Tra le sue ricerche, i lavori sul capitalismo di sorveglianza occupano un
posto di primo piano. Com’è maturata la sua riflessione al riguardo?
Le prime intuizioni sul concetto di capitalismo di sorveglianza risalgono
a molto tempo fa, ma hanno preso forma lentamente. Nel 1988 ho pubblicato
il volume In the Age of the Smart Machine, basato su ricerche in fabbriche
e uffici riguardo la svolta dell’informatizzazione nelle imprese. Ho
osservato che il formidabile potere di attrazione esercitato dai computer in
quel nuovo ambiente sociale (velocità nello svolgimento dei compiti, fluidità
della comunicazione, ergonomia, ecc.) si accompagnava alla tentazione
dei dirigenti di controllare i dipendenti. In seguito, ho elaborato il concetto
di “panopticon digitale”. Il panopticon fu concepito da Samuel Bentham,
fratello di Jeremy, il filosofo araldo dell’utilitarismo, per sorvegliare i servi della gleba ribelli della tenuta
del principe Potemkin, alla fine
del Settecento. Bentham si ispirò
all’architettura delle chiese
ortodosse russe, di cui c’erano
molti esempi nella campagna
circostante: nella cupola era raffigurato
il Cristo Pantocratore,
che contempla il suo gregge e,
simbolicamente, l’intera umanità.
Nessuno sfuggiva a quello
sguardo onnipresente. Come
in un mondo religioso nessuno
sfuggiva alla conoscenza e al potere
di Dio, così oggi nessuno
sfugge agli “altri”, a ciò che chiamo
il Grande Altro (Big Other),
richiamando il Grande Fratello,
ossia gli invisibili capitalisti della
sorveglianza che decidono per voi.
Ma Internet, al contrario, ci dà l’impressione di essere più padroni delle
nostre scelte?
Questo modo di far “partecipare” sempre più gli utenti al processo
permette di aumentare il valore aggiunto del servizio offerto e, di conseguenza,
il valore dell’impresa che lo propone. Ma questo ampliamento
della comunità dei consumatori è mosso dalla volontà di sorvegliarli. Bisogna
sapere che cosa consumano e che cosa piace loro consumare,
per alimentarne i desideri di consumo e indirizzarli verso i prodotti da
acquistare. Queste pratiche intrusive scoprono molte cose su di voi, senza
che ve ne accorgiate. Il controllo del Grande Altro non è palpabile; è una
sorveglianza a cui sembra difficile sfuggire proprio perché non è evidente.
Quando è iniziata questa sorveglianza?
Il primo filo che mi ha portato a scoprire la sorveglianza è stato il potere acquisito da queste imprese grazie al boom del fenomeno informatico.
Mi sono resa conto che la tecnologia digitale era un formidabile
strumento di controllo. Avevamo a che fare con un potere unilaterale, un
movimento monopolistico, che andava in una sola direzione, senza alcuna
controparte. Questo rischio era presente fin dall’inizio, possiamo risalire
agli anni ’70, persino agli anni ’60. Si tratta di un problema di lungo
termine, i cui effetti perdurano ancora oggi e continuano a crescere. [continua]
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