Questo mese la rubrica «Bibbia aperta» si sposta
tra le Mappe, per dare spazio a una riflessione più ampia e articolata
su una azione che riguarda ciascun essere vivente ma che si arricchisce
di significati simbolici nel caso dell'essere umano: nutrirsi e nutrire.
Partendo dalle diverse descrizioni
bibliche del mangiare, l'A. spiega come questa dinamica, attraverso le
fasi del mangiare per se stessi, del mangiare insieme, del dar da
mangiare e infine dell'offrire se stessi
come cibo per la vita degli altri possa illuminare anche le relazioni
umane nel loro vissuto più esplicitamente sociale.
Bibbia è un termine plurale, derivato dal greco
ta biblia, che
significa "i libri". Il contenuto di questo imponente volume infatti è
il frutto
della raccolta di 73 libri (almeno per la Chiesa cattolica) composti in
tempi molto diversi, dall'XI secolo a.C. al II d.C., lungo un arco
temporale di circa mille anni. Negli ultimi
trent'anni si è andata sviluppando una corrente di pensiero che afferma
la possibilità di una lettura continua di questi libretti considerandoli
quasi come "capitoli"
del più grande libro. Secondo questa visione, si può cominciare con il
primo versetto del libro di
Genesi per terminare con l'ultimo del libro dell'
Apocalisse
scorgendovi un disegno coerente, uno svolgersi organico e articolato
della grande avventura dell'umanità nella sua relazione con Dio o, per
meglio dire, della storia del
rapporto che Dio ha voluto intrattenere da sempre con la sua creazione
e, nello specifico, con il genere umano. Certamente ci sono molti limiti
a un tale impianto di lettura del
"Grande codice"
1, eppure esso consente di scoprire dimensioni affascinanti del testo biblico. Una di queste è che
il racconto del percorso plurimillenario
che va dalla creazione del mondo al suo compimento escatologico viene incorniciato da un'unica azione: quella del mangiare. Se infatti è il mangiare del frutto dell'albero
della conoscenza del bene e del male l'azione di Adamo ed Eva che in
Genesi 3, 1-6 li allontana da Dio, è altresì legata al mangiare l'ultima azione di Dio
nell'incontro con l'umanità:
sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me
(
Apocalisse 3, 20). Del resto il mangiare, come ha scritto il teologo Giancarlo Bruni,
diventa momento rivelativo nel suo svelare la verità del
cibo. Esso è da un Altro per il sostentamento, la consolazione e
l'ammaestramento di altri: l'essere
da, l'essere per fino alla consumazione di sé è la
recondita verità del cibo manifestata nel gesto stesso del mangiare.
Gesto marcato da una morte
- sradico dalla terra, colgo dagli alberi, caccio gli animali e mangio -
e gesto marcato da una ragione di vita - morire per te facendomi
mangiare da te -. Oltre ogni logica di
autoreferenzialità, di autoconservazione e di distinzione di cibi (Atti 10, 9-16; Romani
14, 17). La coscienza è risvegliata a una consapevolezza che
è all'origine della sobrietà - chiedi, raccogli e mangia il necessario
-; dei culti di riparazione nei confronti della natura propri alle
religioni primitive perché
posti di fronte all'evidenza che per vivere occorre comunque fare
violenza; e ancora del riscatto del cibo-vittima nobilitandone il dono
attraverso 1'arte del cucinare e un codice
del mangiare che esclude l'azzannare, il divorare, l'abbuffata e lo
spreco di chi deve rendere conto anche dei frammenti. Coscienza
all'origine infine del rendimento di grazie in
termini di riconoscenza. Conosco che ciò che mangio è grazia che provoca
il grazie: per questo, nell'esperienza della storia delle religioni e
cristiana, il mangiare
si iscrive sempre nell'orizzonte del dono, della benedizione benedetta
propria a chi è stato dato di saperne l'origine, la destinazione e la
finalità2.
Così, in questa ampia tavolozza di risonanze simboliche, si può anche
collocare una riflessione che espliciti la valenza metaforica del
mangiare, per uno sguardo
sulle relazioni umane nel loro vissuto più esplicitamente sociale,
partendo proprio dalle diverse descrizioni bibliche.
