Il progetto internazionale “The future of work - Labour after Laudato si’”, dedicato a ripensare il futuro del lavoro nel quadro di riferimento dell’ecologia integrale, evidenzia il profondo intreccio tra lavoro e cura.
L’esperienza di questi ultimi mesi ci ha fatto toccare con mano che trovare una via di uscita all’emergenza scatenata dalla pandemia da COVID-19 richiede uno sforzo di creatività e di innovazione. Questo non può che essere frutto di un’azione corale, capace di integrare il contributo di una pluralità di prospettive. Per questo negli ultimi numeri di Aggiornamenti Sociali l’editoriale ha cambiato forma, cercando di dare visibilità concreta a questa istanza di dialogo. In questo numero non torniamo suoi nostri passi, ma proseguiamo nella stessa linea con una modalità diversa. Le pagine che seguono provano a dar conto delle intuizioni emerse grazie a un lavoro comune che per oltre due anni ci ha visti impegnati insieme agli altri partner del Progetto internazionale “The future of work – Labour after Laudato si’” (cfr Scheda, “Il futuro del lavoro dopo la Laudato si’”).
Al centro del Progetto vi sono proprio le trasformazioni del mondo del lavoro e le modalità per continuare a promuovere la tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori nel mutato contesto. La crisi che il mondo intero sta attraversando dà un valore ancora maggiore a questo sforzo. Per questo abbiamo deciso di iniziare a metterne in circolazione i frutti, in attesa che sia ultimato il rapporto finale dell’iniziativa, ai cui risultati torneremo a dare spazio sulle nostre pagine e sul nostro sito.
«Care is work, work is care»
Il titolo del rapporto finale, Care is work, work is care (che si potrebbe tradurre come Prendersi cura vuol dire lavorare, lavorare vuol dire prendersi cura) prova a esprimere sinteticamente l’intuizione più profonda a cui è giunto il Progetto, esplorando la convergenza tra lavoro e cura, il cui intreccio è stato reso più evidente dalla pandemia. Il riferimento – va specificato subito – non è al lavoro di cura in senso tecnico, in campo sanitario o assistenziale, che pure l’emergenza ha sollecitato con forza, ma riguarda ogni tipo di lavoro, nell’economia formale, informale e domestica. La formulazione del titolo non ha mancato di suscitare dibattiti anche tra i partner del Progetto, e non tutti la ritengono ugualmente convincente. La sua forza sta proprio nella capacità di interrogare, o addirittura di provocare. Perciò, la scelta del titolo esprime anche l’impegno di continuare ad approfondire quello che abbiamo intuito, ma che richiede di essere meglio esplorato e declinato nella concretezza delle sfide che il mondo del lavoro ha davanti a sé.
L’intuizione nasce dalla riflessione su quanto l’enciclica Laudato si’ (LS) afferma al n. 125: «Qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé», che si tratti delle persone con cui si lavora, di quelle, magari sconosciute e lontane migliaia di chilometri, che beneficeranno dei frutti del nostro lavoro, o dell’ambiente su cui l’attività produttiva va a impattare. Se vuole essere sostenibile così da perdurare nel tempo, nessuna relazione può rinunciare alla dimensione della cura, e quindi neanche il lavoro. Se questo poi non è inteso solo come l’esercizio di una professione o una occupazione più o meno formalmente contrattualizzata, ma come «qualsiasi attività che implichi qualche trasformazione dell’esistente» (ivi), risulta chiaro come non sia possibile nessuna azione di cura che non richieda di svolgere un lavoro.
La portata di questo intreccio tra lavoro e cura consente di leggere in una diversa prospettiva alcune problematiche con cui il mondo del lavoro dovrà continuare a confrontarsi, a partire dalla tutela dei diritti dei lavoratori, in particolare quelli più vulnerabili. Se il lavoro è cura, la protezione sociale dei lavoratori non può essere considerata un “fardello” caricato dall’esterno sulle attività produttive, ma un modo di esprimerne una dimensione fondamentale: la prima cura che il mondo del lavoro è chiamato ad avere è quella per le proprie fasce deboli. Ugualmente prioritaria appare la lotta contro tutte quelle forme di sfruttamento (lavoro forzato, lavoro infantile, schiavitù, ecc.), da cui la dimensione della cura è evidentemente assente.
