Gomorra
Giocando sull’assonanza fra “camorra” e “Gomorra”, Roberto Saviano ha fatto conoscere al grande pubblico l’efferatezza dei delitti compiuti dalla malavita organizzata, assimilando i luoghi in cui opera – in particolare il quartiere Scampia, periferia nord di Napoli – alla città biblica distrutta da Dio insieme a Sodoma per la sua malvagità. In questa linea alcuni film e serie televisive hanno rappresentato il fenomeno criminale con estrema crudezza (cfr Lavagnini A., «Anime nere», in Aggiornamenti Sociali, 1 [2015] 90-92).
Chiamato in causa per evocare uno scenario di male assoluto, il testo biblico giustifica una tale operazione? La narrazione nella Bibbia e nella fiction risponde agli stessi criteri etici ed estetici? L’effetto che s’intende produrre sul lettore e lo spettatore è uguale nei due casi? Rileggendo la storia delle due città distrutte dalla pioggia di zolfo e fuoco (Genesi 19,24) confronteremo i due stili di rappresentazione.
Una fiction biblica
Rientrati in Palestina con abbondanti beni dopo aver soggiornato in Egitto, Abramo e Lot si separano pacificamente: lo zio si dirige a ovest e il nipote a est, stanziandosi nella valle del Giordano, un luogo irrigato da ogni parte, prima che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra: era come il giardino del Signore. Alla bellezza del territorio, però, non corrisponde la bontà degli abitanti: ora gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore (cfr Genesi 13,1-13).
Come già accaduto con l’uccisione di Abele, la corruzione prima del diluvio universale e la torre di Babele, l’ingiustizia attira l’attenzione di Dio, risuona in lui come un urlo che sale dalla terra e penetra il cielo: Disse allora il Signore: «Il grido contro Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me. Lo voglio sapere!» (Genesi 18,20-21). L’indagine è affidata a due angeli dalle sembianze umane, i quali, ospitati e protetti da Lot, possono constatare di persona quanto sia irredimibile la malvagità degli abitanti di quelle città .
Genesi 19,1-11
1 I due angeli arrivarono a Sodoma verso sera,
mentre Lot stava seduto alla porta di Sodoma. Al vederli Lot si alzò,
andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. 2 E
disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la
notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete
per la vostra strada». Quelli risposero: «No, passeremo la notte sulla
piazza». 3 Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed
entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto, fece
cuocere pani azzimi e mangiarono. 4 Non si erano ancora
coricati, quand’ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di
Sodoma, si affollarono intorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il
popolo al completo. 5 Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove
sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Portaceli fuori,
perché possiamo abusarne!». 6 Lot uscì verso di loro sulla soglia e, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, 7 disse: «No, fratelli miei, non fate del male! 8
Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo;
lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non
facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio
tetto». 9 Ma quelli risposero: «Tirati via! Costui è venuto
qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a
loro!». E spingendosi violentemente contro quell’uomo, cioè contro Lot,
si avvicinarono per sfondare la porta. 10 Allora dall’interno quegli uomini stesero le loro mani e tirarono Lot in casa con loro e chiusero la porta. 11
Colpirono con la cecità gli uomini che erano alla porta della casa, dal
più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta.
Il seguito del racconto è una specie di remake in piccolo del diluvio universale: lì si era salvato l’unico giusto – Noè con la sua famiglia – e tutto il mondo era stato distrutto; qui si salvano solo Lot e i suoi familiari, mentre Sodoma e Gomorra bruciano sotto una pioggia di fuoco e zolfo.
È evidente la non storicità del testo, anche se non mancano elementi realistici. Non c’è traccia archeologica di città distrutte dal fuoco nella zona a sud del Mar Morto, mentre vi si possono trovare pozzi di bitume, interpretati all’epoca come un residuo di quella pioggia distruttrice. Secondo alcuni il racconto risale al post-esilio e fu composto dagli israeliti di ritorno in Palestina, simboleggiati da Abramo, per rivendicare il diritto a rientrare in possesso delle loro terre nei confronti di quanti erano scampati alla deportazione e nel frattempo se ne erano appropriati, simboleggiati dai sodomiti (cfr Liverani M., Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza, Bari 20042, 275-291). Anche se fosse questa l’origine del testo, la sua forma e il suo contenuto rivelano un’intenzione comunicativa universale, che va oltre i confini di Israele, impegnato all’epoca a confrontarsi con i popoli vicini.
