Da domani e fino a domenica Papa Francesco sarà in Armenia, per il suo tredicesimo viaggio apostolico fuori dall'Italia. Due i punti essenziali della visita del Papa, stando al programma comunicato dalla Sala stampa vaticana: la Messa solenne in piazza Vartanants a Gyumri, sabato 25 giugno, e nello stesso giorno la Preghiera ecumenica per la Pace nella piazza della Repubblica a Yerevan.
Si tratta di un viaggio molto atteso dalla locale comunità cattolica e molto delicato per le tensioni internazionali che, anche negli ultimi mesi, hanno riguardato il tema dell'uccisione di armeni per mano dell'impero ottomano nel 1915-1916, una delle pagine più tragiche e controverse del Novecento.
Lo stesso papa Francesco è stato coinvolto, suo malgrado, nelle polemiche, quando, riferendosi alla strage di armeni nell'aprile 2015 ha parlato di «primo genocidio del XX secolo», citando la Dichiarazione comune del 2001 di papa Giovanni Paolo II e del patriarca degli armeni Karekin II: le successive polemiche con le ostili prese di posizione del Governo turco mostrano quanto sia necessario e urgente riprendere le fila del discorso storico e aprire dinanzi all’opinione pubblica internazionale un dibattito storicamente fondato sulle vicende turco-armene.
È l'obiettivo dell'articolo pubblicato su
Aggiornamenti Sociali lo scorso anno, firmato da Paolo Acanfora, storico dell'Università IULM di Milano: «Il genocidio armeno Oltre le letture divergenti di una pagina di storia contemporanea» (n. 6-7/giugno-luglio 2015). Di seguito riportiamo il primo paragrafo dell'articolo: è possibile
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La prima domanda da porsi rispetto a questo tema è: quando nasce la “questione armena”? Quali sono le sue origini?
Il fatto che la questione armena sia stata presentata fondamentalmente come un antagonismo tra musulmani e cristiani ha diffuso e sviluppato nell’immaginario collettivo dell’Europa la rappresentazione del popolo armeno come “avanguardia della cristianità”, una sorta di avamposto occidentale, un “cuneo” della civiltà latina ed europea nel mondo orientale. Questo tipo di lettura era largamente condiviso e si fondava sulla convinzione tipica della società europea tra Ottocento e Novecento di essere non solo la migliore, ma l’unica vera espressione della civiltà, al di fuori della quale non vi era che barbarie, di cui erano un perfetto esempio proprio le persecuzioni delle minoranze cristiane nell’Impero ottomano. L’elemento religioso era inoltre strettamente connesso alla dimensione nazionale storicamente riconosciuta al popolo armeno, che pure si presentava diviso tra territori persiani, turchi e russi. Un corpo unico con membra sparpagliate.
Un primo cruciale momento di visibilità della questione armena si ebbe con il Congresso di Berlino del 1878, nel quale si provò a dare sistemazione alle molte questioni sollevate dall’esito della guerra russo-turca (1877-1878). In quel consesso, diretto dalla straordinaria figura del cancelliere tedesco Otto von Bismarck (1815-1898), le grandi potenze europee fissarono un obiettivo che rimase inalterato sino al 1911, ossia sino alla guerra promossa dall’Italia contro l’Impero ottomano per la conquista della Libia: la concordata protezione dell’Impero stesso, ormai percepito alla stregua di un “grande malato”.
Il Congresso sanciva inoltre un “metodo” decisivo per la risoluzione delle controversie internazionali. In ossequio al principio di “equilibrio” tra le potenze, i vantaggi ottenuti da una di esse dovevano, in qualche modo, trovare un contrappeso in benefici da riconoscere alle altre. Nel caso specifico, la Russia dovette restituire parte dei territori (oltre la metà) conquistati all’Impero ottomano mentre all’Inghilterra veniva riconosciuta la potestà su Cipro e all’Austria-Ungheria un’amministrazione fiduciaria trentennale sulla Bosnia-Erzegovina. L’obiettivo e il metodo impedirono di affrontare in modo risolutivo la questione delle minoranze cristiane - in particolare quella armena - limitandosi a richiedere al Sultano dell’Impero ottomano di avviare un programma di riforme. In occasione del Congresso, il liberale inglese William E. Gladstone, prendendo posizione contro il suo stesso Primo ministro, il conservatore Benjamin Disraeli, e contro la politica delle grandi potenze, coniò la nota frase «servire gli armeni è servire la civiltà», che venne in seguito più volte richiamata come slogan e chiave interpretativa per sostenere le ragioni della causa armena.
La mancanza di un’iniziativa concreta portò a un aggravarsi delle tensioni che esploderanno tra il 1894 e il 1896 con massacri e uccisioni, il cui apice si ebbe nell’estate del 1896 con l’assassinio di circa duemila armeni. Fu in questa occasione che si cominciò a parlare di una effettiva volontà di sterminio del popolo armeno da parte turca.