La crisi del 1929 e la Quadragesimo anno
Le crisi economiche sono un fenomeno ricorrente. Pur con molte differenze, non mancano tra di loro elementi comuni, come dimostrano gli studi dell’economista americano John Kenneth Galbraith sulle crisi economiche dal XVII secolo al 1929 (Galbraith 1990). Sebbene risalgano a oltre vent’anni fa, molte delle sue pagine sembrano descrivere quello che abbiamo vissuto a partire dal 2007. In questa luce è interessante esaminare come la dottrina sociale della Chiesa analizzò gli eventi del 1929, in particolare attraverso l’enciclica Quadragesimo anno (QA), che Pio XI pubblicò nel 1931.
Il suo obiettivo originario, da cui deriva il titolo, era commemorare il quarantesimo anniversario della Rerum novarum. Dopo aver esposto i benefici prodotti dalla sua pubblicazione, Pio XI riconosce che essa ha sollevato dubbi nella sua applicazione e polemiche anche all’interno della Chiesa. Inoltre, constata che «le nuove necessità dei nostri tempi e la mutata condizione delle cose» (QA, n. 40; salvo diversa indicazione, tutte le citazioni che seguono sono tratte dalla QA), giustificano un nuovo documento magisteriale, in cui si rintracciano gli elementi per studiare la posizione della Chiesa di fronte alla crisi di quegli anni.
Le cause della crisi e la critica del capitalismo
Il testo della QA non offre un’analisi dettagliata ed esplicita della crisi del 1929, anche se di crisi si parla: quella dell’«odierno regime economico» (n. 99) o dell’«economia» (n. 100). I documenti del magistero del resto furono a lungo restii a utilizzare il termine “capitalismo”. Leone XIII non lo impiegò mai, mentre nella QA ricorre in alcune espressioni indirette, come «quell’ordinamento economico con cui generalmente si contribuisce all’attività economica dagli uni col capitale, dagli altri con il lavoro» (n. 100), o «l’ordinamento capitalistico dell’economia» (nn. 103-104). La critica al capitalismo muove da una prospettiva storica, basata sull’esperienza dei decenni precedenti: si denuncia l’accumulo di risorse e potere, risultato dell’eccessiva libertà nella concorrenza.
La dinamica dell’accumulazione
(Quadragesimo anno, nn. 105.107)
105. In primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.
107. Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.
In modo illuminante l’enciclica mostra come la concorrenza si trasformi in dittatura, a causa della brama di profitto non sottoposta a nessuna restrizione: «Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi [...] vedete e deplorate; la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è subentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele» (n. 109). L’individualismo ha annullato la libera concorrenza, che è il motore dell’economia di mercato: il sistema si è autodistrutto. Nei documenti della Chiesa si trovano poche altre critiche del capitalismo altrettanto decise: gli aggettivi usati («dura, inesorabile, crudele») sono molto espressivi.
Inoltre, questo processo degenerativo ha prodotto anche una distorsione delle funzioni dello Stato, che finisce per essere oggetto di conquista da parte di questi poteri insaziabili che vogliono metterlo a servizio di interessi privati: «A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell’autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizioni umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia» (ivi).
La riforma del sistema e dei costumi
Pio XI non si limita a criticare, ma formula una proposta alternativa basata su due pilastri: la riforma delle istituzioni e quella dei costumi (n. 78). Questa doppia linea costituisce la trama di gran parte dell’enciclica.