Un discorso analogo vale per una piena assunzione della responsabilità per l’impatto sull’ambiente e la sostenibilità. Non può essere concepita come un vincolo esterno, una aggiunta o addirittura un maquillage, ma deve essere considerata una componente indispensabile di ogni strategia di impresa a medio-lungo termine, oltre che un terreno di possibili innovazioni. Le imprese e i loro responsabili sono sfidati a mettersi sempre più in gioco su questa dimensione, anche in un tempo di emergenza come quello che stiamo attraversando. Anzi, uscire davvero dalla crisi richiede di immaginare il futuro proiettandosi su scenari di medio-lungo periodo.
Infine, una corretta considerazione della dimensione di cura presente in ogni lavoro chiama in causa non solo i rapporti diretti, ma anche quelli mediati dalle istituzioni della società, a partire da quelle specifiche del mondo del lavoro. In termini tradizionali, è il tema della cura del bene comune. Troviamo qui una potente fonte di ispirazione per continuare a sostenere le tradizionali pratiche di dialogo sociale, che hanno segnato con forza l’evoluzione del mondo del lavoro, almeno in Occidente, senza rinunciare a innovarle quando la realtà lo richieda. In questa linea, siamo sollecitati a misurarci con la crescente polarizzazione del mondo del lavoro, che frammenta la tradizionale solidarietà tra lavoratori, e a trovare forme innovative che garantiscano la partecipazione e la rappresentanza ai sempre più numerosi lavoratori ingaggiati con le modalità proprie dell’economia informale o della platform economy. La difficoltà di assimilare queste situazioni alle forme “tipiche” di ingaggio lavorativo non può diventare motivo di emarginazione di questi lavoratori dal dialogo sociale, aprendo la porta a nuove forme di sfruttamento.
Infine, non può essere dimenticata la dimensione della governance globale, che richiede dialogo e cooperazione tra Governi, istituzioni finanziarie internazionali, agenzie multilaterali globali o regionali, interne ed esterne al sistema delle Nazioni Unite, e un’ampia serie di altri attori. Un tema di particolare importanza è quello della coerenza tra politiche e regole definite in ambiti diversi (ad esempio in campo ambientale, sociale e commerciale).
Reti comunitarie globali: attori per il cambiamento
L’intuizione dell’intreccio tra lavoro e cura rappresenta un orizzonte di ispirazione. Perché possa diventare motore di cambiamento, c’è bisogno di soggetti che si facciano carico di sperimentare pratiche innovative, selezionando quelle migliori e consolidandole in processi e istituzioni a disposizione dell’intera società (nuovi standard, nuove leggi, nuove procedure, ecc.). Alla radice di ogni grande trasformazione è possibile rintracciare uno o più soggetti collettivi: possiamo pensare ad esempio al ruolo del movimento operaio, del sindacato o del movimento cooperativo lungo il XIX e il XX secolo. Non hanno esaurito la loro funzione, ma hanno bisogno di essere affiancati da altri soggetti che catturino le novità del nostro tempo. A questo riguardo, ci appare promettente una nuova tipologia di attori sociali che, con i termini del n. 219 della LS, possiamo chiamare «reti comunitarie» per il cambiamento. A loro l’enciclica affida il compito di rispondere ai problemi sociali.
Soggetti di questo genere coniugano il radicamento locale e la carica, anche affettiva ed emotiva, che le comunità traggono dall’intreccio dei rapporti di prossimità, con l’articolazione globale tipica delle reti; si muovono a proprio agio nel mondo digitale, senza però rimanere prigionieri della virtualità; sono capaci di generare forti energie di mobilitazione, prescindendo però dalla base ideologica tipica dei movimenti sociali del ’900. Soprattutto sono soggetti trasversali, capaci di attraversare una molteplicità di confini, mettendo insieme persone di Paesi, culture, religioni e classi sociali differenti, dalle minoranze emarginate alle star dello sport e dello spettacolo.
Rileggendo la cronaca politica globale di questi ultimi anni, non è difficile scoprire soggetti con queste caratteristiche, che sono portatori delle novità più significative. Pensando ad alcuni esempi capaci di arrivare in prima pagina, possiamo menzionare i casi di #metoo (sul tema delle molestie e della violenza sulle donne), Fridays for future (sostenibilità e giustizia ecologica intergenerazionale) e Black lives matter (discriminazione e violenza su base razziale). A un diverso livello, e soprattutto con una significativa rilevanza ecclesiale, possiamo pensare all’impegno della REPAM (Rete ecclesiale panamazzonica), che, grazie anche alla recente Assemblea sinodale, ha saputo dare risonanza globale alle peculiarità dell’Amazzonia.
