Come era prevedibile, l’immigrazione è uno dei temi più scottanti della campagna elettorale. I fatti di Macerata hanno gettato benzina sul fuoco, ma dietro di essi c’è un’idea inconfessata dell’Africa e degli africani come minaccia oscura e ancestrale. Vorrei qui individuare alcuni motivi dell’ostilità anti-africani e anti-immigrati.
Il primo è la percezione di un pericolo per l’ordine sociale. Non è un caso che, attenuata la sindrome dell’invasione per il calo degli sbarchi, ora l’enfasi sia tornata sulla criminalità e sul degrado urbano (Galli della Loggia sul Corriere della Sera ne è un testimone esemplare). Gli immigrati, e segnatamente gli africani poveri, danno fastidio per il solo fatto di circolare nelle nostre città, soprattutto se in gruppo.
Di qui un secondo motivo, che rimanda ai razzismi del passato: il vittimismo. Gli xenofobi, come nel caso di Macerata, si ritengono autorizzati alla violenza verbale, simbolica e talvolta anche fisica verso le minoranze perché si sentono vittime di soprusi da parte delle minoranze: invasioni, aggressioni fisiche, violenze sessuali o altro ancora.
Molto eloquente al riguardo è un terzo motivo: la privatizzazione dello spazio pubblico. Lo dimostra lo slogan “padroni a casa nostra”. Le città, le loro piazze e i parchi vengono ricodificati come proprietà di qualcuno, i residenti storici, da cui dovrebbe essere escluso qualcun altro, i nuovi arrivati.
Più razionale è un argomento più specifico: la competizione per le risorse scarse dello Stato sociale. Qui domina l’idea che l’accoglienza dei rifugiati abbia tolto qualcosa agli italiani, soprattutto quelli in difficoltà. Come se prima dei rifugiati fossero in vigore politiche generose per disoccupati, poveri e senza casa, cancellate per accogliere i nuovi arrivati.
Al fondo di tutto possiamo scorgere l’insicurezza e l’impoverimento seminati dai processi che in sintesi possiamo porre sotto l’etichetta di una globalizzazione mal governata. Ma darne la colpa agli africani sbarcati negli ultimi anni richiama sinistri eventi del passato: in tempi di crisi, scaricare le colpe sul capro espiatorio delle minoranze indifese.