Posta sotto pressione dalla chiusura della rotta turco-balcanica, l’Italia ha assunto l’iniziativa proponendo ai partner europei un Migration Compact. I commenti si sono concentrati sulle modalità di finanziamento del piano e sul gradimento tedesco, raramente ne hanno analizzato i contenuti. Vorrei invece provare a entrare nel merito.
Il documento parte male: contrariamente a dichiarazioni di segno diverso rilasciate anche nel recente passato dal premier Renzi, assume l’idea che l’Europa sia di fronte a fenomeni migratori “crescenti” e “senza precedenti”. Non è affatto vero: le migrazioni in Europa sono nel complesso stazionarie.
Malgrado questa falsa partenza, il Migration Compact compie un passo avanti significativo rispetto all’Agenda Europea di un anno fa, parlando di nuovi ingressi legali in Europa anche per motivi di lavoro, in modo da offrire un’alternativa credibile agli ingressi illegali. Per il resto, tuttavia, i termini ricorrenti sono controllo dei confini, sicurezza, gestione dei flussi, rimpatri. Termini come diritti umani, protezione dei rifugiati sono pressoché assenti.
Prendendo a modello l’accordo con la Turchia, il piano propone nella sostanza di esternalizzare la gestione dell’asilo, fermando i candidati sulla sponda Sud del Mediterraneo. Parla di gestione dell’asilo in loco secondo standard internazionali, ma evita di porre una questione: come possono offrire una protezione umanitaria adeguata ai rifugiati stranieri Paesi che non riescono a offrirla ai propri cittadini? E se lo faranno, come potranno controllare il risentimento di cittadini che ricevono servizi assai più poveri di quelli forniti ai rifugiati?
Altri problemi riguardano le promesse di aiuto allo sviluppo. Sono sostanzialmente due. Il primo è il rischio di finanziare i governi autoritari e bellicosi che sono all’origine dei flussi di rifugiati. Il secondo consiste nell’erronea convinzione che i migranti arrivino dai Paesi più poveri e che lo sviluppo possa fermarli. È vero il contrario: le migrazioni sono processi selettivi, partono coloro che dispongono di risorse. Con lo sviluppo, aumentano le persone che dispongono di risorse per partire. In una prima fase (non breve), lo sviluppo fa quindi crescere e non diminuire il numero dei migranti. Solo nel lungo periodo si riducono le nuove partenze.
Lo sviluppo è un obiettivo nobile, ma combinato con le pretese di controllo delle migrazioni va fuori strada. Del resto nel mondo sanno bene che le rimesse degli emigranti forniscono aiuti ben più consistenti e tangibili delle promesse dei governi occidentali.