Il disgelo della Siria dopo il regime di Assad

La rapida caduta del regime di Bashar al-Assad e la fuga precipitosa del dittatore hanno colto di sorpresa gli osservatori internazionali e gli stessi siriani, aprendo una fase politica incerta e chiudendone una tragica durata oltre cinquant’anni, che ha visto la Siria soggetta a un regime oppressivo e autoritario. A Damasco non è però emerso il sistema plurale proposto dai comitati di coordinamento locale, che espressero gli organi eletti con il compito di gestire le regioni liberate dal regime durante la rivoluzione del 2011, della quale sono stati la punta di diamante finché non sono stati combattuti dallo Stato islamico e dal regime. A prendere il potere è stato invece un gruppo che ha le sue radici nell’esperienza jihadista (cfr il glossario a p. 84), da cui si è nel tempo distaccato, evolvendo in modo pragmatico verso la moderazione, almeno nei suoi leader, come mostrano gli anni in cui ha controllato la provincia siriana di Idlib, nella parte nordoccidentale del Paese, al confine con la Turchia.

Il suo leader, l’ex terrorista al-Joulani, oggi tornato al suo nome anagrafico, Ahmed al-Sharaa, ha un retroterra culturale formatosi nell’esperienza islamista, che si è radicalizzata nello scontro con il “terrorismo di Stato” della dinastia degli Assad. Questi opposti estremismi si sono vicendevolmente sostenuti e legittimati. La Siria, che prima del 2011 aveva più di 22 milioni di abitanti, oggi – escludendo gli sfollati – ne ha circa la metà a causa della politica del regime, fondato sulla criminalizzazione della maggioranza della popolazione sunnita, che è stata uccisa, costretta a fuggire all’estero o internata in campi profughi ai confini del Paese. [continua]

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