Il percorso della dottrina sociale (I): da Leone XIII a Pio XII

Fascicolo: novembre 2013
Religione del Dio incarnato, il cristianesimo è l’opposto di ogni dualismo che separa le realtà spirituali da quelle del mondo. Così, fin dalle origini, i cristiani si interrogano sulle implicazioni e le esigenze concrete della loro fede, anche a livello sociale. Nel secolo XIX i profondi sconvolgimenti che attraversano l’Europa rilanciano questa riflessione, che il magistero articola attraverso i testi nei quali si enuncia la dottrina sociale della Chiesa.

Leone XIII: le encicliche politiche e la Rerum novarum
Eletto papa nel 1878, Leone XIII eredita una Chiesa scossa dalla presa di Roma (1870): privata del potere temporale, si trova in un nuovo rapporto con gli Stati. Pur restando in un quadro di relazioni gerarchiche tra la sfera religiosa e quella politica, legato al primato dello spirituale sul temporale, Leone XIII sviluppa intuizioni estremamente acute e parzialmente in tensione con il suo quadro di pensiero. Egli riconosce il posto della libertà nell’atto di fede e quindi la necessità per lo Stato di tollerare culti diversi dalla «vera religione» (cfr Immortale Dei, 1885); riconosce la libertà dell’uomo come fondamento della sua dignità; articola la relazione tra la libertà e la verità che la ragione discerne, senza però accettare l’errore in nome della libertà: «La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate […]; le false opinioni […], nonché i vizi […], devono essere giustamente e severamente repressi dall’autorità pubblica» (Libertas, 1888); infine, sottolinea l’autorità propria della dottrina cristiana: «Messa in luce, essa ha di per se stessa sufficiente forza per trionfare dell’errore» (Sapientiae christianae, 1890, n. 22). Si trovano in questi testi le espressioni embrionali di riflessioni fondamentali sulla relazione tra la libertà e la verità e sul posto della Chiesa nel mondo di fronte ai poteri politici. Non avendo più una presa diretta sulla società e sul potere politico, il Papa esercita dunque il suo potere proponendo la sua riflessione agli uomini che la accoglieranno riconoscendone la verità.
Nel 1891 Leone XIII pubblica l’enciclica Rerum novarum, profondamente preoccupato dalle tensioni che la società europea sta attraversando. La rivoluzione industriale ha fatto emergere una nuova classe sociale che vive del lavoro salariato. La legislazione sociale appena agli inizi, il divieto di dar vita ad associazioni sindacali e un liberalismo teorico che concepisce l’economia come retta da leggi proprie, si traducono in una drammatica situazione di miseria degli operai. D’altra parte le idee socialiste si sviluppano rapidamente e mettono in discussione la proprietà privata. Nell’enciclica Leone XIII denuncia le idee “socialiste” e giustifica il diritto di proprietà privata pur ordinando l’uso dei beni posseduti al bene comune: affrancando l’uomo dalla precarietà, il diritto di proprietà è la condizione di una libertà reale. Il papa denuncia anche gli eccessi del liberalismo e legittima l’intervento dello Stato nell’economia. Difende il giusto salario, il diritto di costituire associazioni professionali, la necessità di adattare le condizioni di lavoro dei ragazzi e delle donne, il riposo domenicale: tutti punti che sono ripresi dalla legislazione sociale che in quell’epoca va prendendo forma. Fondamentalmente, l’intento di Leone XIII è ridestare le coscienze dei suoi contemporanei e aprire la via a un ordine sociale che superi l’opposizione tra le classi e consenta di fondare la società nella concordia e nell’armonia.

Giustizia tra le classi sociali (RN, nn. 16-17)
16. Innanzi tutto, l’insegnamento cristiano, di cui è interprete e custode la Chiesa, è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari, ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri incominciando da quello imposto dalla giustizia. Obblighi di giustizia, quanto al proletario e all’operaio, sono questi: prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti, né mai trasformarla in ammutinamento [...]. E questi sono i doveri dei capitalisti e dei padroni: non tenere gli operai schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana, nobilitata dal carattere cristiano. [...] È obbligo dei padroni lasciare all’operaio comodità e tempo che bastino a compiere i doveri religiosi; [...] non imporgli lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti con l’età e con il sesso.
17. Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio.

Questa enciclica mette in evidenza le questioni etiche inerenti all’ordine economico e stabilisce la legittimità della Chiesa a pronunciarsi sulle questioni sociali. Colloca la Chiesa in una posizione critica tanto verso il socialismo collettivista quanto verso il liberalismo individualistico, posizione che resterà una costante di tutta la dottrina sociale della Chiesa. Concretamente stimola il cattolicesimo sociale: sviluppo di un sindacalismo cristiano, creazione delle Settimane sociali in Francia (1904), in Spagna (1906), in Italia (1907), in Canada (1920). La Rerum novarum costituisce un riferimento per i successori di Leone XIII che ne attualizzeranno la riflessione in occasione degli anniversari della sua pubblicazione.