Per quanto riguarda la riforma delle istituzioni, la QA individua tre direzioni. La prima riguarda lo Stato, che deve applicare il principio di sussidiarietà, limitandosi a svolgere le proprie funzioni legittime; infatti l’affermazione dell’individualismo ha distrutto le organizzazioni e le istituzioni della società, obbligando i poteri pubblici ad assumere compiti che in nessun caso rientrano tra le loro responsabilità (nn. 79-82). La seconda linea di riforma punta al rafforzamento dell’unità e della coesione del corpo sociale, intese da Pio XI in modo molto concreto: rifiutare una società basata sulle classi, abbandonare i conflitti di classe e passare al principio di cooperazione tra le professioni (nn. 83-88). Infine, occorre recuperare il carattere sociale dell’economia e sostituire nel ruolo di principio direttivo dell’economia la libera concorrenza del mercato, proposta dall’individualismo, con la giustizia e la carità sociali (n. 89).
La QA si spinge oltre, arrivando a proporre un sistema concreto di organizzazione della società e dell’economia, il corporativismo. Mai, né prima né dopo, i documenti ufficiali della Chiesa hanno presentato proposte così concrete. Lasciando da parte quanto è ormai superato o legato alla congiuntura dell’epoca, è evidente che la QA propone una riforma strutturale radicale. Non si può dimenticare che il socialismo collettivista si stava consolidando in quegli anni in Unione Sovietica e rappresentava un’alternativa attraente per le classi più colpite dalla crisi. Il rifiuto netto di quel modello (n. 112) e le riserve nei confronti di qualsiasi tipo di socialismo (definito «socialismo più mite», n. 113), non devono essere interpretati come una implicita accettazione del capitalismo. Per questo si propone un sistema alternativo, basato su un principio organizzativo radicalmente opposto a quello capitalistico: la cooperazione al posto della competizione. Certo, nella proposta si rintraccia un’eco nostalgica dell’antico sistema delle corporazioni medievali, ma l’invito a un cambiamento così radicale evidenzia la portata delle critiche al sistema vigente. Questo fa pensare che Pio XI consideri la crisi del 1929 non solo un fenomeno passeggero, ma un segnale dell’inadeguatezza del modello, giunto a un punto di non ritorno.
Alla proposta di riforma delle istituzioni si affianca quella dei costumi, espressa in modo perentorio: «il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane» (n. 129) e la «cristianizzazione della vita economica» (n. 135). Il presupposto è che la società si è allontanata dal cammino della Chiesa e non ha altra soluzione se non farvi ritorno. Perciò ricorre così frequentemente il termine “ricostruzione”, presente fin dal titolo dell’enciclica («Sulla ricostruzione dell’ordine sociale e il suo perfezionamento in conformità con la legge evangelica», secondo il testo originale latino).
Questa posizione si fonda su una lettura della storia presente in molti documenti della dottrina sociale della Chiesa, secondo cui l’origine di tutti i mali della società moderna si trova nella riforma protestante, da cui scaturì quel principio di libertà che nel corso del tempo ha ispirato le strutture della società e i costumi. Ne troviamo un esempio in un testo di Leone XIII, in cui sono facilmente individuabili le allusioni alla riforma protestante e alla rivoluzione francese: «Ma quel pernicioso e deplorevole spirito innovatore che si sviluppò nel sedicesimo secolo, volto dapprima a sconvolgere la religione cristiana, presto passò, con naturale progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della società civile. Da ciò si deve riconoscere la fonte delle più recenti teorie sfrenatamente liberali, senza dubbio elaborate durante i grandi rivolgimenti del secolo passato e proclamate come principi e fondamenti di un nuovo diritto, il quale non solo era sconosciuto in precedenza, ma per più di un aspetto si distacca sia dal diritto cristiano, sia dallo stesso diritto naturale» (Immortale Dei, 1885, n. 10).
La radice di tutti i mali
Al di là di questi presupposti di base, è interessante esaminare anche la denuncia di quella che è identificata come la radice di tutti i mali: la cupidigia. L’analisi la mette in relazione con la scristianizzazione: le passioni disordinate dell’anima, conseguenza del peccato originale, si manifestano attraverso una preoccupazione eccessiva per i beni caduchi (nn. 129-132). Ma questo sfondo, espresso in termini religiosi, viene immediatamente collegato con le dinamiche dell’economia dettate dalla bramosia di facili guadagni (n. 132, cfr riquadro). Oggetto della denuncia sono i comportamenti dei dirigenti delle grandi imprese e, in particolare, degli istituti di credito, che cercano di allettare l’avidità dei cittadini per approfittarsi di loro. Le classi dirigenti hanno fatto da apripista, trascinando dietro di sé il resto della società e in particolare i lavoratori.