Mangiare per se stessi
La prima funzione vitale espressa dal mangiare è il proprio
sostentamento. Esigenza primaria, basilare, necessaria alla vita. Nella
Bibbia è il primo dono di Dio
alle sue creature: Ecco io vi do ogni erba che produce seme e che è
su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il
vostro cibo. A tutti gli animali
[...] io do in cibo ogni erba verde (Genesi 1, 29-30); e, dopo il diluvio, Dio dice a Noè: Ogni essere che si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi
do tutto questo, come già le verdi erbe (Genesi 9, 3). Il
cibo è cioè a disposizione dell'umanità, sia dal mondo vegetale che
animale. L'avere
bisogno di cibo per vivere pone però l'uomo nella condizione di fare di
questa sua basilare necessità il centro focale per la propria esistenza.
Senza arrivare a fare
del ventre il proprio dio (cfr Filippesi 3, 19 e Romani 16, 18), non è difficile vivere ripiegati su se stessi, nella pretesa che tutto l'esistente sia
solo funzionale alla propria sazietà.
Questa è la situazione
normale, necessaria per la crescita dell'infante, che urla la sua
richiesta di essere nutrito.
Si conosce bene dallo studio scientifico come la morfologia stessa del
cucciolo (compreso quello d'uomo), il suo cromatismo, la tonalità dei
suoi urli, le sue posture, hanno
come unico scopo di attirare a sé le cure dei genitori (per lo più della
madre) per essere nutrito e accudito. È evidente che non c'è alcuna
connotazione
moralmente negativa nell'affermare l'esistenza di una lunga fase della
formazione dell'essere umano che per poter vivere, crescere, svilupparsi
sia fisicamente sia intellettualmente
e affettivamente, piega necessariamente a sé tutta la realtà e ogni
relazione. Tale situazione autocentrata, normale nell'infanzia, rischia
di diventare patologica
quando si tramuta nell'egoismo dell'atteggiamento adulto - e in questo è
come se si creasse una sorta di mancanza di sviluppo dell'umano - di
colui che fa delle proprie "fami"
l'alibi per continuare a considerare l'altro-da-me solo in funzione del
suo essere altro-per-me
3.
La Bibbia presenta molteplici casi in cui questo avviene. Si pensi
alle varie rivendicazioni del popolo nel deserto connesse alla mancanza di cibo:
Fossimo
morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti
presso la pentola
della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in
questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine (
Esodo 16, 3; si veda anche
tutto il capitolo di
Numeri 11), cui Dio risponde con manna e
quaglie dal cielo. Il commento all'episodio da parte del Salmo 78 (77),
18-32 è realistico e tragico:
Nel loro cuore tentarono Dio, chiedendo cibo per la loro gola.
Parlarono contro Dio, dicendo: «Sarà capace Dio di preparare una tavola
nel deserto?». [...]
Mangiarono fino a saziarsi ed egli appagò il loro desiderio. Il loro
desiderio non era ancora scomparso, avevano ancora il cibo in bocca,
quando l'ira di Dio si levò
contro di loro, uccise i più robusti e abbatté i migliori d'Israele. Con
tutto questo, peccarono ancora e non ebbero fede nelle sue meraviglie. La componente egoistica
e concupiscente dell'atteggiamento del popolo è particolarmente sottolineata, al punto che
la richiesta-pretesa di cibo diventa più importante della fedeltà
alla relazione con Dio, addirittura manipolata per comportarsi in modo quasi ricattatorio, secondo un tipico schema infantile.
C'è
un episodio nella narrazione biblica
che mette in particolare evidenza come nel bivio della scelta tra
assunzione della propria responsabilità e la possibilità di trangugiare
cibo, sia questa seconda
opzione a prevalere, a scapito della fedeltà al proprio mandato
esistenziale. Si tratta della circostanza nella quale Esaù cede a
Giacobbe la primogenitura per un
piatto di lenticchie (
Genesi 25, 29-34).