Pio XI e la Quadragesimo anno

Nel 1931, in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum, Pio XI pubblica una seconda enciclica sulle medesime questioni: la Quadragesimo anno. Approfondisce le riflessioni di Leone XIII in un contesto di crisi economica mondiale e dopo una guerra che ha mostrato l’ambivalenza dei progressi tecnici. Fondandosi sui lavori del gesuita tedesco Oswald von Nell-Breuning, il papa analizza i meccanismi dell’economia e le istituzioni della società per mettere in evidenza le cause di situazioni che a volte denuncia con estremo rigore. Come Leone XIII, egli rigetta al tempo stesso il socialismo e il liberalismo. Malgrado la distinzione che opera tra il comunismo e il socialismo, specialmente quello riformista, Pio XI condanna entrambi come contrari alla verità cristiana a motivo del loro materialismo e del primato da essi attribuito al sociale sull’individuo. Se il papa non ritiene il capitalismo cattivo in se stesso, il liberalismo è oggetto di una critica estremamente severa, specialmente perché la «scienza economica individualistica» sopprime «il carattere sociale e morale dell’economia» (QA, n. 88). Il diritto di proprietà viene riconosciuto come legittimo, ma non è un assoluto e l’ampiezza delle disuguaglianze fa dubitare che «un così forte e ingiusto divario nella distribuzione dei beni temporali possa davvero corrispondere ai disegni del sapientissimo Creatore» (QA, n. 5). La concentrazione del potere economico e la sua influenza sulla sfera politica mettono in discussione la libera concorrenza, che «si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è subentrata la egemonia economica» (QA, n. 109).

Il principio di sussidiarietà (QA, nn. 80-81)
80. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.
81. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello Stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso.

Quanto alla finanza, ne è riconosciuta l’importanza, mentre vengono vigorosamente denunciate la concentrazione del potere nelle mani di azionisti e finanzieri e gli effetti nefasti della speculazione sull’economia. Pio XI richiede un intervento dello Stato, pur fissando come quadro per la sua azione il principio di sussidiarietà. Cerca di superare l’opposizione tra capitale e lavoro, aprendo la via a idee che molto più tardi verranno denominate azionariato operaio, cogestione, partecipazione. Mentre Leone XIII manteneva una posizione prudente, esortando alla concordia e sollecitando la carità per soccorrere i più svantaggiati, Pio XI formula una critica argomentata delle istituzioni, invocandone la trasformazione in nome della giustizia: carità e giustizia sono entrambe necessarie.

Di fronte ai totalitarismi
Alla fine del suo pontificato Pio XI ritorna sulle questioni politiche condannando le ideologie comunista e nazista (Divini Redemptoris e Mit brennender Sorge, encicliche pubblicate ad alcuni giorni di intervallo nel marzo 1937). La sua riflessione viene prolungata da Pio XII, specialmente nei radiomessaggi degli anni 1941-1944, segnando l’inizio di una evoluzione della posizione della Chiesa sulla questione dei diritti dell’uomo.
La Chiesa si era opposta ai diritti dell’uomo affermati dalla Rivoluzione francese, in quanto facevano riferimento a un individuo autonomo, affrancato da ogni dipendenza religiosa. Questa autonomia assoluta dell’uomo porta in sé i germi del totalitarismo: nessuna norma limita le pretese della sfera politica. Così, le ideologie comunista e nazista hanno condotto a forme politiche totalitarie, in cui la società esercita un primato assoluto sugli uomini che la compongono.
La Chiesa non è in grado di limitare gli eccessi del potere politico facendo riferimento alla sua sola autorità o a quella di Dio, perché non sono riconosciute. Essa è perciò condotta a indicare il fondamento di tale limitazione nella persona umana, nella sua dignità, e di conseguenza in una giusta comprensione del bene comune che costituisce il fine dello Stato. La persona umana possiede una dignità e dei diritti inviolabili, che ogni uomo può riconoscere e che la Chiesa associa alla sua natura creata da Dio. Lo Stato non ha il compito di assicurare il bene delle persone, ma soltanto il bene comune, e cioè «quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa» (Radiomessaggio natalizio 1942, n. 9). Pio XII afferma così il primato della persona sulla società, norma che si impone a ogni regime politico e preserva la sfera personale dalle invadenze dello Stato: la perfezione di ciascuno dipende dalla libertà personale; la persona è posta al centro delle istituzioni, delle quali costituisce il fine. Questa affermazione diventerà una costante importante della dottrina sociale della Chiesa.

Conclusione
In questa prima fase del suo sviluppo, la dottrina sociale appare come una riflessione critica sulle istituzioni economiche, politiche e sociali. I papi sviluppano le loro analisi alla luce della Rivelazione, nel quadro di uno schema gerarchico in cui la Chiesa occupa il vertice, in virtù della verità di cui è testimone. Il loro intento è di precisare come questa luce illumina le realtà sociali per determinare i principi di un ordine sociale giusto e conforme al Vangelo. La loro analisi apre alla comprensione dell’ordine sociale e contribuisce in misura significativa alle trasformazioni sociali dell’epoca. Questa maniera di articolare la riflessione procedendo dall’alto verso il basso andrà evolvendo a vantaggio di un approccio più induttivo. A partire da Giovanni XXIII e dal concilio Vaticano II, invece di illuminare l’ordine sociale alla luce della Rivelazione, la riflessione si sviluppa maggiormente a partire dalla realtà sociale per coglierne le sfide e la valenza spirituale. In questo senso, la dottrina sociale della Chiesa non è più semplicemente sociale, diventa molto più “teologica”.

Risorse:
DR = Pio XI, enciclica Divini Redemptoris, 1937.
RN = Leone XIII, enciclica Rerum novarum, 1891.
QA = Pio XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931.
Leone XIII, enciclica Immortale Dei, 1885.
—, enciclica Libertas, 1888.
—, enciclica Sapientiae christianae, 1890.
Pio XI, enciclica Mit brennender Sorge, 1937.
Pio XII, radiomessaggio natalizio 1942.

La rubrica «Cristiani e cittadini» è realizzata in collaborazione con il CERAS (Centre de Recherche et Action Sociales di Parigi) e la sua rivista Projet. Testi originali disponibili in <www.ceras-projet.org/dsc>. Traduzione italiana di Rocco Baione SJ. Per i testi del magistero cfr <www.vatican.va>.



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