L’enciclica che Pio XI pubblica il 15 maggio 1931 per il quarantesimo anniversario della
Rerum novarum – questo il senso dell’
incipit latino – costituisce il secondo grande pilastro dell’insegnamento pontificio moderno in materia sociale e traccia la linea che in seguito, di decennio in decennio, sarà più volte ripresa dai papi successivi. Valorizzazione intenzionale di una tradizione peraltro recente, questo atto pontificio ha in sé una portata quasi dottrinale che sarà confermata dalla
Mater et magistra (1961), dalla
Octogesima adveniens (1971), dalla
Laborem exercens (1981) e dalla
Centesimus annus (1991): il discorso sociale della Chiesa si prolunga innovando, adattandosi alle esigenze poste da situazioni che evolvono, alle trasformazioni della “questione sociale”. Per tale ragione sia le differenze sia le similitudini tra un documento e l’altro possono essere interpretate in modo legittimo e fecondo.
Nei quarant’anni successivi alla
Rerum novarum (1931) molti fatti erano avvenuti nel vecchio e nel nuovo mondo, in particolare la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa, sconvolgimenti che avevano accelerato i cambiamenti economici e sociali dell’epoca moderna. Vi è la consapevolezza che l’intero “ordine sociale” ha subito tale violenta scossa, per cui il tema della nuova enciclica si amplia dalla questione operaia alla «ricostruzione dell’ordine sociale». I problemi trattati sotto questo titolo ufficiale hanno origine in quella storia, ma Pio XI li coglie nell’attualità degli inizi degli anni Trenta.
Dalla grande crisi economica all’avvento dei regimi fascisti
Per quanto riguarda il contesto economico, il crac di Wall Street (12-24 ottobre 1929) rappresenta un punto di riferimento significativo. Dopo molti anni di prosperità, la grande crisi economica si abbatte sul mondo industriale americano e, due anni dopo, le sue ripercussioni colpiscono l’Europa. Milioni di persone rimangono disoccupate. La prima guerra mondiale aveva dato una sferzata allo sviluppo industriale, stimolando il miglioramento dei metodi produttivi e inducendo i Governi a intervenire nel ruolo di organizzatori. Ma in Europa c’erano state le rovine della guerra, e soprattutto, negli anni Venti, le crisi di riconversione e le concentrazioni industriali. Nel mondo, la bilancia del dinamismo industriale pende ormai dalla parte degli Stati Uniti e del Giappone.
Il contesto sociale è dunque contrassegnato, nell’immediato, dalla disoccupazione. Ma, a partire dall’inizio del secolo, il movimento sindacale aveva conosciuto un grande sviluppo: dal 1914-15 al 1920 gli iscritti al sindacato passano da 600mila a 2 milioni in Francia, da 4 a 8 milioni in Gran Bretagna, da 800mila a 2,5 milioni in Germania, da 2 a 4 milioni negli Stati Uniti. Inoltre il sindacalismo comincia a estendersi a nuove categorie sociali, come gli impiegati. Tuttavia, a partire dal 1920, il movimento sindacale è agitato da vivacissimi dibattiti, che giungono fino a provocare rotture tra i fautori della linea rivoluzionaria e i riformisti. A favore della linea riformista hanno optato, per realismo, i sindacati tedeschi, italiani, britannici e americani. Essi aderiscono alla Federazione sindacale internazionale. Invece, il Partito comunista dell’Unione Sovietica propone l’adesione all’Internazionale sindacale rossa o Profintern. A seguito di questa opposizione, nel 1921 in Francia la CGT (Confederazione generale del lavoro) si spacca con la nascita della CGTU (Confederazione generale del lavoro unitaria) che adotta la linea rivoluzionaria [Nello stesso anno in Italia, al Congresso di Livorno, una analoga scissione del Partito socialista condusse alla nascita del Partito comunista. NdR]. Sempre in Francia, la CFTC (Confederazione francese dei lavoratori cristiani), nata nel 1919, contribuisce a introdurre il pluralismo sindacale; essa aderisce, a livello dapprima europeo e poi internazionale, alla Confederazione internazionale dei sindacati cristiani. Ricordiamo infine che l’Organizzazione internazionale del lavoro, creata dal Trattato di Versailles (1919), interessa i sindacati, soprattutto tramite l’Ufficio internazionale del lavoro (BIT).
Del contesto politico prendiamo in considerazione soltanto gli aspetti più determinanti per la questione sociale. L’intervento dello Stato, più marcato di un tempo nel campo economico, lo è ancor più in quello sociale. È l’epoca in cui, in Europa, prendono il potere Governi forti, sulla base di programmi che affermano una volontà sociale. Così in Italia si ha il fascismo di Mussolini, che nel 1930 impone il corporativismo di Stato, irreggimenta la gioventù e organizza grandi lavori pubblici, proponendo nel contempo il diversivo di una ritrovata grandezza nazionale. Salazar assume il potere in Portogallo e Dollfuss in Austria: entrambi cattolici che dichiarano di richiamarsi alla dottrina della Quadragesimo anno. In Germania si verifica l’ascesa del nazionalsocialismo, considerata più minacciosa. Infine non va dimenticata, malgrado la tregua fra il 1929 e il 1931, la persecuzione religiosa che infierisce in Messico. Abbiamo già sopra osservato l’influenza internazionale che l’Unione Sovietica esercita attraverso i vari partiti comunisti. In tale contesto, Pio XI conduce, laddove gli sembra possibile, una politica di concordati con gli Stati: è il caso dei Patti lateranensi (1929), che danno vita alla Città del Vaticano normalizzando lo statuto della Santa Sede e i suoi rapporti con lo Stato italiano; la pace politico-religiosa è per lui una delle condizioni della pace sociale.
