Razzismi 2.0

Analisi socio-educativa dell’odio online

di Stefano Pasta
Morcelliana, Brescia 2018, pp. 218, € 20
Scheda di: 
Fascicolo: febbraio 2019

Maggio 2015. Una bambina di due anni muore folgorata in un campo rom alla periferia di Napoli. Sulla pagina Facebook del quotidiano che riporta la notizia, compaiono decine di commenti con faccine sorridenti e affermazioni compiaciute: «una di meno», «sarebbe diventata una ladra» ecc. Gli autori dei commenti non sono militanti di qualche gruppo neonazista ma persone “normali”, i loro profili sembrano rinviare a vite affatto ordinarie. Situazioni di questo tipo, sempre più diffuse, provocano turbamento e mettono in dubbio la nostra fiducia negli altri, basata sulla convinzione che esista un consenso minimo su alcuni valori e diritti fondamentali, come il rispetto della vita di un bambino. Questi episodi evocano la “banalità del male” denunciata da Hannah Arendt: quella combinazione di conformismo e assuefazione all’orrore che rese possibile la Shoah. Come interpretare la diffusione dello hate speech, dei discorsi carichi di odio, sulle reti sociali? Si tratta dello sfogo di frustrazioni individuali o è il sintomo dell’avanzata progressiva di una cultura politica estranea alla democrazia e ai diritti umani?

Il presente libro, uno studio a cavallo fra pedagogia e sociologia, fra teoria sociale e ricerca sul campo, rappresenta un ampio tentativo di rendere ragione di questo fenomeno e si propone di indicare possibili strade per contrastarlo. L’A. svolge un percorso che parte dalla ricognizione delle forme contemporanee di razzismo, procede all’analisi delle modalità tipiche di diffusione dei pregiudizi sui social network, restituisce i risultati di ricerche svolte sulle reti sociali, prende in esame le misure legislative adottate dall’Unione Europea e dall’Italia, indaga il ruolo dell’educazione e, infine, propone alcune strategie di contrasto. Si tratta di una materia complessa alla quale approcciarsi in modo multidimensionale, tenendo insieme gli aspetti psicologici e le caratteristiche del contesto sociale del web 2.0. L’affermarsi delle reti sociali segna, infatti, un superamento della distinzione fra mondo “reale” e “virtuale”: il web 2.0 è una realtà aumentata, luogo di interazioni sociali, e offre alle persone uno spazio, vasto e multiforme, dove collocarsi e nel quale l’esperienza, cioè il “reale”, si costruisce attraverso processi digitali. Tuttavia, le analisi del funzionamento di Facebook hanno dimostrato che l’esperienza digitale rischia di divenire sempre più autoreferenziale, rinchiudendo gli utenti in una cerchia di contatti che confermano le loro idee. Lo hate speech è un modo di abitare questo inedito spazio sociale e di affermare la propria identità, a discapito delle possibilità di conoscenza e di dialogo offerte dalla Rete. Possiamo leggere questo libro attraverso alcune domande: come si configuri oggi il razzismo, quali caratteristiche assuma nell’ambiente online e come sia possibile contrastarlo.

In primo luogo, che cos’è oggi il razzismo? L’A. propone di svincolare il concetto dalle teorie biologiche del XIX secolo, ormai screditate, le quali ci impediscono di cogliere la complessità di un fenomeno fluido, generato dal sovrapporsi di paradigmi diversi e che, tuttavia, converge nel costituire un “fatto sociale totale”, in quanto include rappresentazioni (l’insieme dei pregiudizi), razionalizzazioni (argomentazioni giustificatorie) e pratiche (atteggiamenti sociali discriminatori). Occorre perciò adottare la categoria dei “neorazzismi”, in cui convivono diverse logiche oppositive: cultura, religione, tratti somatici, condizione sociale ecc. e si mettono in atto processi di differenziazione e di gerarchizzazione fra gruppi umani. Alcuni studiosi, tra cui Michel Wieviorka, sottolineano come, nelle società occidentali contemporanee, si sia rafforzata la logica della differenziazione sotto la spinta della frammentazione culturale, espressa anche dalla tendenza a costituire “comunità” fra loro separate all’interno del medesimo tessuto sociale. Questa evoluzione sembra segnare il passaggio da un razzismo ispirato alla gerarchizzazione dei gruppi umani sulla base di presunti parametri universali a forme di intolleranza che si limitano a contrapporre identità particolari. In anni recenti, colpisce particolarmente il fenomeno della rottura dei tabù culturali rispetto all’esibizione dell’odio. È un processo di estensione della sfera del socialmente accettabile, che si avvale di alcune retoriche molto efficaci: la squalifica del “politicamente corretto” e del presunto moralismo di alcune élite intellettuali, alle quali si vuole contrapporre l’esperienza del “popolo”. Quest’ultima è riflessa da un insieme di assunti, che l’A. chiama “pedagogie popolari” e che forniscono chiavi di lettura semplificate di fenomeni complessi.

