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Liberi di credere

Il Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, "Libertà religiosa, via per la pace", è risultato drammaticamente attuale perché nella notte di Capodanno un attentato insanguinava la città di Alessandria di Egitto provocando la morte di 22 cristiani copti. Gli AA. riflettono sulle parole del Papa per sottolineare come la libertà religiosa sia diritto di ogni uomo e fondamento essenziale per la costruzione del bene comune e come tale lo Stato ha il compito di preservarne lo spazio pubblico, lontano da fondamentalismi e laicismi. Per i cristiani ciò implica una reale apertura alla libertà di culto dove il cristianesimo continua a essere un riferimento culturale e, dove essi sono minoranza, la necessità che il sangue dei martiri non chiami altra violenza.
Fascicolo: febbraio 2011

La cronaca ci propone ancora una volta la realtà dolorosa di violenze contro comunità cristiane riunite in preghiera: la notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio scorsi ad Alessandria d'Egitto un sanguinoso attentato ha provocato la morte di 22 cristiani copti. Da oltre un anno, da molte parti del mondo - Iraq, India, Pakistan, Malesia, Filippine, Nigeria e ancora in Egitto - si inseguono ormai a un ritmo quasi quotidiano le notizie di uccisioni, violenze e discriminazioni contro i cristiani. Questi episodi, che si uniscono a tutti gli altri nei quali, in tante nazioni, una parte della popolazione ne perseguita un'altra a causa di una diversa fede o appartenenza religiosa, mostrano l'estrema attualità del Messaggio del Papa per la celebrazione della Giornata mondiale della pace (1° gennaio), dal significativo titolo Libertà religiosa, via per la Pace (8 dicembre 2010, in <www.vatican.va>). Il 10 gennaio scorso, nel discorso al corpo diplomatico, Benedetto XVI ha ribadito: «La pace, infatti, si costrui-sce e si conserva solamente quando l'uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri». Come sottolineava p. Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana nell'editoriale del settimanale Octava Dies il 18 dicembre 2010, il Messaggio non è indirizzato solo ai cristiani, ma si rivolge al bene di tutta l'umanità, di ogni persona umana, rivendicandone il diritto fondamentale di cercare Dio, riconoscerlo e onorarlo nella propria vita.
Vogliamo quindi proporre una riflessione sull'importanza della libertà religiosa che, come vedremo, è parte integrante della dignità della persona umana e, quindi, un pilastro fondamentale per la costruzione di una società veramente giusta. Per questo i cristiani - come sottolinea il Papa - non possono fare a meno di proporsi come promotori della libertà religiosa in quelle zone del mondo dove sono in maggioranza, né cessare di invocarla in tutti quei contesti in cui sono, invece, in condizione di minoranza.

1. Libertà religiosa e dignità umana

Nel Messaggio si ribadisce con fermezza che il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità della persona umana, «la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata. Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine e somiglianza [cfr Genesi 1, 27]. Per questo ogni persona è titolare del sacro diritto a una vita integra anche dal punto di vista spirituale» (n. 2). Se dunque gli appelli per la libertà religiosa trovano il loro fondamento nella dignità della persona, ciò significa che i diritti degli altri - anche quello di professare una religione diversa dalla nostra - vanno rispettati non in cambio di un trattamento equivalente, o a titolo di concessione, ma semplicemente per un dovere di giustizia.
La libertà religiosa è un pilastro fondamentale per la costruzione di una società giusta e pacifica: «Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l'ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene» (n. 5). Per il Pontefice, deve essere difeso sia il diritto all'espressione pubblica e sociale della propria religione, sia il diritto di chi esplicitamente non professa alcuna forma di fede o religiosità: «ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblico che in privato, nell'insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni, nel culto e nell'osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un'altra religione o non professarne alcuna» (ivi).
Proprio perché l'apertura alla dimensione trascendente è una dimensione insopprimibile della persona umana, la libertà religiosa fa parte del bene comune, che, come insegna il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, è «l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (n. 26): laddove una dimensione fondamentale dell'umano risulti coartata, sarà più difficile alle persone realizzare integralmente la propria umanità. Per questo «L'ordinamento internazionale riconosce [...] ai diritti di natura religiosa lo stesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova della loro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti dell'uomo, a quei diritti universali e naturali che la legge umana non può mai negare» (Messaggio, n. 5).

