La letteratura e, più in generale,
la comunicazione sull’ambiente
e sulla crisi climatica hanno
bisogno di linguaggi nuovi. La divulgazione
scientifica degli ultimi
decenni non è riuscita a produrre
un cambiamento culturale perché,
in larga parte, riposava sul presupposto
che fosse sufficiente fornire
un’informazione scientifica rigorosa
per sollecitare il senso etico di
chi legge. Questo approccio non
basta perché non coinvolge le dimensioni
simboliche e affettive
dell’essere umano: solo quando
queste risorse vengono mobilitate
insieme all’intelligenza, si produce
una comprensione nuova della
realtà e del significato del vivere.
È questo l’obiettivo che La meravigliosa
trama del tutto centra in
pieno.
Robin Wall Kimmerer è biologa e
membro della nazione potawatomi,
una delle minoranze native degli
Stati Uniti. In questo libro, che si
colloca nella consolidata tradizione
americana del nature writing (John
Muir, Aldo Leopold, John Cecil
Moore, Rachel Carson, per citare i
nomi più noti), traccia un percorso
che, sullo sfondo di una vicenda biografica e familiare, tesse un
dialogo tra la scienza botanica e le
tradizioni culturali e spirituali dei
nativi nordamericani. Sullo sfondo,
viene rievocata la storia della depauperazione
culturale delle popolazioni
native, attuata mediante la
politica dell’inserimento forzato dei
giovani nelle “scuole residenziali”
(Indian boarding schools), che puntavano
a sradicare gli studenti dalle
loro culture d’origine per farne dei
buoni cittadini. Questa vicenda è
stata oggetto di attenzione negli
ultimi anni in Canada; meno noto
è il fatto che anche il Governo
statunitense vi abbia fatto largo
impiego.
Se le culture indigene hanno ricevuto
un certo interesse da parte
del grande pubblico a partire dagli
anni ‘90, il punto di forza dell’A. è
di proporre una rilettura attualizzata
del patrimonio dei miti, dei riti
e dei simboli indigeni, facendone
uno strumento di interpretazione
critica del rapporto della società
contemporanea con l’ambiente.
Così, le offerte votive e i rituali di ringraziamento rivolti alle entità
non umane mediano la presa di
coscienza dell’interconnessione
tra i viventi. Certo, per il lettore
italiano è difficile comprendere
lo statuto di
“persona” attribuito
a una pianta o a un
animale e in quale
modo si possa
stabilire con essi
un rapporto di
reciprocità. Ma,
anche mantenendo
la giusta
distanza tra le antropologie,
resta la
forza della proposta: che
cosa cambierebbe, nel nostro
comportamento, nell’ipotesi di
vivere come se gli altri elementi
della natura ricambiassero la nostra
attenzione per essi? Ecco un
pensiero trasformativo, una visione
del mondo che può ispirare modi
nuovi di vivere.
Potente è anche il mito del Windigo,
essere umano trasformato
in creatura mostruosa per avere
praticato l’antropofagia e perciò
condannato a vagare, spinto da
una fame insaziabile. Come Genesi
3, questa leggenda parla di una
caduta causata da un desiderio
che non accetta limiti e che si trasforma
in pulsione irrefrenabile al
consumo, spinto a conseguenze
distruttive e autodistruttive: «Sono
dappertutto. [...] Si possono vedere
dove le miniere di carbone hanno
scotennato le cime dei monti in
West Virginia e nelle tracce viscide
di petrolio sulle spiagge del Golfo
del Messico. Chilometri quadrati di soia a uso industriale. Una miniera
di diamanti in Ruanda. Un armadio
che trabocca di vestiti. Tutte orme
del Windigo, le tracce di un consumismo
insaziabile» (p. 317).
Il libro permette anche
di collocare correttamente
le culture
native nel loro
contesto proprio,
caratterizzato da
un legame molto
stretto tra la
comunità che si
riconosce in un’ascendenza
comune
e la terra che abita.
Il lettore non indigeno,
pertanto, può lasciarsi ispirare
da queste esperienze – è questo
lo scopo del libro – ma non può
viverle in prima persona. È questo
un punto fondamentale, smarrito
negli improbabili recuperi occidentali,
new age o neopagani, dei
patrimoni spirituali indigeni. Più
precisamente, l’A. è testimone di
una minoranza discriminata, oggi
impegnata nella ricostruzione e
nella tutela della propria identità.
Questa postura, per quanto comprensibile,
non lascia molto spazio
allo scambio con altre esperienze
religiose; rattrista ritrovare nel libro
una rappresentazione caricaturale
del cristianesimo, poco conosciuto
dall’A.
Nondimeno, Wall Kimmerer raggiunge
l’obiettivo di costruire una
narrazione potente, ricca di poesia
e capace di ispirare uno sguardo
nuovo sulla società e sul mondo
non umano.