I minerali sono la principale causa di conflitti nel mondo. Secondo l'Onu, il 40% dei conflitti degli ultimi 60 anni sono stati in qualche modo legati all'accesso alle risorse minerarie (oro, diamanti, ma anche i preziosissimi materiali con cui si producono i nostri smartphone). E insieme ai conflitti, arrivano inevitabili violazioni dei diritti umani e aumento della povertà. Sono queste le piaghe che tormentano Paesi come Repubblica Democratica del Congo, Zimbabwe, Centrafrica, Myanmar e Colombia, dove le problematiche generate dalle attività minerarie stanno dilagando.
Un primo problema delle miniere riguarda i progetti intrapresi dalle multinazionali del settore estrattivo senza un’idonea valutazione delle conseguenze a livello umano, sociale e ambientale. Il secondo, di carattere politico, riguarda i privilegi accordati alle imprese dagli stessi Paesi per mancanza di un monitoraggio costante da parte degli organi internazionali sull'accertamento delle responsabilità. Per fare spazio alle attività estrattive intere comunità di nativi sono costrette a trasferirsi; inquinamento e sfruttamento intensivo delle risorse idriche pregiudicano alla popolazione l’accesso all'acqua potabile. Da questo scaturiscono antagonismi all'interno delle comunità che sfociano in conflitti sanguinosi. La mancata trasparenza sui metodi di assegnazione delle miniere, sulle trattative con i governi e sul dialogo diretto con le comunità, è causa dei conflitti interni fra le tribù.
Di fronte a questa situazione, varie organizzazioni legate ai gesuiti, in particolare Alboan (Spagna), la rete Jesuit European Social Centre e - in Italia - il Magis, insieme a diverse realtà della società civile a livello europeo e con l'appoggio di numerosi vescovi, si sono attivate per rendere pubblico questo problema ancora sommerso e stanno promuovendo una petizione da presentare entro il 18 maggio 2015 al Parlamento Europeo. Quel giorno l'assemblea di Strasburgo si riunirà in sede plenaria per votare una normativa che è stata discussa nei mesi scorsi, normativa che appare deficitaria e inefficace.
Obiettivo della campagna dei gesuiti è cercare strumenti efficaci per chiamare le aziende a rispondere della responsabilità sociale che hanno verso questi Paesi, centrare il provvedimento legislativo sulla
“due diligence”, identificare e gestire gli eventuali processi di rischio. La
raccolta firme promossa da Alboan è un appello alla coscienza umana, civile e sociale affinché vengano prese misure legislative rigorose e tassative rispetto a questa problematica, dal momento che gli emendamenti applicati in passato sono stati finora inefficienti, specialmente in Europa.
Nel 1996, in seguito al conflitto nella Repubblica Democratica del Congo che causò la morte di 5 milioni di persone, Wall Street approvò alcune disposizioni che imposero alle aziende di risalire all'origine dei minerali utilizzati per prodotti poi importati negli Usa (tantalio, stagno, tungsteno, oro...), per escludere che provenissero da zone di conflitto. Nel 2010 negli Usa venne poi approvato il “Dodd-Frank Act”, con lo scopo di bloccare il flusso di risorse finanziarie ai gruppi armati che sfruttano il lavoro minorile ed estorcono denaro ai minatori nell'est della Repubblica Democratica del Congo.
In Europa, invece, la prima azione concreta, ma insufficiente, della Commissione è arrivata solo nel marzo 2013, con la previsione di un sistema volontario di autocertificazione per le imprese siderurgiche e le raffinerie, chiamate a provare la loro estraneità ai conflitti e il loro impegno a evitare lo scoppio o l'alimentazione di conflitti. Questo provvedimento si è rivelato inefficace, poiché le multinazionali del settore minerario non sono soggette a nessuna legge vincolante. Dal report dell’International Trade Committee (INTA), pubblicato lo scorso 14 aprile, è emerso che solo il 4% delle imprese che importano minerali lo fanno in modo responsabile.
Le reti europee della Compagnia di Gesù hanno così deciso di sostenere con forza un’azione concreta, finalizzata all'approvazione di una normativa europea che introduca un sistema di tracciabilità dell’origine dei minerali acquistati e utilizzati dalle nostre industrie. Il momento è decisivo, perché il Parlamento Europeo, il 18 maggio sembra orientato a votare una formula molto fragile e debole che si fonda ancora su un’adesione su base volontaria e non su un'obbligatorietà.
Un appello è arrivato all'UE anche da 125 esponenti della Chiesa cattolica in 37 Paesi di 5 continenti. Chiunque può firmare la petizione (
clicca qui) È prevista inoltre una campagna su Twitter promossa da Alboan, che ciascuno può aiutare a diffondere, cercando soprattutto di sensibilizzare i parlamentari europei.
Ilaria de Lillo