La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi

Amitav Ghosh
Neri Pozza, Vicenza, pp. 361, € 19
Scheda di: 
Fascicolo: gennaio 2023

La Terra deve essere considerata come lo scenario in cui si svolgono le vicende umane, alle quali soltanto va riconosciuta la capacità di dipanare una storia, e che costituiscono l’oggetto esclusivo dei racconti storici? Se guardiamo alla tradizione accademica che abbiamo ereditato, la risposta è affermativa. Tutti abbiamo imparato a scuola che l’inizio della storia coincide con l’introduzione della scrittura: quanto precede, cioè la grandissima maggioranza del tempo della vita sulla Terra e della stessa specie umana, è relegato una indistinta preistoria, oggetto in parte dell’archeologia ma soprattutto delle scienze geologiche e biologiche. La sfida delle environmental humanities, un filone di ricerca emerso negli ultimi anni e al quale questo libro dell’antropologo indiano Amitav Ghosh va ascritto, consiste anche nel superare questo paradigma consolidato, attraverso un approccio interdisciplinare che rende possibile una narrazione storica, non più soltanto umana, della quale sono protagonisti anche i vari elementi del mondo naturale e la Terra, considerata come un insieme vivente.

Con questo approccio, l’A. torna a rileggere la storia della colonizzazione europea, mettendo al centro della sua analisi il processo di “terraformazione”, cioè di radicale trasformazione degli ecosistemi, messo in opera nelle colonie dai Governi e dalle grandi imprese commerciali dedite allo sfruttamento delle risorse locali. Qui entra in gioco la noce moscata del titolo. Il racconto parte dalle isole Banda, un piccolo arcipelago vulcanico nelle Molucche, oggi in territorio indonesiano. All’inizio del diciassettesimo secolo, queste isole divennero oggetto di un radicale esperimento sociale e ambientale, ad opera della Compagnia olandese delle Indie Orientali, alla quale il Governo olandese aveva concesso il monopolio dei commerci su vasta parte dei propri possedimenti coloniali, insieme al diritto di costruire fortificazioni, compiere azioni di guerra e stipulare trattati. Completamente svuotate dei propri abitanti, uccisi o deportati, le isole Banda vennero trasformate interamente in un complesso di grandi piantagioni, in cui fu reinsediata una popolazione di schiavi di diversa provenienza. A partire da questo esempio, l’A. ripercorre il processo di soggiogamento delle terre e dei loro primi abitanti, lungo tutta l’epoca coloniale, e traccia un percorso che, dallo sfruttamento intensivo delle risorse delle colonie, conduce alle conseguenze dei cambiamenti climatici antropogenici.

Narrare la storia dello sfruttamento coloniale non è un’operazione nuova, ma ciò che rende interessante il libro di Ghosh è il quadro concettuale nel quale questa storia viene riletta. L’assunto di base della “terraformazione” è un cambiamento di paradigma: svuotata di ogni riferimento simbolico, la Terra viene rappresentata dai colonizzatori come uno spazio neutro ed omogeneo, inerte, meccanicamente ricomponibile per formare “nuove Europe” in ogni angolo del mondo. Alle origini del dramma coloniale c’è dunque uno scarto epistemologico, che l’A. rielabora contrapponendo due categorie: vitalismo e meccanicismo. I termini vanno compresi correttamente perché significano varie cose nella nostra tradizione filosofica. Parafrasando, il vitalismo è per Ghosh una comprensione simbolica della realtà, aperta alla trascendenza, e che è caratteristica delle culture indigene; il meccanicismo corrisponde a quello che l’enciclica Laudato si’, più volte citata nel testo, chiama “paradigma tecnocratico”. L’A. recupera a questo scopo anche la controversa “ipotesi Gaia” del chimico James Lovelock, che comprende la Terra come un complesso sistema sinergico e autoregolante, capace di reazione. Ghosh mette questa concezione in dialogo con le tradizioni cosiddette animiste, che più correttamente dovremmo chiamare religioni cosmiche, dei popoli indigeni, sottolineando anche il ruolo che esse svolgono nel sostenere le rivendicazioni di queste popolazioni contro i progetti di sfruttamento dell’Amazzonia e di altre aree del mondo.

In questa affermazione del valore simbolico del mondo e del potere trasformativo di tale visione risiede, a nostro giudizio, il contributo più importante del volume. Poiché il paradigma tecnocratico forma un sistema di comprensione della realtà coerente e chiuso in sé, riscoprire il valore ermeneutico dei simboli, dei riti e delle narrazioni, senza rinunciare al contributo delle scienze naturali, permette di uscire dal paradigma per affrontare la crisi ambientale in modo ecumenico, rendendo ogni persona protagonista dello sforzo comune, sulla base delle risorse culturali del proprio territorio e della propria storia.

Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza