Alex ha venticinque anni ed è madre di una bambina di tre. In fuga da un compagno violento, non ha una rete familiare alla quale appoggiarsi e lavora, sottopagata, per un’impresa di pulizie; entra così nella vita di famiglie benestanti, delle quali scopre le storie e l’intimità pulendo le loro case: ne trae ispirazione per i racconti che scrive quasi di nascosto, sognando di accedere a un corso universitario di scrittura creativa. Ma i guadagni non bastano nemmeno a coprire le spese: vediamo scorrere sullo schermo, di fianco alla testa della protagonista, le somme di denaro via via decurtate, mentre fa mentalmente i calcoli. Al centro di ogni suo pensiero c’è la figlia Maddy, che attraversa, sorridente e inconsapevole, un calvario di notti in auto, traslochi, uffici dei servizi sociali, fino all’inserimento d’urgenza in un centro per vittime di violenza domestica.
Tra le serie più fortunate dell’ultima stagione, Maid indaga il disagio del sottoproletariato bianco della provincia statunitense con uno stile sobrio e leggero, che evita la retorica strappalacrime – e in questo sta il pregio della serie – e riesce a restituire con profondità una vicenda umana che vuole restare aperta alla speranza. Nei dieci episodi vediamo dipanarsi tutte le dimensioni della povertà, che non si può ridurre all’aspetto occupazionale: la povertà è precarietà di rapporti umani e familiari, è mancanza d’accesso ai servizi essenziali, è la condizione per cui una persona cresciuta in un contesto problematico stenta a separarsi da relazioni tossiche, che incombono come un pesante fardello su ogni suo tentativo di costruire una vita serena. Alex è il prototipo del working poor, una categoria sulla quale si sta accendendo l’attenzione di sociologi ed economisti anche nel nostro Paese: sono le persone che, pur avendo un’occupazione, sono a rischio di esclusione sociale a causa di un livello di reddito troppo basso. Ma la storia di Alex mostra anche il ruolo della dissoluzione dei legami sociali e familiari nella costruzione delle nuove povertà: senza una rete relazionale solida, la sola perdita del lavoro può trascinare una persona, nel più breve tempo, nella condizione estrema del senzatetto.
Un’altra interessante chiave di lettura della serie riguarda la maternità. In questo caso, una maternità non prevista, che però spinge la protagonista a mobilitare ogni risorsa, diventando un fattore di crescita e di resistenza. Restare tenacemente attaccata al suo ruolo di madre, è infatti ciò che permette ad Alex di continuare a prendersi cura di se stessa e delle proprie aspirazioni. L’attitudine materna della protagonista si estende via via fino ad arrivare a offrire sostegno ad altre donne vittime di violenza. Maternità, dunque, come disponibilità all’accoglienza dell’inatteso della vita e capacità di cura delle vulnerabilità proprie e altrui.