In comune questi soggetti hanno soprattutto il fatto di muoversi a partire da un “margine”: da un territorio (nel caso dell’Amazzonia) o da una condizione sociale che risultano periferici o addirittura marginali nella prospettiva del pensiero dominante. Ma quando si rovescia la prospettiva, si aprono spazi carichi di significati e valori originali, capaci di generare alternative (per un esempio di questo rovesciamento di prospettive, cfr l’intervista a Malcom Ferdinand in materia di ecologia e decolonizzazione, alle pp. 641-646 di questo numero). Non è difficile immaginare le potenzialità di una dinamica simile anche all’interno del mondo del lavoro, ma occorre probabilmente passare per un riposizionamento e una riconfigurazione di almeno alcuni dei soggetti sociali che lo abitano, e all’ingresso di nuovi attori.
Non mancano segnali anche in questa direzione, lungo la quale bisogna procedere con decisione. Il discorso si salda qui con quello, già accennato, del rinnovamento del dialogo sociale e delle sue strutture. Gli attori che vi sono tradizionalmente coinvolti (Governi nazionali, sindacati e organizzazioni datoriali), pur senza perdere rilevanza, non sono probabilmente più sufficienti a rappresentare un tessuto sociale e produttivo che nel corso del tempo si è arricchito di sfaccettature e complessità. Servono format capaci di includere altri soggetti: comunità locali e loro strutture amministrative, e organizzazioni della società civile, comprese quelle di ispirazione religiosa. In numerosi contesti riescono a dare rappresentanza a persone che vivono e lavorano in condizioni di marginalità, e che spesso gli attori del mercato del lavoro formale non riescono a intercettare: è il caso dei migranti irregolari, tanto per fare un esempio, o dei lavoratori della gig economy. Anche la loro voce deve essere ascoltata. A maggior ragione questo discorso vale per le forme di auto-organizzazione a cui danno vita in molti contesti i lavoratori dell’economia informale o popolare, proprio per rispondere alla precarietà estrema delle loro condizioni. Mancano spesso del riconoscimento pubblico o legale per interloquire su un piano di parità con attori ben più istituzionalizzati, e per questo hanno bisogno di costruire alleanze. In alcune regioni del mondo sono indicate con l’espressione “movimenti popolari”, e anche papa Francesco ha voluto più volte convocarle e dialogare con loro, invitando le Chiese locali a fare altrettanto.
Rifondare i fondamenti
Fin dal suo nome, è chiaro che il Progetto trae ispirazione da una fonte ben precisa, l’enciclica Laudato si’. Questa non è assunta come un orizzonte valoriale più o meno astratto e remoto, come accade talvolta con i documenti della dottrina sociale della Chiesa, ma in modo da sfidarne e metterne in evidenza la capacità generativa, aprendo a una comprensione più profonda. I suoi stimoli entrano quindi in dialogo con i risultati dell’analisi della realtà e con l’esperienza dell’azione sociale (advocacy), e soprattutto con gli strumenti, i concetti e le visioni del mondo di cui analisi e azione sociale sono sempre portatrici. Si evitano così i rischi di sclerosi o ideologizzazione. Le lenti diagnostiche, l’apparato delle categorie e persino il lessico a cui si ricorre vengono continuamente affinati e arricchiti da un dialogo tra prospettive diverse, in cui ciascuna può contribuire a partire dalla propria originalità. Riteniamo che questo sia il modo più efficace con cui i credenti possono prendere parte al dibattito pubblico su tematiche cruciali come quelle che interessano il mondo del lavoro, nell’azione di advocacy, nella ricerca e partecipando alle lotte sociali.
