La preghiera per la Siria: e poi?



Dal blog di Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali, su L'Huffington Post


 Come già i suoi predecessori in analoghe situazioni, sul conflitto siriano papa Francesco ha lanciato al mondo una sfida profetica. L'ha formulata in diverse occasioni negli ultimi 10 giorni, compresa la lettera indirizzata il 4 settembre al presidente russo Putin in qualità di ospite e presidente di turno del G20: da una parte l'appello a compiere ogni sforzo per far terminare "l'inutile massacro", ma senza ricorrere all'uso delle armi, anzi abbandonando "ogni vana pretesa di una soluzione militare"; dall'altra l'imperativo morale di dare assistenza e protezione umanitaria alle vittime del conflitto, in Siria e nei Paesi vicini.

Con gli occhi della realpolitik che domina la politica internazionale, chiedere queste due cose insieme equivale sostanzialmente a chiedere l'impossibile: è ben per proteggere le vittime innocenti dalla violenza degli aggressori (esterni in caso di guerra "tradizionale", interni in caso di guerra civile o regimi oppressivi) che il ricorso alle armi appare indispensabile, e anzi moralmente giustificato e doveroso.

Pur rivolgendosi ai responsabili della politica internazionale, papa Francesco non ha timore di lasciarsi ispirare da una logica diversa da quella della realpolitik, anzi di proporla come unica via di uscita. Per questo appoggia la sua proposta su argomenti che non trovano posto nella diplomazia convenzionale: la preghiera e il digiuno.

Ricorrere alla preghiera non è però il modo di disfarci delle nostre responsabilità affidando la patata bollente a una istanza superiore cui chiedere un intervento di tipo miracolistico: non è questo quello che il Papa ha fatto nella veglia di sabato 7 settembre, dove non ha invocato Dio perché inviasse legioni di angeli a disarmare gli eserciti in lotta.

Nella proposta di papa Francesco, digiuno e preghiera sono lo strumento per darci il tempo e il modo di rimetterci in sintonia con il desiderio profondo di armonia che l'umanità porta in sé da sempre; desiderio condiviso che, nella prospettiva della fede cristiana, è il segno del progetto di Dio iscritto nella creazione:

"Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: [...] Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni?".

Non è da prendere come una domanda retorica: ognuno di noi è invitato a rispondere personalmente, nella propria coscienza, ripercorrendo le proprie esperienze e identificando cosa veramente gli sta a cuore.

La bellezza di questo desiderio dà la forza per smascherare il male alla radice di ogni conflitto, quel male di cui ci facciamo complici: "il fratello da custodire e da amare diventa l'avversario da combattere, da sopprimere". Ma per quanto sia forte la complicità con il male, questa non arriverà mai a cancellare l'impronta originaria del progetto di Dio: dentro il cuore di ciascuno lavorerà sempre il fascino e il desiderio dell'armonia e della pace.

È questa convinzione di fede che conduce papa Francesco a ritenere possibile la pace, a ritenere fattibile quello che la realpolitik giudica impossibile, e talvolta addirittura una pericolosa utopia. Anzi, questo richiamo al desiderio profondo di pace può accomunare tutti, i semplici e i poveri come i potenti della Terra:

"È possibile percorrere la strada della pace? [...] Invocando l'aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!".

È fondamentale volere concretamente la pace, avere fiducia che essa è possibile e alla nostra portata, correre il rischio di impegnarsi per essa anche quando gli avvenimenti sembrano dire altro. Non chi resta seduto, disilluso, ma chi si mette in gioco sperimenta la creatività che fa vedere un'apertura dove sembra che non si possa passare.

Alla pace bisogna crederci, è una questione di fede, una fede che varca di molto i confini della Chiesa cattolica e sostiene ogni "uomo di buona volontà". Per rinnovare questa nostra fede e dare forza alla nostra volontà di pace, abbiamo però tutti bisogno di rimetterci in contatto con il desiderio profondo del nostro cuore, dove emerge il progetto di Dio e ciò che ci unisce come esseri umani. A questo serve pregare per la pace, il 7 settembre e poi in ognuno dei giorni successivi.
09/01/2013
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