Quando ci si chiede dove va l’Europa e come pensa di affrontare la cosiddetta “crisi migratoria” bisogna guardare ad alcuni passaggi insieme tecnici e simbolici. Il 15 dicembre a Bruxelles, a margine del vertice europeo a cui ha partecipato per la prima volta il nuovo premier italiano Paolo Gentiloni, è stato siglato un accordo con il Niger: 610 milioni di nuovi aiuti.
Istruttiva la motivazione ufficiale: “eccellente la sua cooperazione in materia di lotta all’immigrazione irregolare e la sua determinazione ad agire contro le organizzazioni criminali dei trafficanti e contro la corruzione”. La Commissione europea il giorno prima aveva dichiarato che il Niger, Paese chiave delle rotte dall’Africa Occidentale verso la Libia, aveva ridotto del 98% il passaggio di migranti e richiedenti asilo tra maggio e novembre.
L’accordo quindi rafforza la funzione del Niger come gendarme delle frontiere europee, senza neppure impegnarlo alla protezione dei rifugiati in transito. Indubbiamente va nel senso della domanda oggi percepita come prevalente negli elettorati europei. Ma segna un passaggio pericoloso, perché definisce senza mezzi termini come migranti irregolari tutte le persone che attraversano il Niger. In questo modo, dà ragione alle forze che in Europa da tempo definiscono come clandestini i richiedenti asilo provenienti dall’Africa, addirittura sostenendo che in Africa non ci sono guerre e dunque neppure persone meritevoli di accoglienza umanitaria.
Non è neppure vero che si aiutano gli africani a casa loro: li si divide, aiutando il Niger perché ricacci migranti e richiedenti asilo. Né si prevedono alternative per presentare domanda di asilo senza attraversare il Sahara e il Mediterraneo.
Per contrastare la xenofobia populista, i governi europei ne adottano la visione e le ricette. Non è un buon Natale per chi fugge in cerca di scampo, come la famiglia di Gesù inseguita da Erode.