Nel percorso del Progetto questa dinamica di confronto fra prospettive ha interessato proprio la nozione di lavoro. La proposta della LS a questo riguardo è molto chiara. Come papa Francesco ha ribadito nel Messaggio alla 108a Sessione della International Labour Conference riunita per la celebrazione del centesimo anniversario della fondazione dell’OIL, e citando il n. 128 dell’enciclica: «Il lavoro non è soltanto qualcosa che facciamo in cambio di qualcos’altro. Il lavoro è prima di tutto e anzitutto “una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”». Rispetto alla visione prevalente, che interpreta il lavoro come lo scambio contrattualizzato tra la prestazione del lavoratore e la sua remunerazione da parte del datore di lavoro, la posizione dell’enciclica può apparire persino paradossale, ma a conti fatti si rivela generativa. Senza diminuire l’attenzione agli aspetti di giustizia che devono caratterizzare un rapporto di lavoro, apre alla considerazione di altri elementi, in particolare il senso e la finalità del lavoro. Inoltre consente di dare visibilità e dignità a molto lavoro che troppo spesso passa inosservato, anche in termini di politica economica e sociale: da quello prestato nell’economia informale e a base familiare (household economy), fino alle “prestazioni gratuite” che hanno a che fare con la donazione di sé nell’ambito della famiglia o del volontariato. Senza uno sguardo completo, la tutela del lavoro risulterà sempre parziale.
Su questa base è possibile operare una rilettura del concetto di lavoro dignitoso, che è uno dei cardini dell’impegno per la tutela dei diritti dei lavoratori a livello internazionale, grazie alla fondamentale spinta dell’OIL che per prima lo ha proposto. Una concezione più ampia del lavoro non indebolisce l’Agenda del lavoro dignitoso, ma ne esige l’estensione a tutte le forme diverse da quello dipendente, che ne rappresenta il riferimento paradigmatico. L’obiettivo è evitare una ulteriore divaricazione delle polarizzazioni e delle disuguaglianze che già segnano il mondo del lavoro. Questa operazione di dialogo porta a emersione anche il diverso contenuto delle categorie di riferimento che ciascuna impostazione porta con sé, in questo caso la dignità umana. In un’antropologia ispirata a un individualismo progressista e secolarizzato, che rappresenta una sorta di sostrato culturale spesso assunto in modo acritico o addirittura inconsapevole, la nozione di dignità umana ha un profilo e un perimetro ben diversi da quelli che le conferisce l’approccio personalista della dottrina sociale e dell’etica cristiana, secondo cui essa comprende la possibilità di contribuire al bene comune e postula quindi l’inserimento della persona nel tessuto delle relazioni sociali.
La via della concretezza
In un passato nemmeno troppo remoto queste differenze diventavano rapidamente il terreno per scontri ideologici, spesso senza via di uscita. Al di là della valutazione dell’efficacia di questo approccio, è chiaro che esso ha perso molto del suo appeal in un’epoca che abbiamo imparato a definire postideologica. L’unica alternativa non può però essere il relativismo per cui ciascuno mantiene la propria posizione e nello spazio pubblico ci si accontenta di un minimo comun denominatore che rischia di diventare un gioco al ribasso. La via di uscita sta piuttosto nel proseguire il dialogo, ma calandolo nella concretezza dell’azione e aprendo in questo modo strade verso un ethos condiviso.
In questa prospettiva, lo sforzo di integrare l’Agenda del lavoro dignitoso con quella, altrettanto importante sul piano internazionale, dello sviluppo sostenibile, può essere il terreno di un dialogo tra concezioni di dignità umana e di lavoro. In fin dei conti, la questione ecologica assume priorità nella misura in cui si ritiene che la qualità della relazione con l’ambiente e con le generazioni future rientri nella definizione dell’identità della persona e quindi della sua dignità. Nell’ottica integrale della LS, un lavoro che generi degrado ambientale o eccessivo consumo di risorse non rinnovabili, mettendo a repentaglio le opportunità di vita delle generazioni future, non potrà essere considerato dignitoso, anche quando i diritti individuali dei lavoratori che lo svolgono sono perfettamente rispettati. L’emergenza da COVID-19 ci ha ricordato ancora una volta quanto sia cruciale la dimensione della sostenibilità, vista ad esempio l’interrelazione tra qualità dell’ambiente e salute umana. L’enciclica che papa Francesco si appresta a pubblicare ci spingerà ad approfondire proprio i legami di interdipendenza e fratellanza universale nella chiave della solidarietà e dell’armonia, offrendo una rilettura e un’attualizzazione del messaggio della LS in un contesto che la pandemia sta profondamente cambiando.
