Sono diminuiti gli sbarchi sulle nostre coste. Molti tirano un sospiro di sollievo, alcuni esultano. A quanto pare non impressiona più di tanto il modo in cui il risultato viene ottenuto: addirittura con il coinvolgimento di capi clan e mafie libiche sulle coste, delle tribù del deserto all’interno, delle motovedette che sparano per intimidire e scacciare le residue navi delle ONG rimaste in mare.
I respingimenti verso le coste libiche vengono riverniciati come salvataggi, i centri di detenzione come oasi di accoglienza, i militari libici come operatori umanitari. Nell’era della comunicazione globale, è sufficiente che i drammi si consumino lontano dalle nostre telecamere per renderci indifferenti. La diminuzione delle partenze da luoghi come l’Eritrea viene salutata come un successo, non come la premessa di nuovi drammi umani e nuove angherie da parte di un regime oppressivo e screditato. Il mesto rientro di 5mila migranti nei Paesi di origine in cambio di un modesto incentivo economico appare un bel passo avanti, non il preludio di nuove partenze su rotte ancora più rischiose.
Tra le operazioni retoriche che sorreggono questa impalcatura, rientra l’equiparazione tra scafisti e mercanti di schiavi, così da giustificare l’uso della forza militare per bloccare i transiti. Il fatto che oggi chi parte lo faccia di propria volontà, pagando, in cerca di salvezza e di un futuro migliore, mentre ieri veniva strappato al suo villaggio e condotto in catene verso un destino tragico non sembra contare.
L’altra operazione mediatica di rilievo è l’assoluzione preventiva delle condizioni di detenzione in Libia sulla base di qualche generica promessa e di un incipiente coinvolgimento delle organizzazioni internazionali, sottacendo come i libici hanno trattato migranti e rifugiati fino a questo momento. Governi preoccupati dei diritti umani, e del proprio onore sulla scena internazionale, avrebbero dovuto prima assicurarsi che la Libia disponesse di centri di accoglienza e procedure di esame delle richieste di asilo degne di questo nome, e solo a risultato acquisito accettare la consegna di migranti e rifugiati alle autorità libiche.
Resta però una costante: chiusa una rotta, i flussi di profughi molto spesso ne trovano un’altra. In genere più pericolosa, purtroppo. Gli arrivi in Spagna stanno già aumentando. Speriamo non siano l’alba di nuove tragedie, oltre a quelle che si consumano in Africa ai danni di chi non riesce più a fuggire.