2. La dimensione pubblica della religione

Ma la questione della libertà religiosa non si limita alla tutela, pur fondamentale, di uno spazio di libertà individuale, che «lo Stato è chiamato a proteggere [...] in quanto "intrinseca alla persona umana"», come ha affermato il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, card. Peter Kodwo Appiah Turkson il 16 dicembre scorso nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio (in <www.vatican.va>). Essa si estende necessariamente alla dimensione pubblica della religione, per due ragioni fondamentali.
La prima è di carattere antropologico: «La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfera personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà senza relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non si esaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propria comunità e nella società, coerentemente con l'essere relazionale della persona e con la natura pubblica della religione» (Messaggio, n. 6). Il testo declina in una prospettiva specifica uno dei noccioli fondamentali del magistero di Benedetto XVI: la centralità della categoria della relazione per una piena interpretazione di che cosa significhi essere persona umana, sulla base di un fondamento teologico, la relazione intratrinitaria a cui Dio vuole associarci. L'enciclica Caritas in veritate (2009), in particolare il cap. V, dedica a questo tema pagine di grande intensità e profondità.
La seconda ragione ne è una diretta conseguenza: «La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa, che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per il bene comune» (Messaggio, n. 6). Se la libertà religiosa non si estende alla dimensione pubblica della religione, la società si priva di un contributo fondamentale per il proprio sviluppo. Il primo riferimento è certo alle «istituzioni caritative e culturali che attestano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale» (ivi), ma vi è una dimensione ancora più profonda e importante: «il contributo etico della religione nell'ambito politico» (ivi).
È necessario soffermarsi per comprendere a fondo la portata di questa affermazione, che la cultura contemporanea troppo facilmente potrebbe interpretare come una pretesa teocratica, mentre è l'esatto contrario. La dignità della persona umana si sostanzia in primo luogo «come capacità di trascendere la propria materialità e di ricercare la verità» (n. 2), che infatti è il filo conduttore dell'intero magistero di Benedetto XVI, il quale, contro lo scetticismo postmoderno, non smette di credere e di annunciare che l'uomo è capace di cercare e di incontrare la verità. In questa visione la religione rappresenta un percorso privilegiato di ricerca condivisa della verità: «Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l'apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un'autentica libertà e a sviluppare una società giusta» (ivi).
Poiché un giusto ordine sociale può fondarsi solo sulla verità, questo è il più fondamentale contributo della religione anche in chiave politica, e una responsabilità per tutti i credenti, in particolare per i loro leader. Benedetto XVI lo afferma con chiarezza: «Lo spazio pubblico, che la comunità internazionale rende disponibile per le religioni e per la loro proposta di "vita buona", favorisce l'emergere di una misura condivisibile di verità e di bene, come anche un consenso morale, fondamentali per una convivenza giusta e pacifica. I leader delle grandi religioni, per il loro ruolo, la loro influenza e la loro autorità nelle proprie comunità, sono i primi ad essere chiamati al rispetto reciproco e al dialogo» (n. 10). Solo nella verità, riconosciuta dalla ragione ed espressa dalla parola, gli uomini possono trovare unità, superando differenze e parzialità altrimenti inconciliabili.

3. Laicità, laicismo e fondamentalismo

Proprio la centralità della verità, che fa appello alla ragione umana, garantisce che la tutela della libertà religiosa, anche nella sua dimensione pubblica e sociale, non rappresenti una violazione del principio di laicità alla base della vita politica. È piuttosto una deformazione del concetto di laicità quella che porta a ritenere che sia possibile costruire una società pacifica soltanto eliminando ogni possibilità di espressione religiosa; come dice ancora il Papa, «è inconcepibile che i credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti» (n. 3). Laicismo e fondamentalismo sono due espressioni opposte, ma convergenti, dello stesso atteggiamento: la negazione della libertà religiosa e, quindi, della libertà tout court (cfr Valli A. M., Se l'Occidente sacrifica i cristiani, in <www.europaquotidiano.it>, 5 gennaio 2011). Allo stesso modo - continua il Papa - bisogna anche saper individuare e «destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudovalori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani» (n. 11).
Il n. 8 del Messaggio propone una riflessione sui molti fondamentalismi religiosi che le nostre società devono oggi affrontare, mentre il n. 13 evidenzia come, nel contrastare tali spinte, molti Paesi occidentali tendono a proporre apparati legislativi ispirati a un aprioristico pregiudizio nei confronti della religione e della sua espressione pubblica: «Vi sono poi [...] forme più sofisticate di ostilità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l'identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fomentano spesso l'odio e il pregiudizio e non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi».
Quello che occorre non è l'eliminazione delle religioni dalla scena pubblica, ma il dialogo fra di esse: non a caso il n. 11 del Messaggio ricorda l'evento della Giornata mondiale di preghiera per la pace del 1986, quando Giovanni Paolo II invitò ad Assisi i leader religiosi di tutto il mondo: un incontro storico, che il Papa ha annunciato di voler ripetere il prossimo ottobre. Benedetto XVI non è certo solo nel sostenere l'importanza del dialogo fra i credenti delle diverse religioni. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, fin dalla sua campagna elettorale, esprimeva «la speranza di poter vivere fianco a fianco in un modo che sappia conciliare il credo di ognuno con il bene di tutti» (Obama B., Yes we can. Il nuovo sogno americano, Donzelli, Roma 2008, 107). Questo, in contesti democratici, impone che le persone mosse da motivazioni religiose siano in grado di tradurre le loro istanze in valori autenticamente laici - cioè argomentati razionalmente -, piuttosto che specificamente religiosi. Certamente è necessario l'impegno di tutti per isolare gli estremismi, a partire da quello di una reciproca conoscenza; nel discorso al Cairo, il 4 giugno 2009, Obama si rivolgeva così al mondo musulmano: «Occorre fare uno sforzo sostenuto per ascoltarci a vicenda; per imparare gli uni dagli altri; per rispettarci e cercare un terreno d'intesa» (testo integrale disponibile in <www.corriere.it>, 5 giugno 2009).

