L’ondata di proteste e le fragili democrazie dell’America latina

Fascicolo: febbraio 2020

La Rete di centri sociali della Compagnia di Gesù in America latina e Caraibi è stata istituita nel 2008 come spazio di incontro e collaborazione fra 33 istituzioni, impegnate nella riflessione e azione sociale. Dal dialogo fra esperienze e ricerche locali, nasce una lettura condivisa del momento presente in America latina, che la Rete ha reso pubblica con questa Dichiarazione, diffusa l’8 dicembre 2019.

 

«Un sistema politico-economico, per il suo sano sviluppo, ha bisogno di garantire che la democrazia non sia solo nominale, ma che possa vedersi plasmata in azioni concrete che veglino sulla dignità di tutti gli abitanti, secondo la logica del bene comune, in un appello alla solidarietà e un’opzione preferenziale per i poveri. [...] Non c’è democrazia con la fame, né sviluppo con la povertà, né giustizia nell’iniquità» (Papa Francesco, Discorso al vertice dei giudici panamericani sui diritti sociali e la dottrina francescana, 4 giugno 2019).

Nella seconda metà del 2019, l’America latina ha vissuto una fase di ebollizione sociale, politica ed economica. Negli ultimi mesi, le democrazie del continente e i loro apparati statali hanno mostrato grandi limiti e ombre: le violazioni sistematiche dei diritti umani, l’adozione di misure che incoraggiano la distruzione delle economie locali e l’impatto negativo di megaprogetti minerari ed energetici sui territori e sul patrimonio naturale e culturale. Allo stesso tempo, ha preso vita un’ondata di mobilitazioni che esprime il desiderio dei popoli di non rassegnarsi a una dinamica storica di esclusione. Nelle strade dell’America latina risuona il grido di una cittadinanza stremata dallo sfruttamento e convergono varie forme di resistenza.

Per la maggior parte della popolazione, la disoccupazione, il reddito insufficiente, l’accesso limitato e precario alle cure sanitarie, l’istruzione di bassa qualità, l’iniquità dei sistemi pensionistici, l’insicurezza, la repressione politica delle proposte e della resistenza popolare, la corruzione e il deterioramento della cosa pubblica sono manifestazioni della fragilità dei sistemi politici dell’America latina. Queste situazioni accelerano l’emigrazione di milioni di persone, soprattutto giovani, alla ricerca di alternative per sopravvivere.

In questo contesto, in tutto il continente si infiammano le proteste di milioni di persone e di organizzazioni, provenienti da vari strati sociali, per lo più popolari: popoli indigeni e comunità afrodiscendenti e contadine, donne, studenti e insegnanti, sindacati, a cui si aggiungono ogni giorno giovani insoddisfatti i quali ritengono che le misure di politica sociale ed economica li danneggino gravemente e li lascino senza futuro, poiché riducono sempre più le opportunità di accesso all’istruzione superiore, al lavoro dignitoso e allo sviluppo.

Questo è successo in Ecuador, dove l’eliminazione dei sussidi per i carburanti ha rilanciato la mobilitazione delle popolazioni indigene e di altri settori. In Cile, considerato finora il modello da seguire, il semplice aumento del prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In Brasile la ripresa di progetti economici ultraliberisti sta smantellando le strutture di partecipazione dei cittadini, riducendo i diritti sociali acquisiti e mercificando l’ambiente. Il Perù sta vivendo una crisi istituzionale e in Uruguay la popolazione ha protestato massicciamente contro l’espansione del ruolo dei militari nella vita pubblica e politica del Paese. Il Venezuela continua a essere scosso da una crisi politica, economica, sociale e umanitaria, e in Bolivia, dopo la partenza di Evo Morales, il popolo sta affrontando una crisi democratica che riflette problemi politici e sociali profondamente radicati.

Anche l’America Centrale e i Caraibi non sono esenti da ingiustizie socioambientali e dalle conseguenze di molteplici e storiche forme di violenza. Ad esempio nella Repubblica Dominicana, ad Haiti, in Guatemala, in Honduras, nel Nicaragua e a Panama negli ultimi mesi diventano ogni giorno più forti le mobilitazioni popolari per rivendicare i diritti. In Colombia, lo sciopero nazionale iniziato giovedì 21 novembre e la risposta del Governo mostrano il nocciolo del problema che questo Paese e, in generale, i Paesi della regione si trovano ad affrontare: società segnate da profonde disuguaglianze, ingiustizie e fenomeni di esclusione economica e politica, nonché sistemi politici ed economici clientelari e corrotti.

Anche se le modalità con cui si innescano le reazioni della società in questo travagliato continente sono differenti da Paese a Paese, emergono alcuni elementi comuni: l’indignazione e il malcontento causati dal distacco delle élite politiche ed economiche dalla realtà della grande maggioranza della popolazione; questa è la crisi di un modello di Stato che si pone al servizio di gruppi economici con enormi capacità di influenza sul disegno delle politiche pubbliche che generano povertà, e di gruppi politici aggrappati al potere con modelli altrettanto esclusivi. Dal punto di vista del sociologo portoghese Boaventura De Sousa Santos, si sta radicando una forma di “fascismo pluralista” che non esisteva prima, in cui le società sono politicamente democratiche e socialmente fasciste.

Per tutti questi motivi, la Rete di centri sociali della Compagnia di Gesù in America latina e nei Caraibi invita tutti gli attori sociali e politici a produrre strumenti utili a riconfigurare le democrazie nei nostri Paesi e a intensificare la costruzione di alternative efficaci di partecipazione popolare. È necessario attuare nuove pratiche civiche di costruzione della cosa pubblica, e iniziative di dialogo tra i diversi settori, anche se antagonisti.

Dichiariamo la nostra solidarietà con tutte le vittime della violenza nei diversi Paesi, respingiamo le vessazioni dei leader studenteschi e sociali, gli eccessi e l’arbitrarietà delle forze dell’ordine e chiediamo con forza che i Governi garantiscano i diritti fondamentali dei nostri popoli latinoamericani.

Chiediamo ai Governi latinoamericani in carica di creare spazi di dialogo democratico, inclusivo ed efficace, di ascoltare le richieste dei cittadini e di fornire risposte politiche tempestive.  

Incoraggiamo coloro che guidano le mobilitazioni a optare per l’esercizio pacifico del diritto di protestare. È necessario promuovere dialoghi nazionali inclusivi e fornire le garanzie che permettano di trasformare la protesta sociale di massa in un’opportunità di riconciliazione, di cambiamento profondo, creativo e non violento, per ripensare la rotta dei nostri Paesi e dare solido fondamento alle democrazie latinoamericane.

Con fede e speranza, spingiamo a dare ascolto alle grida del popolo, nonostante alcune forze vogliano conservare i loro grandi privilegi e insistano nell’aggrapparsi a soluzioni violente. È tempo di trovare insieme un nuovo modo di organizzare la nostra società e la nostra economia, mettendo l’essere umano e la natura al centro delle loro priorità.

Già trent’anni fa la Chiesa ci ha interpellato attraverso la voce del santo pontefice Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus: «La Chiesa apprezza il sistema della democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti o di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno» (n. 46).

13 febbraio 2020
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