La rappresentazione è in bianco e nero: la malvagità degli abitanti di Sodoma e Gomorra è assoluta, senza possibilità di redenzione, tanto che l’unico giusto è Lot, uno straniero. Rispetto a una tale situazione è da evitare ogni compromesso: la moglie di Lot si volta a guardare le città in fiamme e diventa una statua di sale (cfr Genesi 19,26), a significare la necessità di eliminare da sé qualsiasi tipo di attrazione o legame con quel male, sia esso curiosità, nostalgia, persino pena.
Dio stesso non ha alternativa. Lo si capisce dal dialogo quasi surreale fra Abramo e il Signore, il quale, prima di distruggere le città irredimibili, comunica al suo eletto ciò che sta per fare. Nella prospettiva divina, infatti, è molto importante che il capostipite di Israele e i suoi discendenti imparino a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso (cfr Genesi 18,17-19).
Così assistiamo a un’inversione delle parti, con l’uomo che mette in questione la giustizia di Dio: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città» (cfr Genesi 18,23-26). Con le sue domande, Abramo fa da specchio alla coscienza di Dio, il quale, accettando di contrattare con lui i criteri della sua stessa giustizia, lo rende partecipe della sua scelta e lo coinvolge in un dialogo pedagogico, in modo che interiorizzi l’etica divina. Alla fine il numero di giusti necessari per salvare tutta la città scende da cinquanta a dieci, ma Sodoma e Gomorra non soddisfano neanche questo requisito minimo (cfr Genesi 18,22-33).
Ma qual è il peccato imperdonabile dei sodomiti? Nella storia dell’interpretazione è stato identificato con la volontà di abusare degli stranieri soggiornanti in città. È innegabile il riferimento sessuale del testo, lo dimostra la controproposta di Lot (vv. 5-8), ma non è questo il punto. I profeti, ad esempio, sono consapevoli che il racconto di Genesi 19 è una costruzione letteraria intesa a rappresentare una situazione estrema di male, impossibile da redimere, ma da non prendere in se stessa, bensì come termine di paragone ultimo. Quella fiction biblica serve a misurare la distanza fra la realtà attuale delle città d’Israele e la catastrofe irrimediabile. Inoltre la loro attenzione si concentra sulla questione essenziale del peccato – la violazione del dovere di ospitalità e di protezione del debole – più che sul modo in cui i sodomiti intendono commettere il loro delitto. Solo molto più tardi e in un solo testo viene stigmatizzato l’aspetto sessuale (cfr Giuda 1,7).
Così il profeta Isaia, proprio all’inizio del suo libro, assimila i governanti di Sodoma e Gomorra a quelli di Israele per la loro ingiustizia, causa del giusto sdegno di Dio (cfr Isaia 1,9-17). O il profeta Ezechiele denuncia addirittura il superamento del limite estremo di malvagità, rappresentato dai sodomiti, da parte degli israeliti, tanto che la giustizia e la misericordia di Dio consisteranno ora nel punire il suo popolo e ricostruire Sodoma.
Ezechiele 16,46-55
46 Tua sorella maggiore è Samaria, che con le sue
figlie abita alla tua sinistra. Tua sorella più piccola è Sodoma, che
con le sue figlie abita alla tua destra. 47 Tu non soltanto
hai seguito la loro condotta e agito secondo i loro costumi abominevoli,
ma, come se ciò fosse stato troppo poco, ti sei comportata peggio di
loro in tutta la tua condotta. 48 Per la mia vita – oracolo
del Signore Dio –, tua sorella Sodoma e le sue figlie non fecero quanto
hai fatto tu insieme alle tue figlie! 49 Ecco, questa fu
l’iniquità di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie erano piene di
superbia, ingordigia, ozio indolente, ma la mano del povero e
dell’indigente non divenne forte. […] 53 Ma io cambierò le
loro sorti: cambierò le sorti di Sodoma e delle sue figlie, cambierò le
sorti di Samaria e delle sue figlie; anche le tue sorti muterò di fronte
a loro, 54 perché tu porti la tua umiliazione e senta vergogna di quanto hai fatto: questo le consolerà. 55
Tua sorella Sodoma e le sue figlie torneranno al loro stato di prima.
Samaria e le sue figlie torneranno al loro stato di prima. Anche tu e le
tue figlie tornerete allo stato di prima.
