ONG e migranti: la montagna della retorica e il topolino giallo-verde

Maurizio Ambrosini
Nei giorni scorsi a un convegno internazionale un esperto e stimato studioso statunitense mi ha chiesto: «Qual è il ruolo della mafia nella gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo?».

Le notizie degli scandali e le teorie del complotto hanno un successo incredibile. Riescono a gettare nel discredito un intero sistema, in cui lavorano centinaia di sigle diverse e migliaia di operatori.  I vincitori delle recenti elezioni hanno indubbiamente tratto profitto dall’ostilità diffusa nei confronti di richiedenti asilo e rifugiati e l’hanno fomentata in una sorta di campagna elettorale permanente sul tema. Le sparate contro le ONG impegnate nei salvataggi, un unicum nella storia recente, hanno rappresentato forse il punto estremo della polemica, comportando gravi danni per l’immagine e la raccolta fondi delle organizzazioni umanitarie. Va ricordato che Salvini aveva promesso di chiuderle tutte, mentre Di Maio aveva formulato una classica teoria del complotto pentastellata spiegando che le ONG in mare erano in combutta con le mafie che a terra gestiscono l’accoglienza. 

È interessante allora vedere come queste cannonate propagandistiche si sono tradotte nell’accordo di programma giallo-verde. Al punto 13, salvo rettifiche tuttora in corso, sul tema delle ONG impegnate nel soccorso ai migranti non rimane nient’altro che l’impegno a chiedere la «verifica delle clausole dell'approdo delle navi umanitarie nei porti italiani». La retorica roboante ha partorito un topolino politico. Per fortuna, viene da osservare, se non fosse che nel frattempo le ONG sono state gettate nel discredito e additate all’odio popolare. I vincitori elettorali hanno montato una polemica senza preoccuparsi né delle conseguenze, né della credibilità delle loro promesse, né della loro responsabilità nei confronti degli elettori che li hanno votati.

Quanto alla prevenzione degli arrivi, l’accordo programmatico annuncia la presentazione delle domande di asilo nei Paesi di transito o addirittura di origine. Qui siamo alla fantapolitica. Dovremmo immaginare uffici in Siria o in Eritrea, evidentemente gestiti o autorizzati dai governi locali, in cui le persone si presentino a chiedere asilo contro gli abusi di quegli stessi governi. 

Non sorgerà solo un problema di condizioni dignitose di accoglienza, come si è già visto in Libia, ma di cortocircuiti tra sistema internazionale dell’asilo, governi chiamati in causa e persone da proteggere. I diritti umani universali scivolano in coda nei programmi dei partiti che si accingono a governare il Paese.



18 maggio 2018
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