Otto anni di presidenza Obama in 15 punti

L'era di Barack Obama, cominciata il 20 gennaio 2009, si avvicina alla fine. Chiunque vincerà la sfida dell'8 novembre, per il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti è ormai il tempo dei bilanci. In un articolo pubblicato su Aggiornamenti Sociali di ottobre, Robert David Sullivan, redattore di America, rivista dei gesuiti Usa, elenca le 15 misure politiche, in ambito nazionale e internazionale, che resteranno nella storia. Di seguito la parte iniziale dell'articolo, che può essere scaricato dagli abbonati o acquistato con carta di credito


1. L’Affordable Care Act (Obamacare)

Si tratta dela legge sulla sanità per tutti (Obamacare). Tale legge, forse la più importante degli ultimi cinquant’anni, ha introdotto un numero considerevole di nuovi principi nel sistema sanitario americano. Avere una polizza sanitaria è diventato obbligatorio per tutti i cittadini, le compagnie di assicurazione non possono rifiutare di assicurare clienti sulla base di malattie preesistenti ed esistono sussidi statali per chi non ha i mezzi per permettersi una polizza. L’Obamacare inoltre proibisce di far pagare premi più alti alle donne e prevede che le malattie mentali ricevano una copertura completa, come le malattie fisiche.

In febbraio un sondaggio della National Public Radio ha rivelato che l’opinione pubblica è divisa sulla nuova legge: solo il 35% della gente dichiara che essa abbia apportato un vantaggio alla popolazione del proprio Stato, mentre il 27% ritiene che sia addirittura stata svantaggiosa. In realtà, la legge è stata un successo sotto molti punti di vista: il numero degli americani assicurati è cresciuto di venti milioni, la percentuale di chi non ha ancora una polizza è scesa dal 20% al 12% e l’inflazione dei costi nel settore sanitario è stata la più bassa degli ultimi decenni. I repubblicani potrebbero anche guadagnare terreno con una campagna per l’abolizione totale dell’Obamacare, ma con il passare del tempo diventa sempre più improbabile che un Presidente, di qualsiasi partito sia, si adoperi per strappare dalle mani di chi si è appena assicurato le nuove polizze.

2. Il pacchetto di incentivi economici del 2009

Una delle priorità di cui si dovette occupare Obama fu la crisi economica del 2008, che egli affrontò con una politica di stampo keynesiano, una chiara svolta rispetto all’idea reaganiana che «il problema è il Governo». Il nuovo pacchetto prevedeva un incremento della spesa federale in infrastrutture e sanità, insieme a un aumento dell’indennità di disoccupazione e di altri fondi sociali. Michael Grunwald, del settimanale Time, scrive che gli incentivi «sono stati i catalizzatori per l’energia pulita negli Stati Uniti, grazie a livelli di finanziamento mai visti prima nei settori di produzione di energia elettrica rinnovabile quali, tra le altre, l’eolica, la solare, la geotermica […] Sono state inoltre modernizzate più di 110mila miglia di collegamenti in rete a banda larga; è stata inaugurata una riforma scolastica a livello nazionale denominata Race to the Top, la più ambiziosa degli ultimi decenni».

Molti tra i democratici avrebbero voluto incentivi economici ancora più consistenti, ma i più prudenti sostenevano che finanziare la spesa con il debito pubblico non avrebbe fatto altro che peggiorare la stabilità economica di lungo periodo; alla fine fu approvato un pacchetto di 787 miliardi di dollari con soli tre voti repubblicani a favore al Senato e nessuno alla Camera. A cinque anni dalla sua approvazione, gli incentivi hanno creato 6 milioni di posti di lavoro, secondo una stima della Casa Bianca, ed evitato una doppia recessione. I repubblicani considerano questi dati solo congetture e controbattono dicendo che il pacchetto non ha abbassato il tasso di disoccupazione di quanto promesso, né nel lasso di tempo pronosticato.
 

3. Il “salvataggio” dell’industria automobilistica

Con la General Motors e la Chrysler sulla soglia del fallimento nella seconda metà del 2008, il nuovo Presidente temette che si verificassero la perdita di quasi un milione di posti di lavoro e il collasso delle industrie dell’indotto, di cui avrebbe risentito persino la Ford Motor Company, ancora relativamente sana. Obama creò un gruppo di lavoro che assegnò 80,7 miliardi di dollari di fondi federali alla General Motors e alla Chrysler, a condizione che avviassero l’istanza di fallimento, mettessero in atto una riorganizzazione aziendale e cedessero l’amministrazione dei fondi pensione a un trust indipendente. Grazie a queste riforme ci fu una ripresa dell’industria automobilistica e si preservarono posti di lavoro, pur se non ai livelli di prima della crisi. Il Governo Obama ha dichiarato in seguito di aver recuperato 70,5 miliardi di dollari, cioè quasi tutti i fondi investiti, e considera la ripresa un totale successo; i sostenitori del libero mercato obiettano che il salvataggio non ha fatto altro che mantenere elevati i costi del lavoro (cioè i salari) di questo settore industriale e perpetuare il potere dei sindacati.

4. La legge Dodd-Frank

Nel 2009 Obama propose un pacchetto di riforme del settore finanziario, approvato dal Congresso l’anno successivo. Ne è seguita la creazione di vari enti governativi con il compito di monitorare i mercati finanziari, regolamentare i fondi speculativi e intervenire per evitare un’altra crisi come quella del 2008, ad esempio attraverso la liquidazione di banche di grandi dimensioni, senza dover ricorrere a salvataggi da parte del Governo. Le banche sono ora obbligate a fare investimenti meno rischiosi e ad avere più liquidità per far fronte alle perdite. La legge ha inoltre istituito il Consumer Financial Protection Bureau (Ufficio per la protezione finanziaria dei consumatori), per redigere e promuovere regolamenti a favore degli intestatari di mutui, carte di credito e prestiti per studenti.

Data la sua complessità e il continuo mutare degli scenari a cui si applica, è difficile misurare l’efficacia della riforma. L’anno scorso il giornalista Adam Davidson del New York Times Magazine descrisse come il settore finanziario abbia cercato, attraverso centinaia di riunioni con gli ispettori bancari e facendo causa per “ogni piccolo dettaglio” della legge, «di cambiarne il testo e, così facendo, di alterarne lo spirito», ma lo scorso aprile un giornalista finanziario del New York Times, Peter Eavis, concluse che «la Dodd-Frank è in gran parte rimasta inalterata e sta dando risultati lenti ma sicuri. La legge ha eliminato molte pratiche rischiose […]. Le banche più grandi si stanno lentamente contraendo».


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18 ottobre 2016
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