebbero potuto essere soccorsi dalla Guardia Costiera libica che li avrebbe ricondotti indietro. Il giudice affermava a questo proposito che «la ripresa di una situazione di vita problematica» a causa delle «condizioni precarie» dei campi profughi libici (si notino gli eufemismi) «non assume rilevanza alcuna». Contrariamente alle norme internazionali sul soccorso in mare, per il GIP catanese il concetto di "porto sicuro" non comporta alcuna specificazione circa il trattamento riservato dopo l’approdo alle persone tratte in salvo. 

Sappiamo che il pendolo delle democrazie in questo nostro tempo oscilla verso il polo del sovranismo, delle chiusure e della contrapposizione tra una presunta priorità dei poveri interni e una protezione dei diritti umani allargata anche a chi arriva da lontano. Le ONG attive in mare sono oggi al centro di una contesa che dice molto sulle nostre concezioni di nazione, diritti universali, doveri verso l’umanità.





23 aprile 2018
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