In ricchezza e in povertà

Il benessere degli Italiani dall’Unità a oggi

Giovanni Vecchi
Il Mulino, Bologna 2011, pp. 496, € 40
Scheda di: 
Fascicolo: aprile 2012
Il 150° anniversario dell’unità d’Italia ha dato a Giovanni Vecchi l’occasione di redigere questo volume, opera di straordinaria accuratezza e interesse non soltanto per gli studiosi (soprattutto economisti, sociologi e storici), ma per tutti i cittadini. L’A., professore di Economia politica all’Università di Roma “Tor Vergata” e consulente presso la Banca mondiale, descrive come gli italiani abbiano vissuto «in ricchezza e in povertà» dall’unità a oggi, vedendo accrescere in un secolo e mezzo il loro reddito medio di 13 volte (contro le 12 della Francia e le 11 della Germania) e diventando molto più longevi: per il 2011 la nostra speranza di vita alla nascita è infatti di 82 anni (siamo il quarto Paese al mondo, dopo Giappone, Svizzera e Australia), contro i 29 al momento dell’unità. Due domande di fondo stanno alla base di tutto il volume: «è valsa la pena unire l’Italia nel 1861?»; e – supposto che si risponda in modo affermativo alla prima – «vale ancora la pena che essa rimanga unita?» (p. XIX). L’A. è ben consapevole che si tratta di «un tema sempre aperto, di difficile formulazione analitica e storica» (p. XX), ma invita a immaginare un mondo controfattuale nel quale non si fosse realizzata l’unità: «Invece di trasformarsi in entità economica di dimensioni considerevoli (un membro del “G10” ottocentesco), la Penisola sarebbe rimasta divisa in sette piccoli Stati […]. Quali sarebbero state, in queste circostanze, le opzioni economiche aperte ai singoli Stati della penisola italiana?» (ivi). E risponde: «L’economia della Penisola e delle singole Regioni non avrebbe avuto il successo che, con tutte le qualificazioni che si vogliono, ha arriso all’Italia unita» (p. XXI); un successo che viene ampiamente descritto nel testo, scandagliando le diverse componenti del benessere degli italiani lungo questi 150 anni. Il volume si articola quindi in tre parti. Di queste, la prima illustra dettagliatamente in cinque capitoli le condizioni di vita degli italiani per quanto riguarda la nutrizione, la statura, la salute, il lavoro minorile e l’istruzione. Si passa poi alla seconda parte, dedicata al reddito, alla disuguaglianza, alla povertà e quindi alla vulnerabilità, la cui stesura si è basata sull’utilizzo dello strumento dei bilanci di famiglia, ampiamente descritti nella terza parte insieme a un’accurata analisi sul costo della vita in Italia. È questo, tra l’altro, un aspetto di grande pregio del volume, come sottolinea la prefazione di Giuliano Amato: «Ha alle spalle un robusto lavoro di ricerca, fondato su dati messi insieme per la prima volta, e alla sua stesura ha provveduto una squadra altrettanto robusta di eccellenti studiosi» (p. VII). Questi dati derivano dal reperimento di ben 20mila bilanci economici di famiglia, redatti in un arco di tempo che va dalla fondazione dello Stato unitario fino alla nascita delle moderne indagini campionarie, «veri e propri prospetti ragionieristici che registrano le spese e i redditi del nucleo familiare» (p. 355). Questi dati sono stati poi inseriti in un database non solo innovativo dal punto di vista storiografico, ma indispensabile all’analisi econometrica condotta nel volume sulla disuguaglianza dei redditi e sulla povertà assoluta. In ogni capitolo Vecchi si fa accompagnare da uno o più specialisti e pertanto la presentazione degli argomenti affrontati è sempre molto precisa e competente, pur rimanendo di facile lettura anche per i non addetti ai lavori. Leggendo questa mole di dati apprendiamo, ad esempio, che all’indomani dell’unificazione la fame era la norma per la maggioranza degli italiani, mentre oggi l’Italia è «in vetta alle classifica dei Paesi che dispongono del maggior numero di calorie pro capite. In termini di calorie disponibili, gli italiani sono oggi secondi soltanto agli statunitensi » (p. 13). Parallelamente, in questo secolo e mezzo, l’altezza media delle reclute (indicatore sintetico di buona