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Ricostruire l’Italia: l’eroismo alla nostra portata

Fascicolo: marzo 2022

«Giorni travagliati». Con queste concise parole, pronunciate in occasione del discorso di giuramento del 3 febbraio 2022 davanti al Parlamento in seduta comune (disponibile in <www.quirinale.it>), Sergio Mattarella ha ricordato gli otto scrutini concentrati in sei giorni, in cui è passato dall’essere l’inquilino uscente del Quirinale al secondo mandato come Presidente della Repubblica. Si è già molto scritto nelle cronache dei giorni del voto e nelle successive ricostruzioni sui diversi passaggi che hanno portato alla sua rielezione: dalla girandola di scrutini con l’indicazione da parte dei partiti di votare scheda bianca o qualche candidato di bandiera alla bocciatura per veti incrociati delle personalità proposte dall’una o l’altra parte, fino al voto per Mattarella, che era considerato il “piano B”, la soluzione estrema a cui ricorrere in caso di impasse politica. Non è necessario ripercorrere questi eventi, tra l’altro seguiti con molta attenzione dall’opinione pubblica, ma è utile rileggerli a distanza di qualche settimana, per cogliervi alcune dinamiche di fondo.

 

Le risorse su cui possiamo contare

La riconferma di Mattarella al Quirinale, nonostante la sua dichiarata indisponibilità, mostra il fiato corto del nostro sistema politico. Per decenni, la rielezione del Capo dello Stato era stata studiata da giuristi e politologi come un caso ipotetico, teoricamente possibile e legittimo, di fatto sconsigliabile innanzi tutto per la lunghezza del mandato presidenziale e per l’opportunità di avere un ricambio nelle più alte cariche dello Stato.

 

Il rinnovarsi di questo evento, dopo la rielezione di Napolitano nel 2013, si aggiunge a una serie di episodi che dagli anni ’90 in poi, con il passaggio alla Seconda Repubblica, presentano un tratto in comune: il ricorso a soluzioni che possono essere definite eccezionali e che evidenziano un’insufficienza del sistema politico a trovare al proprio interno risposte all’altezza dei problemi da affrontare. Ricordiamo in tal senso i vari casi in cui la guida del governo è stata affidata a personalità esterne alla politica, quali furono al momento della loro nomina Ciampi, Dini, Monti e l’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

 

Queste scelte ci dicono però anche qualcosa in più. In primo luogo, non hanno scardinato il nostro quadro istituzionale e costituzionale. Dopo un tempo congruo le soluzioni “eccezionali” hanno lasciato il passo a un ritorno alla dialettica tra le forze politiche e all’espressione della volontà dei cittadini, attraverso le consultazioni elettorali. Secondariamente ci mostrano che il nostro sistema Paese ha saputo trovare in momenti critici figure competenti e stimate, che, animate dal senso dello Stato, si sono messe a disposizione per far fronte a difficili emergenze sul piano economico o sociale, come l’innalzarsi dello spread nel 2011 o la recente pandemia. Questo aspetto va riconosciuto al di là dei giudizi che possono essere formulati a posteriori sul loro operato. Inoltre, in un’epoca di personalismi e leadership autoreferenziali, chi ha pensato di impegnarsi nella politica, come nel caso di Dini e Monti, dando vita a un nuovo partito, è andato incontro a esiti modesti, quasi a evidenziare che la loro autorevolezza si legava all’impegno profuso come civil servant, un patrimonio di stima che non si traduce automaticamente in capitale politico.

 

D’altronde, per quanto mediaticamente affascinante, la figura del “salvatore della patria”, in grado di risolvere tutti i problemi del Paese, non ha una vera consistenza e non conduce a nessun risultato effettivo. Ne è ben consapevole il presidente Mattarella, a cui i grandi elettori hanno chiesto – suo malgrado – di svolgere un ruolo di questo tipo. Lo testimonia in modo chiaro un passaggio del suo discorso, quando richiama con forza il coinvolgimento e l’impegno di «Forze politiche e sociali, istituzioni locali e centrali, imprese e sindacati, amministrazione pubblica e libere professioni, giovani e anziani, città e zone interne, comunità insulari e montane» nell’impresa di far ripartire il Paese dopo le forti ripercussioni della pandemia. Un elenco ampio, in cui è ricordata ogni forza viva delle istituzioni e della società civile, per sottolineare che si tratta di un impegno collettivo e non di pochi – certamente non solo il suo –: è necessario il concorso di tutti, ognuno secondo le proprie competenze e possibilità, perché possiamo costruire un Paese più giusto e moderno, più solidale e inclusivo.

 

I ricorrenti stalli della politica italiana

Constatare la ricchezza del patrimonio di risorse a cui il nostro Paese può fare appello e la tenuta complessiva del nostro sistema istituzionale non è però un invito ad abbassare la guardia. Il ripetersi a distanza ravvicinata di questi episodi indica anzi un rischio concreto: il carattere di “eccezionalità” di questi eventi si sta sbiadendo e gli affanni della politica rischiano di divenire endemici e non solo episodici.