I guasti prodotti dalla smania di facili guadagni
(Quadragesimo anno, n. 132)
132 […] poiché l’instabilità della vita economica e specialmente del suo organismo, richiede uno sforzo sommo e continuo di quanti vi si applicano, alcuni vi hanno indurito la coscienza a tal segno che si danno a credere lecito l’aumentare i guadagni in qualsiasi modo e difendere poi con ogni mezzo dalle repentine vicende della fortuna le ricchezze accumulate con tanti sforzi. I facili guadagni, che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica, con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori. Le disposizioni giuridiche poi, ordinate a favorire la cooperazione dei capitali, mentre dividono la responsabilità e restringono il rischio del negoziare, hanno dato ansa alla più biasimevole licenza; giacché vediamo che, scemato l’obbligo di dare i conti, viene attenuato il senso di responsabilità nelle anime, e sotto la coperta difesa di una società che chiamano anonima, si commettono le peggiori ingiustizie e frodi, e i dirigenti di queste associazioni economiche, dimentichi dei loro impegni, tradiscono non rare volte i diritti di quelli di cui avevano preso ad amministrare i risparmi. Né per ultimo si può omettere di condannare quegli ingannatori che, non curandosi di soddisfare alle oneste esigenze di chi si vale dell’opera loro, non si peritano invece di aizzare le cupidigie umane, per venirle poi sfruttando a proprio guadagno.
Con un linguaggio d’altri tempi troviamo la descrizione di pratiche, già in auge quasi un secolo fa, che oggi ci sono fin troppo familiari e che continuano a produrre gravi danni sociali e ambientali. Per questa ragione non è difficile rintracciare nelle parole della QA delle assonanze con la recentissima enciclica Laudato si’ di papa Francesco; tra i molti, valga come esempio quanto afferma al n. 56: «Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi».
Dunque la QA rintraccia la radice ultima della crisi nella cupidigia umana, così come Galbraith la riconoscerà nella ricerca del profitto. Ne segue l’esigenza di un cambio di mentalità: in accordo con la tradizione dominante, l’enciclica l’identifica con la riforma dei costumi e più precisamente con la loro “ricristianizzazione”. Ma questo cambio di mentalità deve essere accompagnato da una riforma istituzionale, per la quale Pio XI si arrischia a proporre un modello alternativo, la cooperazione tra le classi sociali, basato su presupposti diversi da quelli del capitalismo e del socialismo. Il modello corporativo nacque già vecchio, ma questo non intacca la validità della motivazione di fondo: la difficoltà di una riforma dei sistemi esistenti rendeva preferibile la ricerca un’alternativa radicale.
Risorse
ID = LEONE XIII, enciclica Immortale Dei, 1885.
LS = PAPA FRANCESCO, enciclica Laudato si’, 2015.
QA = PIO XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931.
RN = LEONE XIII, enciclica Rerum novarum, 1891.
GALBRAITH J. K. (1990), A Short History of Financial Euphoria; tr. it. Breve storia dell’euforia finanziaria. I rischi economici delle grandi speculazioni, Rizzoli, Milano 1991.
Il presente contributo è un adattamento, a cura dell’A., di parte della materia trattata più diffusamente in CAMACHO LARAÑA I., «Propuestas históricas del Pensamiento Social Cristiano en tiempos de crisis económica», in Revista de Fomento Social, 273-274 (gennaio-giugno 2014) 37-63. Traduzione dall’originale spagnolo di Simone Pagliara.
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