Genesi 25, 29-34
29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a
Giacobbe: «Lasciami mangiare un po' di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. 31 Giacobbe disse: «Vendimi
subito la tua primogenitura». 32 Rispose Esaù: «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». 33 Giacobbe allora
disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie;
questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.
Nei vv. 29-30 viene descritto lo stato d'animo di Esaù. Egli torna da
una caccia infruttuosa ed è senza cibo e sfinito. Si avvicina a casa e
sente il profumo delle
lenticchie cotte e ne chiede al fratello. L'espressione ebraica è molto
interessante, potrebbe essere tradotta così: «Lasciami trangugiare un
po' di questa roba,
questa roba rossa», con una ripetizione di ciò che lui vuole
inghiottire. Per questo Esaù fu chiamato Edom, che in ebraico vuol dire
"rosso", che è
il colore rossastro delle lenticchie e anche il colore della terra (alla
stessa radice appartiene Adam, colui che è fatto dalla terra, adamah). Giacobbe risponde
immediatamente con il calcolo rapace: Vendimi subito la tua primogenitura. Da una parte allora assistiamo al desiderio di sfamarsi nel bisogno impellente, quel tipo di desiderio
che dà l'impressione che, se non lo si soddisfa immediatamente, si morirà (Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura? v. 32). Dall'altra, nei
vv. 31-33, troviamo Giacobbe (in ebraico significa colui che inganna, che froda):
il beduino, seduto, che non ha fatto nessuna fatica, può permettersi di
calcolare
i suoi interessi del momento e propone il prezzo del cibo. Prezzo
sproporzionato, certo, ma che diventa plausibile proprio dinanzi alla morte evocata. Esaù mangiò
e bevve, poi si alzò e se ne andò è lo svolgimento sintattico in italiano dell'originale mangiò, bevve, si alzò, se ne andò
con i quattro verbi espressi senza congiunzioni, a produrre l'effetto di
squallido automatismo insito in quel tipo di mangiare: quando si è così
protesi verso una
soddisfazione immediata, si può arrivare a perdere il lume della
ragione. Giacobbe sa tutto questo e lo sfrutta a suo vantaggio. Riesce
cioè a utilizzare questo meccanismo
di Esaù, che è un "meccanismo" della nostra umanità, per avere un suo
utile personale: ottenere la primogenitura.
Essere primogeniti
significava
fare le veci del padre nel mantenimento di tutto il clan. Se al padre
succede qualcosa, o se viene meno, la sua stessa funzione di
responsabilità - che implica la difesa
della vita, il mantenimento economico, la difesa dei più deboli, il
mantenimento del capitale, delle terre, del bestiame - passa al
primogenito. Il potere e l'onore che una
funzione sociale comporta sono proporzionali al carico di
responsabilità, che implica il fatto di dovere farsene carico. Esaù,
vendendo la primogenitura, non vende
semplicemente l'onore che probabilmente interessava al gemello Giacobbe.
Per brama di "cibo", Esaù vende una responsabilità irrinunciabile e
"sacra"
per il bene della sua famiglia, della sua collettività. E il dramma è
evidente se si nota come questa sia la stessa dinamica insita in tanti
atti di ricerca di un
"mangiare" che dimentica la responsabilità della propria esistenza.
Certamente il mangiare, come abbiamo già visto, comporta inevitabilmente una mors
tua vita mea e un anteporre la propria esigenza di vita a tutto il
resto. Quali possibilità allora di mangiare in modo che venga anche
rispettata la consapevolezza adulta
e sana dell'azione? Innanzi tutto rispettando il limite fondamentale che
il cibo ci propone antropologicamente. Per farlo è necessario
ricordarsi sempre che il cibo è
un elemento donato, anche quando è frutto del lavoro delle proprie mani, e che occorre quindi sempre mangiare rendendo grazie,
vale a dire con un
atteggiamento di gratitudine che dice umiltà e rispetto. È la custodia
di una memoria del dono, valida in sé, ma ancora più evidente nella
Bibbia, che
conosce bene anche il nome del donatore primo, cioè Dio. Da qui
l'indicazione sempre preziosa del libro del Deuteronomio di non dimenticare mai la qualità di
elemento donato che le "cose" assumono quando diventano cibo.
Deuteronomio 8, 6-20
10 Mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio, a causa della buona terra che ti avrà
dato [...] 12 Quando avrai mangiato e ti sarai saziato [...], 14 il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto
uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile; 15 che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra
assetata, senz'acqua; che ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti
e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. 17 Guàrdati dunque dal dire nel tuo cuore: "La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato
queste ricchezze".
Allora diventa possibile, all'interno dell'assunzione delle
responsabilità adulte che obbligano ciascuno a essere in qualche modo
"primogenito" per altri fratelli,
anche il nostro mangiare. Certamente anche sopportando la necessità del
"digiuno" talvolta, ma nella sana consapevolezza della necessità del
proprio sostentamento,
sempre purificato, tuttavia, da quella dimensione - per l'appunto
"famelica" - che porta chi ricopre alte responsabilità a un
accaparramento violento. Quel "mangia
mangia" - un'espressione certamente non casuale - di cui sono accusati
politici e amministratori pubblici, cui legislazioni non sempre
illuminate riconoscono aree di impunità,
diventa così ancora più odioso se garantito dai vari sistemi economici.
Il tema dei compensi per i livelli più elevati del management di banche e
imprese, che
tanto ha fatto riflettere in questi ultimi anni, potrebbe trovare luce
da questa riflessione.
Mangiare insieme ad altri
Un primo rimedio alla rapacità del mangiare unicamente per se stessi è
l'apertura alla socializzazione. Nello sviluppo evolutivo della persona
questa passa normalmente
attraverso i riti del cibo condiviso. L'età adolescenziale e giovanile è
ricca di eventi che fanno del cibo condiviso il momento centrale della scoperta dell'alterità
e dell'apertura all'impegno sociale. Ma questo non riguarda solo
nella crescita dell'individuo: gli eventi festivi, le riunioni
famigliari, le ritualità legate ai passaggi
della vita, di tipo religioso o laico, sono quasi sempre accompagnati
dalla comunionalità del "mangiare insieme".
Il fatto del mangiare diventa momento rivelativo della
verità dell'uomo come essere di comunione. L'amicizia è espressa dal
mangiare insieme, è
ricercata nel mangiare insieme, è fatta risalire a una fonte comune di
vita, il cibo. La convivialità fa e manifesta la riconciliazione: il
primo segno di rottura
è il negarsi al ricevere vita da un cibo comune e al donare vita alla
sequela del cibo comune4.
Nella Bibbia, gli incontri tra persone - come ad esempio tra Ietro e Mosè (Esodo 18, 1-12) o tra Giacobbe e Labano (Genesi 31, 43-54) - sono spesso accompagnati
da banchetti che stipulano alleanze o suggellano riconciliazioni5. Ma il cibo condiviso diventa anche uno dei più alti segni dell'identità condivisa
di un popolo formato da tante diverse tribù. Si pensi a tutta la ritualità legata alla cena di Pasqua, memoriale del passaggio di liberazione del popolo di Israele
dall'Egitto (a partire da Esodo 12), fino ad arrivare a tutti i
sacrifici di offerta comunionale del Tempio di Gerusalemme che rimandano
a un cibo donato perché sia
distribuito e condiviso (Levitico 7, 11-21; cfr 1Re 3, 15).
Si
comprende allora come questo atto, simbolicamente molto ricco, legato
alla fiducia reciproca (mangio
con te sicuro che non mi avveleni, bevo con te sicuro che non
approfitterai della mia eventuale euforia), sia utilizzato nella Bibbia
come segno dell'incontro definitivo dell'umanità
con il suo Dio. Il banchetto di grasse vivande e di cibi succulenti preparato da Dio per tutti i popoli sull'alto monte (cfr Isaia
25, 6-10; 55, 1-11) come profezia
dei tempi ultimi - caratterizzati dalla scomparsa della violenza, dei
conflitti etnici, morali e religiosi, addirittura della morte -, trova
il suo compimento nella lunga serie
di banchetti cui Gesù viene presentato a partecipare, offrendo
accoglienza, perdono, pace, possibilità di risoluzione delle differenze
religiose (pagani e ebrei) e
morali (farisei e pubblicani), fino alla risurrezione dai morti6.