Un secondo cantiere di dialogo potrebbe ruotare intorno a una riappropriazione personale e soprattutto sociale del senso del lavoro. Nella nostra cultura lo spessore umano dell’esperienza di lavorare è spesso sottovalutato, e questo si riverbera anche sulla consapevolezza condivisa della dignità di chi lavora e della necessità di tutelarla. È grazie al lavoro che uomini e donne scoprono che cosa sono capaci di fare, sperimentano la soddisfazione e il riconoscimento per un “lavoro ben fatto” e incontrano anche il fallimento e la sconfitta, o lo sfruttamento e l’ingiustizia. Il mondo del lavoro è un luogo di incontro interpersonale e di costruzione di legami sociali, uno spazio di speranze e sogni condivisi, così come di conflitto e di lotta. Infine, il lavoro inserisce ciascuno nella concretezza e nella materialità della realtà, obbligando al confronto con i suoi limiti, ad esempio di tempo e di spazio. E, come già ricordato, apre alla relazione con l’ambiente e la natura. Per gli uomini e le donne impegnati nel lavoro, tutte queste esperienze sono preziose occasioni di crescita umana. Si riverberano nella profondità dell’interiorità della persona, generando emozioni e sentimenti: nel lavoro sperimentiamo gioia e tristezza, speranza e disperazione, sentiamo il peso della fatica, la durezza della rabbia e l’energia dell’entusiasmo. Tutte le tradizioni religiose hanno elaborato una interpretazione spirituale dell’esperienza del lavoro, che risulterà preziosa come contributo in questa opera di riappropriazione condivisa del suo senso.
Questo dialogo a partire dalla concretezza dell’azione ha una grande importanza, perché consente di far emergere quegli elementi delle diverse visioni del mondo che dispongono di maggiore forza generativa e di provare ad articolarli, facendone strumenti di orientamento dell’impegno per il cambiamento. In un’epoca segnata da una elevata incertezza come la nostra, agire non può consistere nella semplice esecuzione di un programma predefinito. La direzione di marcia richiede di essere monitorata ed eventualmente corretta sulla base della continua evoluzione della realtà e dei risultati delle azioni via via intraprese. L’irruzione di un fattore dirompente come la pandemia non ha fatto che rendere ancora più evidente la necessità di questa capacità di continuo aggiustamento. Operare per il cambiamento richiede di assumere un atteggiamento creativo, che comprende la ricerca di nuovi attori, il continuo affinamento di criteri solidi e condivisi, l’approfondimento delle motivazioni, la rivitalizzazione delle agende internazionali. Noi continueremo ad operare in questa prospettiva: vi terremo aggiornati, ma soprattutto vi solleciteremo a partecipare in prima persona all’impresa.
“The future of work – Labour after Laudato si’”
Un progetto internazionale
Elaborato a partire dal 2016 ed entrato in fase operativa nel 2018, il progetto internazionale “The future of work – Labour after Laudato si’” (“Il futuro del lavoro dopo la Laudato si’”) si propone di contribuire all’impresa di “ripensare” il lavoro all’interno del quadro di riferimento dell’ecologia integrale proposto da papa Francesco.
Aggiornamenti Sociali fa parte del gruppo che lo ha promosso, insieme ai partner indicati qui a fianco, il Progetto, che ha beneficiato dell’assistenza di esperti dell’Organizzazione internazionale del lavoro e ha attivato una serie di collaborazioni molto ampia, ha articolato attività di ricerca, formazione, promozione di reti e azione di advocacy, che hanno diversamente coinvolto i partner progettuali. Il lavoro di ricerca ha riguardato sette diversi assi, ciascuno affidato alla responsabilità di uno dei partner, con un proprio team di ricerca. In particolare, i sette filoni di ricerca hanno preso in esame i seguenti temi: Lavoro, ecologia e crisi ambientale; Lavoro, pace e giustizia sociale; Lavoro, demografia e movimenti migratori; Intelligenza artificiale, robotica e futuro del lavoro; Il futuro dell’impresa e dell’imprenditorialità; Promozione dell’occupazione e innovazione sociale; I contesti del lavoro umano: economia formale, informale e familiare.