L’evoluzione delle ideologie sociali traspare dai diversi progetti politici di destra e di sinistra sbandierati come socialisti e che hanno preso o stanno per prendere la strada dell’autoritarismo, o addirittura del totalitarismo. In Francia, a partire dal Congresso di Tours (1920), si è chiaramente operata la distinzione tra i comunisti e le altre correnti socialiste. Ma queste ultime rimangono divise, in Francia e in Germania, tra prospettive teoriche violente e rivoluzionarie (Karl Kautsky, Benoît Malon, Georges Sorel), oppure più morali e a tendenza personalistica (Jules Guesde, Henri de Man). Questo socialismo moderato è in grado di attrarre alcuni cattolici sociali. All’altro estremo della gamma ideologica, anche il neoliberali-smo ha i suoi teorici negli Stati Uniti e in Europa: meno conservatori rispetto ai vecchi liberali, criticano accanitamente tutti i monopoli e, ovviamente, il dirigismo economico. La convergenza di tutte queste dottrine nel proporre o un ordine sociale o una visione globale, spiega anche l’inquadramento d’insieme preannunciato nel titolo dell’enciclica di Pio XI.
Pio XI e il pensiero sociale cattolico
Tra gli effetti positivi prodotti dalla Rerum novarum bisogna annoverare, oltre alle realizzazioni sociali come il sindacalismo cristiano, il fermento delle idee. Una delle sedi principali di tale fermento fu, in Francia, la serie delle Settimane sociali. Ma nel mondo operano numerose scuole di pensiero sociale cattolico, alcune delle quali organizzano le loro “settimane”: in Italia, Spagna, Belgio, Gran Bretagna, Cile, Iugoslavia, ecc. Queste scuole sono in comunicazione tra loro: è il momento di una vera “scienza sociale cattolica”. Con principi di base comuni, le differenti accentuazioni corrispondono ai contesti regionali e alle forme dell’esperienza sociale. Due di queste scuole influiscono in maniera più diretta sulla redazione della Quadragesimo anno.
Fin dall’inizio del suo pontificato (1922) Pio XI pensava a un’enciclica sociale. Quando giudicò che fosse arrivato il momento, ne affidò una redazione preparatoria al p. Oswald von Nell-Breuning, giovane gesuita tedesco vicino agli ambienti sindacali di tendenza liberale. Quest’ultimo si ispirò all’insegnamento del suo confratello, p. Gustav Gundlach, professore alla Università Gregoriana a Roma. La parte più teorica della Quadragesimo anno si deve alla loro ispirazione. Ma il papa invitò il gesuita francese p. Gustave Desbuquois di Action populaire e probabilmente altri esperti a fornire la loro visione dei problemi sociali: visione più circostanziata che si trova nella terza parte del testo. Il p. Müller (Belgio) fu probabilmente l’ultimo estensore dopo sette o otto redazioni intermedie.
Malgrado le peripezie oggi note di tale redazione, Pio XI rimane l’ispiratore dell’enciclica. Molto attento ai mutamenti sociali e al loro divenire, sentì la necessità di fare il punto in modo preciso. Volle incoraggiare e consolidare il movimento sociale cattolico e promuoverne l’estensione con l’appoggio di un’altra realtà ecclesiale allora in piena ripresa, l’Azione cattolica, che la Quadragesimo anno menziona più volte. Si può anche osservare che, con il ricorso a citazioni di san Paolo, si delinea nel testo una teologia del corpo mistico, allora di attualità. Con riferimento alla situazione italiana di allora, si sa oggi che Pio XI aggiunse di suo pugno un passo sulle corporazioni (nn. 92-96) che, dietro al suo stile molto romano, contiene un’aspra condanna del corporativismo di Mussolini. Si dice che quest’ultimo abbia manifestato un vivo malcontento.
Teoria e pratica nell’economia del testo
La Quadragesimo anno si apre con una prima parte che, nel commemorare la prima enciclica sociale, ne valuta i frutti. Pio XI si rallegra della dinamica del cattolicesimo sociale, un movimento in cui laici e sacerdoti hanno sviluppato una «sociologia cattolica» (n. 20) e l’hanno messa in opera. Ne sottolinea gli effetti sul piano delle mentalità, ma anche nell’azione dei Governi volta a elaborare un diritto sociale (nn. 25-28) e soprattutto in quella degli interessati stessi, in particolare nelle associazioni e nei sindacati (nn. 2938).
Il principio di sussidiarietà (Quadragesimo anno, nn. 80-81)
80. È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.