Dare da mangiare
Il momento dell'effettivo passaggio alla vita adulta si ha quando si
supera l'autocentratura sul proprio sostentamento come riferimento unico
della vita, nel fare l'esperienza
dell'avere responsabilità sulla vita altrui. Quando cioè si passa dalla
declinazione del mangiare come un nutrire la propria vita
all'investimento di energie materiali
e spirituali per nutrire la vita di qualcun altro. La necessità di dover
"far vivere" qualcun altro fa oltrepassare la prospettiva della
semplice figliolanza (che
chiede il sostentamento a qualcun altro) e della fraternità (che vive
dell'incontro-scontro con l'alterità) per porsi nell'orizzonte della prospettiva genitoriale
del padre e della madre che devono "dar da mangiare" al figlio
perché possa vivere e crescere. In questo passaggio la Bibbia fornisce
un'ampia gamma di espressioni
simboliche che, da una parte, svelano il volto di Dio come quello di un
padre e di una madre che nutre, si prende cura della vita del popolo e
dell'umanità7, dall'altra
ci indicano una precisa direzione di orientamento e di educazione della dinamica del "mangiare".
L'esperienza
storica del cammino nel deserto da parte del popolo di
Israele diventa il paradigma simbolico fondamentale per svelare al
cammino dell'umanità come, nell'attraversamento della vicenda faticosa
del vivere, Dio sia colui che
dona il cibo necessario alla vita. Molti sono i testi nei quali il "dar da mangiare" di Dio è evidenziato8, nel simbolo della manna nel delle quaglie
nel deserto, come poeticamente evoca il salmista (Salmo 78, 23-29):
Diede ordine alle nubi dall'alto
e aprì le porte del cielo;
fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede
loro pane del cielo:
l'uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza.
Scatenò nel cielo il vento orientale,
con la sua forza fece soffiare il vento australe;
su di loro fece piovere carne come polvere
e
uccelli come sabbia del mare,
li fece cadere in mezzo ai loro accampamenti,
tutt'intorno alle loro tende.
Mangiarono fino a saziarsi
ed egli appagò il loro desiderio.
Il cibo donato nel deserto diventa un vero e proprio riferimento simbolico per lo svelamento del volto di Dio nei profeti: A
Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo
per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo
con legami di bontà, con vincoli d'amore, ero per loro come chi solleva
un bimbo alla sua guancia, mi
chinavo su di lui per dargli da mangiare (Osea 11, 3-4).
Anche per Gesù si evidenzia nei Vangeli la stessa dinamica. I cosiddetti
brani della "moltiplicazione"
dei pani e dei pesci - che non hanno in realtà traccia di alcuna
moltiplicazione, dato che ciò che viene evidenziato è la dinamica della
condivisione che rende
il pane "spezzato" sufficiente, anzi, sovrabbondante, per tutta la folla9 -, evidenziano come Gesù mostri lo stesso volto di colui che dona il cibo
per la vita dell'altro.
In realtà se il paradigma biblico si
fermasse qui, saremmo ancora fermi alla declinazione della necessità di
un mangiare che trova in
un'entità divina la sua realizzazione somma. Ci troveremmo cioè,
semplicemente, di fronte a una meditazione su colui che "deve" fornire a
noi il cibo. Sul
versante sociale, la convivenza sarebbe configurata alla capacità di
meglio esprimere i propri bisogni, come infanti, affidando a un
organismo super omnibus il compito
di nutrirci e di metterci nelle condizioni di poter esprimere la nostra
individualità, come perenni adolescenti. Che questa richiesta venga
fatta al principe più o
meno illuminato o a una qualche forma di Stato sociale che si prenda
cura dei cittadini "dalla culla alla tomba", è uno dei rischi più grandi
che correrebbe
un immaginario del mangiare biblico che non abbia un ulteriore sviluppo10.