Secondariamente, in che modo l’ambiente digitale influenza la diffusione di pregiudizi? Abbandonata una concezione ingenua delle tecnologie come strumenti neutrali a disposizione del fare umano, appare evidente che l’esperienza è strutturata dal fatto di abitare un preciso spazio tecnologico. Nel caso delle reti sociali, l’esperienza dell’utente è strutturalmente connotata dalle proprietà del dispositivo fisico (ad esempio velocità di acquisizione dei dati), dagli elementi simbolici dell’interfaccia e dalle prassi collegate (ad esempio il selfie o i limiti di caratteri imposti da Twitter). La velocità dei processi comunicativi sembra giocare un ruolo chiave, in quanto abbatte il tempo della riflessione, proprio della scelta consapevole.

L’A. fa riferimento a una serie di studi, nei quali i ricercatori hanno interagito con utenti delle reti sociali, per lo più adolescenti, che avevano pubblicato o diffuso contenuti razzisti. Si è così creato uno spazio minimo di riflessione e di valutazione dei propri gesti in cui è emerso che la maggior parte degli utenti rinuncia a confermare le proprie posizioni, affidandosi a strategie giustificatorie, attribuendo il proprio comportamento all’impulso di un’emozione momentanea e confermando così l’influenza dei tempi di comunicazione sui contenuti. Ma emergono anche altri dati indicativi. Il primo è la pretesa di non voler essere presi sul serio, di agire per scherzo: questa affermazione è drammatica, perché svuota di senso quel fondamentale atto di dignità e di libertà che è il prendere la parola in pubblico. Colpisce inoltre la banalizzazione dei contenuti: gli utenti tendono a minimizzare la portata delle proprie affermazioni, spesso giustificandole con la loro presunta evanescenza: si radica così l’erronea percezione che sul web tutto passi senza lasciare traccia, mentre accade esattamente il contrario: ogni contenuto affidato alla Rete diventa definitivamente indisponibile. Fra i temi emergenti, spicca inoltre quello relativo alla capacità di riconoscere, interpretare ed esprimere in modo adeguato i propri vissuti emotivi. Il medium digitale riconfigura la percezione emotiva, separandola dalla compresenza corporea: accade dunque che alla moltiplicazione degli stimoli corrisponda una crescente difficoltà a gestirli. Il cosiddetto “analfabetismo emotivo”, soprattutto nelle nuove generazioni, può favorire l’incitamento all’odio. Si ha l’impressione, infatti, che molti hater non percepiscano la violenza dei propri messaggi perché non la avvertono in se stessi e perché nell’ambiente virtuale non possono accorgersi della sofferenza che provocano. Alla luce di queste indagini, il razzismo in Rete si presenta come un fenomeno frastagliato, difficilmente riducibile a traiettorie motivazionali coerenti: restituire questa immagine è, senza dubbio, un pregio del libro.

Infine, quali atteggiamenti e strategie possiamo assumere in risposta ai contenuti razzisti che incontriamo sui social? Molti scelgono di non intervenire, per evitare di aumentarne la visibilità. Scelta ragionevole ma che lascia un interrogativo etico: è giusto restare in silenzio davanti a menzogne e comportamenti aggressivi? Altri utenti ingaggiano dispute tanto accese quanto inefficaci, ottenendo solo di radicalizzare le posizioni. Una terza via, che sembra più promettente, è l’intervento indiretto, che avanza domande critiche o propone narrazioni alternative dei fatti. Secondo l’A., le risposte alle performance razziste rappresentano un «capitale antirazzista» (p. 160) da valorizzare. «È da questa attivazione [...] che occorre partire per promuovere un’azione educativa contro i razzismi, nella consapevolezza che gli spazi decentralizzati (come è la Rete), costituiti dal potere di molti, sono lo strumento migliore per combattere i movimenti di odio, anch’essi decentralizzati. La domanda da porsi è come favorire azioni che facilitino un’attivazione civica nell’ambiente digitale» (ivi). Egli suggerisce pertanto diverse iniziative e strategie di attivismo online: creazione di gruppi di sorveglianza, verifica dei fatti, diffusione di narrazioni che suggeriscano altri punti di vista per disinnescare la propaganda dell’odio.

L’altro fronte di impegno è, secondo l’A., quello educativo, attraverso azioni che facilitino la presa di contatto con il proprio mondo interiore, creando l’abitudine a darsi un tempo di interiorizzazione e di valutazione dei vissuti emotivi. Un punto qualificante della proposta educativa sarà integrare le competenze razionali (interpretazione dei dati ecc.) con il mondo emotivo: «l’educazione deve insegnare la conversione delle emozioni in pensieri e dei pensieri in elaborazioni coscienti verbali» (p. 173). Anche l’empatia non può limitarsi a essere un’emozione, ma deve sfociare nella cultura partecipativa. L’A. si colloca così in una tradizione di pensiero che valorizza l’educazione come strumento della vita democratica.

Il libro svolge una sintesi di una grande quantità di dati e di riferimenti teorici, rischiando, in alcuni passaggi, un eccesso di densità. Tuttavia ha il merito di aprire la riflessione in più direzioni, indicando percorsi che possono essere approfonditi. Sul piano della proposta, due aspetti sono certamente apprezzabili: il fatto di restituire la complessità del fenomeno e la scelta di cercare soluzioni nel discernimento e in una proposta educativa globale.

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