4. Difendere e invocare la libertà religiosa

La libertà religiosa - il Messaggio ne è ben consapevole - si presta purtroppo anche ad abusi e strumentalizzazioni, soprattutto in chiave politica, che ne compromettono l'autentica carica di liberazione dell'uomo. Rimane aperto il problema già sollevato dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae, 1965, n. 7): quali devono essere i limiti della libertà religiosa e quali le responsabilità della società nel tutelarsi da eventuali abusi e violenze dietro il pretesto della libertà religiosa di una minoranza o, al contrario, della «difesa» dei valori religiosi della maggioranza? Sono equilibri difficili da definire in modo univoco, sui quali è essenziale impegnarsi a lavorare con attenzione, soprattutto da parte di chi ha la responsabilità della cosa pubblica.
Il tema è quanto mai delicato e complesso, perché facilmente si può aprire a strumentalizzazioni e a unilateralismi, soprattutto se la lettura che se ne dà fa leva sulla dialettica ambigua tra l'essere comunità religiosa maggioritaria in alcuni territori, tenuta quindi a permettere la libertà alle altre confessioni, e l'essere invece in altre zone del mondo una minoranza - magari perseguitata e schiacciata -, che non può che invocare per sé la possibilità di esercitare il proprio culto e le proprie attività educative, culturali e caritative, con sufficiente autonomia e libertà. Non è possibile risolvere la questione con una dinamica di potere che più o meno inconsapevolmente utilizza pesi e misure diversi a seconda della parte del mondo in cui si trova; occorre invece partire dal fatto che la libertà religiosa rappresenta, al tempo stesso, un diritto inviolabile di ciascuna persona e un corrispettivo dovere di rispetto da parte di tutte le altre, e questo in ogni parte del mondo.
Ne discendono, soprattutto per i cristiani, due implicazioni di cui tenere conto. In primo luogo, dove la tradizione cristiana è più radicata e continua a essere un riferimento culturale, occorre aiutare la crescita della capacità di comprensione e della testimonianza della fede che rende liberi, proponendo una reale apertura alla libertà di culto e di espressione delle altre minoranze religiose, anche per quanto riguarda l'edificazione di luoghi di culto idonei e dignitosi. L'impegno è quello di essere i primi a testimoniare «la difesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minaccia contro l'identità della maggioranza, ma sono al contrario un'opportunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La loro difesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di benevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le libertà fondamentali in tutte le aree e le religioni del mondo» (n. 13).
In secondo luogo, il sacrificio di uomini e donne che, in molte parti del mondo, subiscono violenza per motivi religiosi, deve divenire grido di giustizia - senza mai cedere al desiderio di vendetta - che smuova organismi internazionali e singole nazioni verso un effettivo riconoscimento del diritto alla libertà religiosa. Alla stregua della prima comunità cristiana, la persecuzione e il sangue dei martiri devono fecondare la terra, il mondo in cui viviamo, perché diventi più umano. «La violenza non si supera con la violenza. Il nostro grido di dolore sia sempre accompagnato dalla fede, dalla speranza e dalla testimonianza dell'amore di Dio» (n. 15). Un modo di vivere cristiano, che vince il male con il bene.

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