Ecco perché la Bibbia, quando propone il passaggio dal nostro mangiare
alla riflessione
su Dio (o Gesù Cristo) che ci dona da mangiare, non lo fa unicamente per
suscitare il sentimento della gratitudine, ma a far nascere la
resposabilità che ne deriva.
La risposta che nasce dalla consapevolezza di essere stati sotto l'ala
protettrice di Dio deve essere per il popolo di Dio, per il discepolo
una spinta per prendersi cura degli
altri11. Molti sono i brani nei quali possiamo leggere il
dinamismo messo in moto dalla "memoria" di una storia che ci ha nutrito e
ci ha donato le possibilità
di vivere nell'oggi con una consapevolezza responsabile12. Oltre al brano nel riquadro, si vedano in questo senso le indicazioni in Deuteronomio
5, 12-15; 10,
18-20; 16, 9-12 e soprattutto il capitolo 26, in cui la
compartecipazione e la condivisione dei propri beni agli altri
attraverso la legge delle decime13, nella prospettiva
del bene comune dell'intero popolo, è giustificata dalla memoria storica
di un Dio che aveva liberato, nutrito, curato il popolo e lo aveva
fatto entrare nella Terra promessa.
Deuteronomio 24, 17-22
17 Non lederai il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste della
vedova. 18 Ricòrdati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo.
19
Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche
mannello, non tornerai indietro a prenderlo. Sarà per il forestiero,
per l'orfano e per la vedova,
perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in ogni lavoro delle tue mani.
20 Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il
forestiero, per l'orfano e per la vedova. 21 Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la
vedova. 22 Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto; perciò ti comando di fare questo.
Ecco allora che la categoria del "dar da mangiare" diventa un
modello paradigmatico di comportamento per il popolo, identificandosi
addirittura con il concetto di
giustizia: Se uno è giusto divide il pane con l'affamato (Ezechiele 18, 7.16 e molti altri passi tra cui Isaia 58, 7; Deuteronomio 26, 12,
ecc.). D'altro canto, lo stesso Gesù dà la stessa precisa indicazione ai suoi discepoli: Voi stessi date loro da mangiare (Marco 6, 37).
Da
un punto
di vista di valutazione sociale vale la pena soffermarci sulla necessità
di passare dall'atteggiamento insito nel mangiare a quello
caratteristico del dar da mangiare
per poter crescere nella dimensione adulta dell'esperienza umana. Non
può sfuggire, infatti, la radicale differenza tra una società che
semplicemente risponde alle
"fami" dei propri cittadini e una società che attiva processi circolari
di bene-memoria del bene-responsabilità civile. Purtroppo il triste
spettacolo di
una politica che non ricerca più il compimento di una tale circolarità,
ma agisce in termini di ricerca di consenso, quando non esplicitamente
di voti, a prezzo di
benefici di parte o lobbistici concessi a questo fine, non ha certamente
aiutato alla consapevolezza della necessità di questa responsabilità
adulta della convivenza
politica e sociale.
Dare se stessi per la vita degli altri
L'esperienza storica di Gesù di Nazaret è stata proposta dai primi
discepoli sotto la cifra della vita donata perché altri vivano. La
categoria del cibo
è esplicita nel messaggio di Gesù stesso e della prassi della comunità
cristiana. Sono note le parole di Gesù durante l'Ultima Cena tramandate
nei Vangeli:
Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo:
«Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di
me».