Inoltre, il Progetto ha previsto momenti di incontro periodici e scambi regolari tra i sette team di ricerca, e tra questi e i partner coinvolti nelle azioni di formazione e di advocacy, dando così luogo a un intenso e vivace confronto tra competenze, prospettive e approcci disciplinari, che è indispensabile per affrontare questioni complesse come il futuro del lavoro.
Oltre a partecipare a questo scambio trasversale, Aggiornamenti Sociali ha condiviso con il CeSPI la responsabilità del filone di ricerca intitolato “Promozione dell’occupazione e innovazione sociale”, che ha beneficiato anche del sostegno di Fondazione Unipolis. Dei frutti via via raggiunti abbiamo dato informazione attraverso la sezione dedicata del sito della Rivista e con l’editoriale del numero di giugno-luglio 2019, «Costruire insieme il futuro del lavoro».
Al momento si sta ultimando la redazione del rapporto finale del Progetto, intitolato Care is work, work is care (che si può tradurre come Prendersi cura vuol dire lavorare, lavorare vuol dire prendersi cura). Non appena pronto, sarà reso disponibile anche sul nostro sito. Nei mesi successivi, la Rivista darà spazio a una serie di interventi che focalizzeranno le diverse tematiche approfondite nel corso dei lavori del Progetto. L’auspicio è di poter contribuire anche al cammino verso la 49a Settimana sociale dei cattolici italiani, che, come chiarisce il titolo “Il pianeta che speriamo – Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”, si muove su una lunghezza d’onda analoga a quella del Progetto.
Promotori del Progetto
“The Future of Work – Labour after Laudato si’”
Aggiornamenti Sociali, Italia;
Caritas Internationalis;
CERAS (Centre de Recherche et d’Action Sociales), Francia;
CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale), Italia;
ICMC (International Catholic Migration Commission);
UNIAPAC (International
Christian Union
of Business Executives);
Deutsche Kommission Justitia et Pax, Germania;
Kolping International;
The Lupina Foundation, Canada;
Observatoire de la Finance, Svizzera;
Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Santa Sede;
Universidad Iberoamericana de Puebla, Messico.
Esperti dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) hanno sostenuto il Progetto
con la loro competenza. Un più ampio elenco di soggetti coinvolti a vario titolo nelle attività è disponibile
nel sito del Progetto, <https://futureofwork-labourafterlaudatosi.net/collaborating-partners/>.
The future of work – Labour after Laudato si’: per saperne di più
Progetto “The future of work – Labour after Laudato si’”, <https://futureofwork-labourafterlaudatosi.net>; in italiano: <www.aggiornamentisociali.it/progetti-the-future-of-work>.
Simposio internazionale “Quel travail pour une transition écologique solidaire?”, Parigi, Palazzo dell’UNESCO, 20-22 maggio 2019, <https://workecologyparis2019.com>.
Rete “The Future of Work – Labour after Laudato si’”, «Ampliare l’agenda del lavoro dignitoso: una proposta», in Aggiornamenti Sociali, 8-9 (2019), 600-604.
Costa G. – Foglizzo P., «Costruire insieme il futuro del lavoro», in Aggiornamenti Sociali, 6-7 (2019) 445-452.
—, Il lavoro è dignità. Le parole di Papa Francesco, Ediesse, Roma 2018.
Foglizzo P., «Quale lavoro per una transizione ecologica solidale?», in Aggiornamenti Sociali, 6-7 (2019) 453-454.
Hagemann H. (ed.), Wishes for the Future. Recommendations of Experts to the ILO, Deutsche Kommission Justitia et Pax, Berlin 2019
de La Rochefoucauld A. – Marenghi C.M. (edd.), Rethinking Labour. Ethical Reflections on the Future of Work, Caritas in Veritate Foundation, Chambésy (CH) 2018.
Martinot-Lagarde P., «Dialogo tra religioni e ONU per lo sviluppo umano. Una storia lunga un secolo», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2016) 143-151.
Ryder G., «“Il futuro del lavoro e lo sviluppo sostenibile”. Intervento del Direttore generale dell’OIL al Seminario globale organizzato da Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Caritas Internationalis e OIL (Roma, 2-5 maggio 2016)», in Aggiornamenti Sociali, 8-9 (2016) 563-568.
«Il lavoro dignitoso e l’agenda per lo sviluppo dopo il 2015. Dichiarazione delle organizzazioni di ispirazione cattolica», in Aggiornamenti Sociali, 1 (2014) 54-60.