ArticoloEtica sociale

Quando le nostre vite diventano merce. Dentro il capitalismo della sorveglianza

Intervista a cura di Sean Rose

Fascicolo: giugno-luglio 2021

Tra le sue ricerche, i lavori sul capitalismo di sorveglianza occupano un posto di primo piano. Com’è maturata la sua riflessione al riguardo?

 

Le prime intuizioni sul concetto di capitalismo di sorveglianza risalgono a molto tempo fa, ma hanno preso forma lentamente. Nel 1988 ho pubblicato il volume In the Age of the Smart Machine, basato su ricerche in fabbriche e uffici riguardo la svolta dell’informatizzazione nelle imprese. Ho osservato che il formidabile potere di attrazione esercitato dai computer in quel nuovo ambiente sociale (velocità nello svolgimento dei compiti, fluidità della comunicazione, ergonomia, ecc.) si accompagnava alla tentazione dei dirigenti di controllare i dipendenti. In seguito, ho elaborato il concetto di “panopticon digitale”. Il panopticon fu concepito da Samuel Bentham, fratello di Jeremy, il filosofo araldo dell’utilitarismo, per sorvegliare i servi della gleba ribelli della tenuta del principe Potemkin, alla fine del Settecento. Bentham si ispirò all’architettura delle chiese ortodosse russe, di cui c’erano molti esempi nella campagna circostante: nella cupola era raffigurato il Cristo Pantocratore, che contempla il suo gregge e, simbolicamente, l’intera umanità. Nessuno sfuggiva a quello sguardo onnipresente. Come in un mondo religioso nessuno sfuggiva alla conoscenza e al potere di Dio, così oggi nessuno sfugge agli “altri”, a ciò che chiamo il Grande Altro (Big Other), richiamando il Grande Fratello, ossia gli invisibili capitalisti della sorveglianza che decidono per voi.

 

Ma Internet, al contrario, ci dà l’impressione di essere più padroni delle nostre scelte?

 

Questo modo di far “partecipare” sempre più gli utenti al processo permette di aumentare il valore aggiunto del servizio offerto e, di conseguenza, il valore dell’impresa che lo propone. Ma questo ampliamento della comunità dei consumatori è mosso dalla volontà di sorvegliarli. Bisogna sapere che cosa consumano e che cosa piace loro consumare, per alimentarne i desideri di consumo e indirizzarli verso i prodotti da acquistare. Queste pratiche intrusive scoprono molte cose su di voi, senza che ve ne accorgiate. Il controllo del Grande Altro non è palpabile; è una sorveglianza a cui sembra difficile sfuggire proprio perché non è evidente. Quando è iniziata questa sorveglianza? Il primo filo che mi ha portato a scoprire la sorveglianza è stato il potere acquisito da queste imprese grazie al boom del fenomeno informatico. Mi sono resa conto che la tecnologia digitale era un formidabile strumento di controllo. Avevamo a che fare con un potere unilaterale, un movimento monopolistico, che andava in una sola direzione, senza alcuna controparte. Questo rischio era presente fin dall’inizio, possiamo risalire agli anni ’70, persino agli anni ’60. Si tratta di un problema di lungo termine, i cui effetti perdurano ancora oggi e continuano a crescere. [continua]

 

 

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