nutrizione e condizioni di vita) è passata dai 162 cm del 1861 ai 174 cm del 1981, e friulani, veneti e trentini sono i giovani in assoluto più alti del Paese. Il lavoro minorile viene sconfitto al Nord come al Sud: la percentuale di minori che lavorano scende a livello nazionale dal 64,3% del 1881 al 3,6% del 1961; in Calabria, con riferimento agli stessi anni, il dato, che toccava il 92,7%, si riduce drasticamente al 4%. Anche i tassi di alfabetismo aumentano per entrambe le aree del Paese: nel 1861 gli italiani con un minimo di istruzione erano il 37,1% al Centro-Nord e il 14,2% al Sud, mentre nel 2001 sono diventati rispettivamente il 99,3% e il 96,8%. Ma il volume, lungi dall’essere un mero bilancio celebrativo, riconosce che non tutti gli italiani hanno camminato alla stessa velocità in questi 150 anni. L’A. affronta infatti il tema del dualismo economico italiano, questione che attanaglia da subito il Regno d’Italia e che dopo 150 anni è ancora presente, tanto che «nel 2008 i tassi di diffusione della povertà meridionali risultano quadrupli rispetto a quelli settentrionali, mentre erano meno che doppi nel 1861» (p. XVIII). Si tratta senz’altro di un fenomeno preoccupante, che dimostra come l’unificazione da questo punto di vista sia ancora incompiuta. Nel 1871 il reddito pro capite nel Mezzogiorno corrispondeva all’84% del reddito pro capite medio del Centro-Nord, e nel 1911 era sceso al 76% circa. Questo divario si è allargato in modo sensibile fra le due guerre, fino a toccare il minimo del 49% nel 1951. Dopo un ventennio di ripresa, tra il 1951 e il 1971, in cui il dato è risalito al 63%, la forbice è tornata ad allargarsi fino a raggiungere il 59% nel 2009. Lo stesso andamento fanno registrare gli indicatori riguardanti la disuguaglianza, i tassi di diffusione della povertà e la vulnerabilità economica delle famiglie. Il volume di Vecchi va quindi a colmare una carenza di attenzione – e di impegno politico – sul tema del ritardo di sviluppo economico, ma non solo, di alcune Regioni del Sud, se si esclude qualche lodevole eccezione: tre recenti ricerche promosse dalla Banca d’Italia; il testo degli studiosi V. Daniele e P. Malanima, Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2011; una pubblicazione della SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud, 1861-2011, il Mulino, Bologna 2011), pure essa celebrativa del 150° anniversario, che presenta per la prima volta mille pagine di statistiche sulle Regioni italiane a partire dal 1861. Un altro fenomeno preoccupante che si evidenza fin dalle prime pagine è il declino dello sviluppo che ha caratterizzato l’Italia dall’irrompere della “seconda globalizzazione”: «la produttività ristagna, il reddito medio scende sotto quello dell’Europa occidentale» (p. XV). Anche l’indice di disuguaglianza, attestato al 30% nel 1982, ricomincia a salire nei decenni seguenti, e si accompagna alla «cronicizzazione di fenomeni di marginalità sociale e […] a un significativo ampliamento della fascia di popolazione a rischio di povertà» (ivi). Per concludere, l’Italia nei prossimi decenni potrebbe, ancora, essere «un Paese troppo lungo», come dissero gli arabi vedendo vanificati i loro tentativi di conquista dell’intera Penisola, e come scrisse efficacemente qualche anno fa l’ex ministro per l’Ambiente Giorgio Ruffolo alludendo alla difficoltà, emersa fin dal Medioevo, di governare economicamente e politicamente l’intera Penisola (cfr Ruffolo G., Un Paese troppo lungo. L’unità nazionale in pericolo, Einaudi, Torino 2009). Tuttavia il volume di Vecchi, con la sua risposta positiva al quesito sul valore dell’unità italiana, ci aiuta a riflettere in questo particolare momento di difficoltà nel processo di integrazione dell’Unione Europea, che potrebbe avere molto da imparare dalla storia del nostro Paese, che ha visto l’unificazione di Stati pre-unitari molto diversi tra loro. Siamo sicuri che nel corso della lettura sorgerà inevitabilmente un’altra domanda: è valsa la pena nel 1957 unire l’Europa e anche la moneta nel 1999?
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