E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo
calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Luca 22,
19-20)14. La prospettiva affascinante che il "dare da mangiare" possa tramutarsi in alcune eccezionali circostanze in un "darsi da mangiare" per
la vita degli altri apre alla considerazione di quanti hanno compiuto questo passaggio, nel dono della propria vita. San Paolo ha scritto: A
stento qualcuno è disposto
a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona
buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre
eravamo ancora peccatori, Cristo è
morto per noi (Romani 5, 7-8). Credo che questo atteggiamento
di Dio in Gesù sia anche verificabile in quanti ripropongono
continuamente la stessa attitudine a
mettere a disposizione la propria vita per la giustizia, per il bene comune, per la vita concreta di molti,
"dandosi in pasto" a coloro che, di fatto, mettono in
pericolo tali valori. Uno di questi è stato senz'altro Dag Hammarskjöld,
Segretario Generale dell'ONU dal 1953 al 1961, anno in cui il suo aereo
si schiantò nella
foresta del Katanga, probabilmente a seguito di un sabotaggio volto a
impedire la sua opera di mediazione del conflitto africano di quegli
anni. In quell'anno gli fu conferito postumo
il premio Nobel per la Pace. Egli ha teorizzato le caratteristiche del civil servant,
di colui che per "lavoro" si mette al servizio della collettività,
indicandone a più riprese le disposizioni necessarie di cui la
fondamentale è quella di non voler ricercare il proprio interesse, fino
alle estreme conseguenze di
ciò15. Ma è nel suo diario che è stato scoperto e pubblicato
dopo la sua morte che si sono potute leggere le radici spirituali di una
tale visione,
laddove si legge: «La "faccia" dell'altro è più importante della tua; se
cerchi qualcosa per te, non potrai far conto di avere successo nel
difendere
gli altri»16.
In questo donarsi quasi come cibo per la
vita degli altri possiamo riconoscere lo stesso stile di molti, anche in
tempi recenti. Una società
che non faccia di questi uomini e donne il vero punto di riferimento per
la propria identità rischia di essere sempre vittima di un utilitarismo
individualistico che non
è più capace di rispondere autenticamente al bene di ciascuno nella
comune convivenza.
NOTE
1 Per citare il celebre titolo del libro di Northrop Frye che, nel 1981, propose questa immagine per definire la continuità
narrativa del testo biblico preso nel suo insieme. Cfr FRYE N., Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino 1986 (ed. or. The Great Code. The Bible and
Literature, 1982)
2 BRUNI G., «Mangiare: evento rivelativo», in Servitium, 148 (lug./ago. 2003) 49-50.
3
La psicanalisi freudiana prima e quella lacaniana poi forniscono utili
chiavi di lettura per l'identificazione di questo tratto come quello da
cui è fondamentale essere aiutati
a uscire. Un recente libro di Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?,
Cortina, Milano 2011, può aiutare (specialmente alle pp. 67-86) a
comprendere la necessità
del superamento della dimensione di vedere l'altro come un semplice
strumento per quel "mangiare che mi fa vivere" (il "bambino vampiro"
delle lezioni lacaniane),
per poter vivere il maniera sana la composizione dei propri desideri con
le leggi della vita.
4 BRUNI G., «Mangiare: evento rivelativo», cit.,
51.
5 Anche se occorre aggiungere che spesso il
banchetto cui si invitano i propri nemici diventa uno dei luoghi più
ingannevoli. Si invita sotto
il pretesto di fare pace e si uccide. Si può vedere nella Bibbia 2 Samuele 11, 5-13 e 13; 1 Maccabei 16, 11-17.
6 Gesù, noto
come mangione e beone, un amico di pubblicani e di peccatori (Matteo 11, 19), che fa porre ai farisei la domanda: «Come mai il vostro maestro mangia insieme
ai pubblicani e ai peccatori?» (9, 11), viene diverse volte presentato nei Vangeli come colui che si pone a tavola insieme a peccatori (Matteo 9, 10-13; Marco
2, 15-17; Luca 5, 29-32; 15, 1-2; 19, 1-10), ai poveri (Luca 14, 12-14), ai farisei (Luca 14, 1s.; 11, 37-53; 7, 36-44), oltre che ai suoi discepoli. Importante
è anche segnalare il banchetto con Lazzaro risorto (Giovanni 12, 1-11) e tutti i contesti di comunione di cibo che Gesù, dopo la risurrezione, propone ai suoi
discepoli (ad esempio, Luca 24, 28-31 e Giovanni 21, 9-14).
7 Si legga il grande inno a Dio presentato essenzialmente come colui che dà
il cibo a ogni creatura che è il Salmo 104 (103).