81. Perciò è necessario che l'autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso. La seconda parte, prevalentemente dottrinale, apporta un contributo di carattere fondamentale e alcune puntualizzazioni sulla vita economica e sociale: diritto di proprietà, relazioni tra capitale e lavoro, elevazione del proletariato, giusto salario e, infine, l’intero ordine sociale. Questo approccio teorico, come abbiamo visto, corrispondeva ai tentativi di sistematizzazione che derivavano dal passaggio della riflessione sociale attraverso le scuole e i loro docenti. Al suo livello proprio, l’enciclica realmente innova, pur affermando di costituire il prolungamento della Rerum novarum; essa prende inoltre posizione su taluni dibattiti sorti tra cattolici.
In un modo che oggi stupisce, l’analisi delle situazioni, del resto molto pertinente, è collocata solo al terzo posto: le trasformazioni del mondo industriale e del sistema capitalistico, l’evoluzione del socialismo, la situazione dei costumi. Questi tre capitoli fondono, a dire il vero, l’analisi e il giudizio etico, e sfociano esplicitamente in alcune opzioni, indicando nel contempo dei rimedi: no alla dittatura economica dei monopoli, dei cartelli o dello Stato, sì alla restaurazione di una sana e libera concorrenza sotto la vigilanza dei poteri pubblici; no al socialismo, che è in contraddizione con il cristianesimo, sì all’azione sociale; no alla «rovina delle anime» (n. 130) derivante dalla scristianizzazione della vita sociale, sì alla razionalizzazione cristiana di tale vita, fondata sulla carità. La parte finale insiste sul ruolo dell’Azione cattolica.
Accoglienza ed eredità della Quadragesimo anno
Negli ambienti non cattolici, l’accoglienza immediata di questo documento ampio, severo e talvolta aspro, che urta le ideologie e fustiga le prassi, fu cortese ma piuttosto imbarazzata. Al contrario, i cattolici più impegnati nell’azione sociale e apostolica ne colsero subito l’importanza e il significato, e la Quadragesimo anno divenne il loro testo di riferimento per trent’anni, fino alla Mater et magistra (1961). A distanza di tempo, sembra che alcuni temi chiave non solo abbiano acquisito diritto di cittadinanza nella Chiesa, ma abbiano anche ispirato lo sviluppo della legislazione sociale nei Paesi democratici:
– l’umanizzazione del lavoro e delle sue condizioni, al cui riguardo è rimasta celebre l’affermazione: «la materia inerte […] esce nobilitata dalla fabbrica, le persone invece si corrompono e si avviliscono» (n. 134);
– gli elementi da considerare per la determinazione del giusto salario (nn. 65-76);
– il principio di sussidiarietà, in base al quale i singoli e poi i “corpi intermedi” di ogni genere devono potersi assumere le proprie responsabilità e non vedersele sottratte da parte dello Stato: «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle» (n. 80);
– il ruolo delle associazioni e dei sindacati, in particolare la loro distinzione rispetto allo Stato (nn. 3241).
Certo, il carattere ambiguo del corporativismo proposto dalla
Quadragesimo anno, malgrado le riserve formulate nei confronti dello statalismo fascista italiano, ha potuto e può ancora servire come giustificazione per regimi autoritari che pretendano di imporre il loro sistema al fine di riconciliare le classi antagoniste. Accogliendo più ampiamente l’eredità del movimento operaio, né la
Mater et magistra né la
Laborem exercens svilupperanno questa linea di riflessione.
Per quanto riguarda le dure conclusioni sul socialismo, anche non marxista – «Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista» (n. 120) –, per il loro superamento bisognerà attendere la distinzione di Giovanni XXIII tra movimenti storici e ideologie (
Pacem in terris, 1963, nn. 84 s.) e le norme di Paolo VI sulla collaborazione attraverso il dialogo (
Octogesima adveniens, 1971). Infine, in una vita sociale ed economica divenuta ancor più complessa, un’enciclica sociale potrebbe oggi arrischiarsi a entrare così dentro ai dettagli delle cose da fare? In ogni caso, i successivi documenti dei papi e
del Concilio citano abbondantemente la
Quadragesimo anno, punto di riferimento saldo e acquisito di una
teoria in cerca di apertura e di adattamento alle realtà storiche.
Risorse
CA = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica
Centesimus annus, 1991.
LE = GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica
Laborem exercens, 1981.
MM = GIOVANNI XXIII, lettera enciclica
Mater et magistra, 1961.
OA = PAOLO VI, lettera apostolica
Octogesima adveniens, 1971.
PT = GIOVANNI XXII, enciclica
Pacem in terris, 1963.
QA = PIO XI, lettera enciclica
Quadragesimo anno, 1931.
RN = LEONE XIII, lettera enciclica
Rerum novarum, 1891.
La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de Recherche et Action
Sociales di Parigi) e la sua rivista
Projet. I testi originali sono disponibili sul sito <
www.ceras-projet.org/dsc>.
La traduzione italiana è a cura di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero si fa riferimento alla versione
disponibile su <
www.vatican.va>.