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In ricordo di Stan Swamy, martire per gli adivasi

Estratto dall’articolo di Xavier Jeyaraj SJ, Direttore del Segretariato per la Giustizia sociale e l’Ecologia della Compagnia di Gesù, comparso sul numero di giugno-luglio

Un anno fa, il 5 luglio 2021, il padre gesuita Stan Swamy, 84 anni, è morto in prigione e l’India ha perso uno dei suoi più impegnati attivisti per i diritti umani dei popoli indigeni. La disumana vicenda giudiziaria a cui è stato sottoposto e la sua scomparsa hanno scosso la coscienza di quanti credono nella giustizia, nella pace e nella natura democratica e laica della nazione indiana, come testimoniano le numerose proteste a livello locale, nazionale e internazionale, iniziate con il suo arresto. […]

Stanislaus Lourduswamy, noto come Stan Swamy o più semplicemente Stan, nacque il 26 aprile 1937 in un villaggio chiamato Virahalur, vicino a Trichy, nello Stato indiano del Tamilnadu. Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1957, fu ordinato sacerdote nel 1970. Dopo gli studi in scienze sociali nelle Filippine e in Belgio, diresse l’Indian Social Institute di Bangalore dal 1975 al 1990, formando centinaia di giovani studenti e attivisti sociali attraverso l’analisi sociale sistematica, utilizzando in particolare il libro La pedagogia degli oppressi di Paulo Freire, l’analisi delle classi sociali marxiana e la mobilitazione della comunità. Quanti lo hanno conosciuto non ricordano solo la sua capacità intellettuale di analizzare criticamente la società, ma anche la sua vita personale semplice e austera e il suo profondo impegno per costruire una società egualitaria e giusta. […]

Da sempre impegnato nel promuoverne i diritti e la dignità, Stan era amato dagli adivasi come loro difensore, incompreso da alcuni all’interno della Chiesa e della Compagnia di Gesù perché ritenuto eccentrico, odiato dai leader politici e dalle imprese perché era un ostacolo ai loro progetti di profitto e potere, legati allo sfruttamento della terra abitata proprio dagli adivasi. Le sue parole prima dell’arresto testimoniano la sua scelta cosciente e libera di fare ciò che riteneva giusto, indipendentemente dalle conseguenze per la sua vita: «Quello che mi sta succedendo non è qualcosa di unico, che accade solo a me. È un processo più ampio che sta avendo luogo in tutto il Paese... In un certo senso, sono felice di essere parte di questo processo. Non sono uno spettatore silenzioso, ma parte del gioco e pronto a pagarne il prezzo, qualunque esso sia.»

Per approfondire la storia di Stan Swamy, leggi l’articolo di Xavier Jeyaraj SJ sul numero di giugno-luglio.

 

Nell'immagine di copertina: Stan Swamy nel 2010. Di Khetfield59, ritaglio, via commons.wikimedia.org, CC BY-SA 4.0

5 luglio 2022
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