8 Si vedano i racconti di Esodo 16 e Numeri 11 e gli utilizzi di questo
evento in Deuteronomio 8, 1-16, Salmi 105, 40; 106, 13-15; Sapienza 16, 20-29.
9 Cfr Marco 6, 30-44 e i paralleli di Matteo
14, 13-21; Luca 9, 10-17; Giovanni 6, 1-13; Marco 8, 1-10.
10 Questa deriva è stata descritta in un modo finora insuperato
dalla pagina della "Leggenda del Grande Inquisitore" dei Fratelli Karamazov
di Fedor Dostoevskij, in cui, come si sa, un Gesù ritornato sulla terra
viene
messo in carcere dalla "sua" stessa Chiesa e redarguito dal suo grande
inquisitore: «Vedi tu invece queste pietre in questo nudo e infuocato
deserto? Mutale in pani
e l'umanità sorgerà dietro a te come un riconoscente e docile gregge,
con l'eterna paura di vederti ritirare la tua mano, e di rimanere senza i
tuoi pani. [...] Sai
tu che passeranno i secoli e l'umanità proclamerà per bocca della sua
sapienza e della sua scienza che non esiste il delitto, e quindi nemmeno
il peccato, ma che ci
sono soltanto degli affamati? "Nutrili e poi chiedi loro la virtù!",
ecco quello che scriveranno sulla bandiera che si leverà contro di te e
che abbatterà
il tuo tempio. [...] Oh, mai, mai essi potrebbero sfamarsi senza di noi!
Nessuna scienza darà loro il pane, finché rimarranno liberi, ma essi
finiranno per deporre
la loro libertà ai nostri piedi e per dirci: "Riduceteci piuttosto in
schiavitù ma sfamateci!". Comprenderanno infine essi stessi che libertà e
pane
terreno a discrezione per tutti sono fra loro inconciliabili, giacché
mai, mai essi sapranno ripartirlo fra loro!».
11 Non bisogna dimenticare
che la consapevolezza del messaggio di Gesù della prima comunità cristiana descritta negli Atti degli Apostoli comporta immediatamente una istanza legata al
dare da mangiare e al mangiare condiviso. Tale presa di
coscienza porta addirittura al primo incarico istituzionale della
comunità. Gli apostoli in un primo
momento e i sette "diaconi" poi si occupano delle "mense" - ovvero della
distribuzione dei beni che tutti nella comunità sono chiamati a
condividere (cfr
Atti 3, 42-47; 4, 32-35; 6, 1-6).
12 Cfr le nostre riflessioni sulla Gratitudine e sulla Memoria collettiva nella rubrica «Bibbia
aperta» dei numeri di gennaio 2012 e di settembre-ottobre 2011.
13 Cfr Decime, «Bibbia aperta» di maggio 2011.
14
È evidente che una riflessione approfondita sulla realtà di un Gesù che si dona come cibo ai suoi discepoli e a "tutti" (per voi e per tutti)
richiederebbe uno spazio ben più ampio di questi brevissimi accenni. Per
un primo ulteriore studio si può vedere la riflessione di Paolo in 1 Corinzi 11 e quella
di Giovanni 6.
15 Kofi Annan, nella sua
commemorazione del 2005, lo ha definito «insuperato modello di
segretario generale dell'ONU che ha
fatto del proprio servizio un "lavoro"», proprio per usare l'espressione
così cara a Hammarskjöld: «Ho fatto solamente il mio lavoro». Egli
ha teorizzato la necessità di questa attitudine in celebri discorsi tra
cui: «The International Civil Servant in Law and Fact: Lecture delivered
in Congregation at
Oxford University, May 30, 1961», in The Public Papers of the Secretaries General of the United Nations,
vol. IV (1958-1961), eds. Andrew Cordier and Wilder Foote,
Columbia University Press, New York 1962, 329-353, e «The Element of
Privacy in Peacemaking: Address at Ohio University, February 5, 1958»,
ivi, 24-30.
16
HAMMARSKJÖLD D., Tracce di Cammino, Qiqajon, Magnano 2005, 132.