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La rotta balcanica. Problema di sicurezza o possibilità di crescita?
Da secoli la regione dei Balcani è caratterizzata da intensi flussi
di emigrazione. Negli ultimi anni, tuttavia, l’area sta emergendo
sempre di più come terra di passaggio di più ampi movimenti
migratori globali. Si parla infatti della rotta balcanica, che insieme a
quella mediterranea costituisce una delle principali direttrici migratorie
verso l’Europa. Partendo dalla Turchia e dalla Grecia, attraverso
l’Albania, la Macedonia del Nord o la Bulgaria, o attraverso il Kosovo
o il Montenegro, i migranti arrivano in Serbia e poi in Bosnia, al confine
dell’Unione Europea (UE) , da dove proseguono verso la Croazia e la
Slovenia. Secondo i recenti dati dell’Organizzazione internazionale per le
migrazioni (OIM), nel 2022 ci sono stati 192.266 attraversamenti illegali
dai Balcani occidentali verso l’UE. È una cifra più alta del 60% rispetto a
quella del 2021, con un tasso di crescita costante dal 2018.
Tali numeri tuttavia non sono stati ritenuti sufficienti a suggerire cambiamenti
significativi nella politica migratoria dell’UE. Anzi, l’approccio
europeo continua a essere caratterizzato dall’assenza di azioni congiunte ed efficaci per una reale gestione dei flussi migratori. Questo ha condotto
i Paesi ai confini esterni dell’Unione, così come i Paesi terzi di transito,
ad agire autonomamente, spesso violando i diritti umani fondamentali e
il diritto internazionale. Da tempo ONG, giornalisti, attivisti e gli stessi
migranti sostengono che le forze dell’ordine in molti di questi Paesi impediscono
sistematicamente ai migranti di chiedere asilo, respingendoli
illegalmente ai confini (azione tecnicamente definita come pushback). Nel
caso della Croazia, condotte violente e illegali nei confronti dei migranti
sono state confermate anche nel rapporto del Comitato per la
prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (2021). A causa di
queste violenze, negli ultimi anni è cresciuto il numero di coloro che tentano
l’ingresso passando il confine tra Serbia e Romania, e anche tra Serbia
e Ungheria, malgrado i 170 chilometri di filo spinato e una rete metallica
alta quattro metri. [Continua]
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