Il piano europeo sui rifugiati, luci e ombre

Maurizio Ambrosini
L’iniziativa dell’UE sui rifugiati ha alcuni meriti: fa dell’asilo una questione europea, e non solo un problema dei paesi rivieraschi, Italia in testa; comporta un primo superamento delle rigidità delle convenzioni di Dublino, prevedendo un sistema di quote di accoglienza dei rifugiati già arrivati a carico di ciascun paese, fino a 20.000 persone; introduce un impegno al reinsediamento di altri 20.000 profughi accolti nei campi delle zone adiacenti alle aree di crisi.

Mantiene però parecchi limiti e prende posizioni fuorvianti.
Anzitutto, la persistente retorica dell’invasione e dei numeri ingestibili. Ne abbiamo già scritto su questo blog: nell’UE arrivano meno del 10% dei rifugiati del mondo. Alla luce di quei dati, la proposta di accoglienza e redistribuzione di 40.000 profughi tra 25 paesi dell’UE appare molto lontana dalle necessità. Al massimo può essere considerata un timido inizio. L’idea delle quote poi, pur segnando un primo timido superamento del “muro di Dublino”, per come è stata presentata rischia di istituire un secondo muro: blocca i rifugiati nel paese a cui sono stati assegnati in quota. Ciò significa disconoscere i legami e le aspirazioni dei rifugiati: se hanno parenti o compaesani in un altro paese, ne conoscono la lingua o semplicemente pensano che vi si troveranno meglio, non è giusto né ragionevole impedire loro di sceglierlo. Semmai si dovrebbe prevedere di addossare i costi al bilancio comunitario, anziché a quello dei singoli Stati. La proposta europea insiste poi, non senza successo, sulla criminalizzazione dei trasportatori, fino a prevedere l’uso della forza militare. I richiedenti asilo in realtà oggi non hanno alternative, e gli scafisti vendono un servizio che le linee aeree e marittime ufficiali non svolgono. Posti sotto pressione, peggiorano le condizioni di viaggio dei clienti trasportati: impiegano barche più vecchie, le affollano ancora di più, la fanno guidare dai profughi stessi.

Se l’UE volesse davvero sgominare il traffico illegale, dovrebbe prevedere canali d’ingresso sicuri, o misure di rapido reinsediamento di chi trova provvisoriamente scampo nei paesi vicini. In terzo luogo, l’UE ha riesumato la retorica dell’aiuto ai paesi di origine. In realtà, i profughi arrivano soprattutto da zone di guerra e repressione, Siria ed Eritrea in testa. Coloro che scappano non sono i più poveri del loro paese: nel caso siriano, quelli che arrivano fino in Europa sono perlopiù professionisti o commercianti con disponibilità di mezzi. In generale, i migranti non arrivano dai paesi più poveri del mondo. Proprio per questo, se anche si favorisse davvero lo sviluppo, obiettivo in sé più che auspicabile, il risultato almeno in una prima non breve fase sarebbe un aumento delle partenze. Credo che dei governi capaci di prendere sul serio i propri principi di tutela dei diritti umani potrebbero fare di meglio.
14 maggio 2015
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