Una fiction non biblica
Mentre la Bibbia spinge la rappresentazione del bene e del male al punto di eliminare le zone grigie perché appaiano solo il bianco e il nero, alcune delle recenti fiction televisive e cinematografiche vanno ancora più in là: sono monocolore, compiono un processo al limite, che dovrebbe condurre a una presa di coscienza. I personaggi messi in scena, infatti, sono tutti malvagi e l’unica differenza è fra il più forte e il più debole. Ma tale operazione raggiunge l’obiettivo di suscitare indignazione e desiderio di legalità e giustizia?
È la differenza del finale il punto discriminante fra i due tipi di narrazione: nella Bibbia Dio distrugge il male irredimibile e lascia in vita un piccolo resto per edificare un mondo nuovo; nelle sceneggiature più recenti, invece, non c’è limite alla malvagità, l’eroe è chi sopravvive affermandosi nella sua capacità di perpetuare i crimini e questo è funzionale alla prosecuzione della serie e di quel modo di rappresentare il mondo.
Così, mentre le città bibliche fungono da termine di paragone per quelle reali, in cui si presume ci siano ancora dei giusti a tenerle in vita, nella fiction scompare il riferimento alla realtà, nonostante l’intenzione di restituirla in tutta la sua crudezza, proprio perché si tratta di una rappresentazione monocolore. L’operazione si risolve nell’ipertrofia del livello estetico, che fagocita quello etico, secondo una tipica tendenza del nostro tempo (cosiddetto) postmoderno. Lo sfondo ideologico degli autori biblici è invece fondamentalmente etico, di solito basato sulla teoria della retribuzione, per cui il giusto è premiato e il malvagio punito. Ma nel caso di Sodoma e Gomorra si va oltre questo semplice schema, affermando che sarebbero sufficienti pochi giusti per salvare tutti e così prospettando una forma più sofisticata di giustizia che scaturisce dal dialogo fra Dio e l’uomo giusto, Abramo. La distruzione delle città è solo l’extrema ratio, necessario preludio al ristabilimento della giustizia (cfr Brueggemann W., Genesi, Claudiana, Torino 2002, 206-212). La fiction contemporanea, invece, riduce la complessità del reale quando presenta la violenza come unica via di soluzione dei conflitti, resa accettabile agli occhi dello spettatore perché i malavitosi si uccidono fra loro. Così finisce per rafforzare l’idea che non ci sia niente da fare e la denuncia si traduce nella militarizzazione del territorio, una pioggia di fuoco e zolfo che fa solo spostare le attività criminali in altri luoghi meno controllati.
Alla fine i più danneggiati sono gli abitanti dei quartieri e delle città segnate dalla malavita organizzata: quelli di “Gomorra” diventano “i camorristi”, come quelli di Sodoma sono diventati “i sodomiti” per una lettura parziale dei testi biblici. Rispetto a tale esposizione mediatica «i residenti non hanno alcuna presa […], anche se vi sono continuamente messi in scena, sprovvisti di alcuna conoscenza critica circa la loro situazione: visibili solamente nei corpi “sporchi” dei loro bambini in mezzo alle immondizie, nelle donne in pigiama in pieno giorno, nei volti delle foto segnaletiche della cronaca nera, nei ritratti esotici delle loro attività informali. La loro ipervisibilità mediatica va di pari passo con il loro anonimato e il loro silenzio, desingolarizzati, privati di ogni iniziativa personale che non sia quella dei comportamenti violenti» (cfr Fava F., Lo Zen di Palermo. Antropologia dell’esclusione, FrancoAngeli, Milano 2008, 336).
Anche lo spettatore rischia di rimanere irretito dalla rappresentazione. Nella Bibbia, infatti, la narrazione spinge alla riflessione e alla presa di coscienza etica: Abramo interroga Dio e discute con lui i criteri di giustizia; i profeti e il popolo si confrontano richiamando alla memoria Sodoma e Gomorra. Nella fiction odierna con chi dialoga lo spettatore? L’unico interlocutore è il criminale e il registro della comunicazione è estetico, quindi chi guarda è sollecitato sul piano emotivo: può sentirsi buono perché odia il malvagio e gode nel vederne la fine, ritenendosi per questo al sicuro; oppure può ammirare quegli uomini spietati e non si accorgerà di avere i loro stessi sentimenti violenti. Ecco perché nella fiction biblica la moglie di Lot diventa una statua di sale: neanche il voyeur ha scampo.
Update RequiredTo play the media you will need to either update your browser to a recent version or update your
Flash plugin.
© FCSF 