ArticoloEtica sociale
Oltre il do ut des: il dono, tra legame e libertà
I cent’anni del Saggio sul dono di Marcel Mauss
Nel corso del Novecento si è fatta strada una scuola di pensiero che rifiuta il paradigma utilitarista, fondato su una visione dell’essere umano come attore sociale egoista, razionalmente orientato alla soddisfazione dei propri desideri, e che ripensa invece l’azione sociale alla luce della capacità umana di stabilire relazioni libere e gratuite. L’ispiratore di questo approccio è stato Marcel Mauss, il quale ha fatto sintesi delle proprie ricerche nel Saggio sul dono, pubblicato esattamente un secolo fa. Grazie alla raccolta di un amplissimo materiale etnografico, Mauss riconosce nel fenomeno del dono una pratica transculturale e una forma di relazione sociale più originaria del contratto e del commercio. Tornare oggi a queste riflessioni permette di riscoprire un’alternativa radicale a quell’utilitarismo che, per il suo carattere pervasivo nella cultura, rischia di essere percepito come l’unica interpretazione razionalmente fondata dei rapporti umani.
Non è immediato entrare nel pensiero di Mauss. La sua scrittura è erudita, densa, sensibile al fascino di un passato arcaico, attenta alle radici simboliche, rituali e mitiche delle società, a tratti nostalgica di una dimensione comunitaria – costellata da celebrazioni, feste, fiere, pratiche di ospitalità tra gruppi locali, riti collettivi – che già si annunciava in declino negli anni ’20 del Novecento. Per altro verso, la sua apparente “inattualità” è il riflesso della sfiducia e del disincanto che permeano l’epoca attuale, nella quale riscontriamo la crisi dei legami sociali, lo sconquasso delle culture tradizionali e il disorientamento dei singoli individui.
A distanza di cent’anni, dunque, il Saggio ci offre l’occasione per ripensare il significato sociale dell’esistenza, a fronte della pervasiva illusione individualista, in cui ciascuno rischia di ripiegarsi sulla propria ombra, o perché dominato dal perseguimento esclusivo del proprio interesse, oppure perché catturato nelle proprie fantasie inglobanti, vissute come l’ultimo assoluto che indebolisce l’aspirazione all’umano comune. [continua]
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