Il Ramadan e l'islam italiano ancora clandestino
Maurizio Ambrosini
Siamo nel mese di Ramadan, sacro per tutti i musulmani. 1,5 milioni di loro vivono in Italia. Non è vero che gli immigrati nel nostro Paese siano tutti musulmani: sono il 28%, meno di un terzo del totale (5,3 milioni), ma si tratta comunque una minoranza significativa.
Si stima che in Italia operino tra gli 800 e i 1.250 luoghi di culto islamici (cfr Il Dio dei migranti, ed. Il Mulino), serviti da un migliaio di imam. Purtroppo però accade che in un paese democratico e sulla carta rispettoso dei diritti umani, la più importante minoranza religiosa sia costretta a radunarsi il più delle volte in luoghi inadatti, semi-clandestini, a volte anche fatiscenti: scantinati, magazzini, ex-negozi.
Qualcuno in nome dei cristiani perseguitati vuole negare la libertà religiosa ai musulmani d’Italia: una logica da legge del taglione in forma collettiva, da rivalsa tribale, applicata a persone che non hanno nessuna colpa degli attentati perpetrati da altri musulmani nel mondo. Né la Costituzione italiana né il Vangelo autorizzano a discriminare i credenti di altre religioni. Conduce lì piuttosto una visione distorta del cattolicesimo come puntello di un’identità culturale traballante, la stessa che induce a brandire il crocifisso o il presepio o qualche altro simbolo per alzare muri verso chi crede diversamente o semplicemente viene da lontano.
Nemmeno le preoccupazioni per la sicurezza trovano una risposta adeguata nel mantenimento dell’Islam italiano in una condizione semi-sommersa, e quindi più difficile da monitorare.
Nel 2017, dopo lunghe e complesse trattative, il governo italiano era riuscito a raggiungere un’intesa con le principali associazioni rappresentative dei musulmani del nostro Paese, avviando la costruzione di un “islam italiano”, con guide religiose formate in Italia e impegnate a promuovere “la piena attuazione dei principi civili di convivenza, laicità dello Stato, legalità, parità dei diritti tra uomo e donna”. Si pensi per esempio all’importanza di inviare in luoghi sensibili come le carceri guide religiose preparate, schierate per la pace, fautrici del dialogo interreligioso. Questo già oggi avviene localmente, ma dovrebbe avvenire di più e meglio.
Per quanto oggi impopolare, la via del dialogo è l’unica possibile.
13 maggio 2019
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