 

Nella vicenda della rielezione di Mattarella colpisce un aspetto: la scelta di congelare lo status quo è dipesa dall’incapacità dei partiti di trovare un accordo per una soluzione differente. Nel nostro sistema, l’elezione del nuovo Capo dello Stato è uno snodo politico cruciale. Lo era in particolare in questo caso, dato che il percorso seguito per individuare il profilo del nuovo Presidente e la maggioranza per eleggerlo avrebbe avuto un impatto anche sulla vita del Governo Draghi, nato proprio per iniziativa del presidente Mattarella e sostenuto da una maggioranza anomala e trasversale, che va dalla Lega a Liberi e Uguali (LeU). Di riflesso, era in gioco anche la durata dell’attuale legislatura: un’eventuale spaccatura della maggioranza che sostiene il Governo avrebbe potuto aprire le porte a elezioni anticipate. A questi delicati incastri sul piano istituzionale, si aggiungeva l’urgenza di portare avanti con chiarezza e stabilità gli interventi previsti dal PNRR, cruciale per la ripresa economica e sociale del Paese.

 

Le forze politiche si trovavano di fronte uno scenario senz’altro complesso, senza soluzioni semplici o sicure, in cui la posta in gioco era alta e richiedeva la capacità di prendere decisioni, alla luce di una visione del futuro del Paese. Ma è proprio questa capacità di decidere che è mancata ed è da tempo debole nel nostro Paese. L’indicazione di votare scheda bianca in attesa di definire una strategia di azione – a lungo ricercata nella logica della contrapposizione invece che in quella del confronto, come dovrebbe essere nello spirito della Costituzione per l’elezione del Capo dello Stato – è stata il segno di un’impotenza percepita e riconosciuta come tale da parte di tanti italiani. La stessa scelta di rieleggere Mattarella è giunta quasi come una capitolazione, dopo che un numero crescente di “grandi elettori” ha iniziato a votarlo di fronte all’assenza di alternative credibili proposte dai cosiddetti kingmaker, cioè i leader dei principali partiti.

 

Quanto accaduto a Montecitorio in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica è allora sintomatico di un malessere più diffuso e radicato nel nostro sistema politico, riflesso amplificato di un tratto caratterizzante la nostra società, sempre più anziana e stanca, ripiegata nella difesa di rendite e interessi, povera di creatività e dinamismo. La difficoltà di prendere decisioni si traduce, in modo più o meno consapevole, nell’immobilismo o nel rinvio quando si tratta di temi difficili, che possono portare a confronti anche aspri. Ma visto che alcune questioni vanno comunque affrontate, allora si lascia, implicitamente, che siano altri a farsene carico: altri organi dello Stato, come è avvenuto, ad esempio, con le sentenze della Corte costituzionale sulle leggi elettorali o sulle questioni legate alle scelte di fine vita; o altri settori della società civile e del Terzo settore, che vengono incontro alle tante piccole e grandi urgenze quotidiane di chi è più in difficoltà, sopperendo all’assenza o insufficienza delle politiche in materia.

Per un impegno maturo

Una delle cause principali dello scollamento crescente tra i cittadini e le istituzioni e del venir meno della partecipazione politica viene spesso identificata con l’insufficiente coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali. Si cercano allora soluzioni per porvi rimedio, come nel caso della Conferenza sul futuro dell’Europa (cfr i Dialoghi di questo numero, alle pp. 151-164). Ma non meno dannosa è la percezione di una politica irrilevante, incapace di esprimere una visione complessiva sull’avvenire del Paese, sulle priorità da perseguire e i mezzi da adottare per raggiungere quanto si è prefissato. Non a caso, Mattarella nel suo discorso ha individuato una serie di questioni da affrontare, di riforme da realizzare, di decisioni per rivitalizzare il Paese, offrendo una prospettiva capace di tenere insieme in modo integrale aspetti diversi attraverso la chiave della dignità, termine ripetuto ben 18 volte nel suo discorso. Il ripiegamento su singoli obiettivi può “pagare” nel breve periodo in termini di consenso, ma alla lunga mina la credibilità, dato che semplifica – e non affronta seriamente – questioni molto più complesse. Un esempio eloquente è quello delle politiche migratorie, che non si limitano alla questione degli sbarchi dei migranti, ma che richiedono di prendere in considerazione il bisogno di professionalità per il nostro sistema economico, le prospettive demografiche del Paese, la situazione delle seconde generazioni, il rispetto dei diritti dei rifugiati politici, giusto per citare gli aspetti di maggior rilievo. È facile prevedere che l’anno che ci separa dalla scadenza naturale dell’attuale legislatura sarà un periodo di alta fibrillazione per i partiti che si preparano al voto. Ma i prossimi mesi saranno importanti da tanti punti di vista: dalla riscrittura della legge elettorale, anche solo per tener conto del taglio dei parlamentari, al proseguimento del percorso intrapreso per superare l’emergenza sanitaria, economica e sociale causata dalla pandemia, che si estende su più anni.

 

Durante il primo lockdown si è parlato di eroi riferendosi alle persone che hanno assicurato i servizi essenziali e anche il presidente Mattarella è stato considerato tale per aver accettato la rielezione a scapito dei suoi progetti personali. Se si leggono queste scelte in chiave messianica si resta nell’attesa illusoria che un agente esterno potrà risolvere ogni problema. In realtà, questi comportamenti ci interrogano: quale impegno ciascuno di noi è pronto ad assumere, anche a costo di una rinuncia, per fare la propria parte nel promuovere beni come la democrazia, la solidarietà, l’equità? Tenere a mente questa domanda, che è rivolta ai politici, così come ai soggetti ricordati da Mattarella nel suo discorso, ci aiuterà a vivere il nostro impegno civico e politico di cittadini e corpi intermedi in modo più maturo, capace di farsi carico della complessità del presente, di far crescere le potenzialità che richiedono di esprimersi appieno, di contribuire a gestire i conflitti troppo spesso esacerbati presenti nella nostra società.

 

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