«Gesuiti, non abbiate paura della politica»: intervista al Superiore Generale della Compagnia di Gesù

Pubblichiamo una lunga intervista al Superiore Generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, realizzata da John Dardis, Presidente della Conferenza dei gesuiti europei, e diffusa dall'Ufficio stampa della Curia generalizia della Compagnia di Gesù. Tema della conversazione: le prospettive dell'apostolato intellettuale dei gesuiti nel mondo.
 
Padre Generale, La ringrazio per il tempo che mi concede. Riguardo alle prospettive delle nostre facoltà di filosofia e teologia, delle nostre università, delle nostre riviste culturali, secondo Lei che cosa si aspetta la Chiesa dai gesuiti?

Piuttosto che pensare a ciò che i Vescovi o la Chiesa, in astratto, si aspettano da noi, dovremmo pensare a cosa Dio vuole che facciamo nelle università. Perché è questo genere di discernimento quello che alla fine sarà d'aiuto alla Chiesa. Talvolta i Vescovi pensano che i gesuiti sono presenti nelle università, e finché ci saranno e porteranno avanti il lavoro pastorale, andrà bene così. Ma questo non ci basta. Penso che l'università sia un'istituzione sociale, come è stato detto chiaramente in America Latina. Inoltre, in quanto istituzione sociale, l'università ha una funzione nei confronti della società, che giustifica il motivo per cui noi gesuiti siamo impegnati nelle università. Tramite l'università, vogliamo essere d'aiuto a una determinata società quanto ai suoi valori, alle sue prospettive, ai suoi ideali e così via. Perciò, se siamo nelle università dovremmo chiederci continuamente se stiamo assolvendo a questa funzione sociale, e verificare il modo in cui lo stiamo facendo, a volte tramite gli studenti, a volte guardando i risultati della nostra educazione e la vita dei nostri studenti, ecc. Nel caso in cui non stessimo assolvendo alla nostra funzione sociale, dovremmo valutare se occuparci di qualcosa d'altro.
 
Ricollegandomi alla questione della funzione sociale, noi siamo molto impegnati nei campi della filosofia e della teologia; riguardo alla politica, all'economia, alla sociologia e a tutta quest'area vuole rivolgere qualche messaggio ai Provinciali e ai Superiori maggiori? 

Anche nel passato, l'ideale era sempre di essere presenti dove vi fossero problemi umani. E, sicuramente, i problemi dell'umanità di oggi non sono di ordine teologico o filosofico. Dobbiamo perciò formare persone che siano presenti con intelligenza nelle aree in questione, che sono quelle della politica, dell'economia, della sociologia, dell'antropologia. Quindi, penso che le nostre istituzioni debbano impegnarsi per la formazione dei gesuiti o per un maggiore sviluppo della collaborazione con i laici, di modo da avere l'antropologo giusto, il sociologo giusto o l'economista giusto al posto giusto, e non chiunque, solo perché è famoso o per motivi del genere.
 
Che cosa pensa dell'influsso sui politici, gli opinion leaders, i giornalisti? Pensa che siamo abbastanza ambiziosi per raggiungere le persone che hanno un reale influsso sulla società?

Penso che nella Compagnia di Gesù vi sia il timore della politica. Temiamo talmente di essere immischiati nella politica, da temere perfino i politici; e i politici sono persone come lei e me. Perché non possiamo invitarli al dialogo, a riconsiderare la visione che hanno dei loro doveri politici, e così via? Penso che l'università sia il luogo migliore per invitare i politici a un dialogo più profondo, perché gli standard politici di tutto il mondo stanno a poco a poco declinando. 
I politici sono sempre molto preoccupati del consenso elettorale e fanno molto poco per la gente, la quale dovrebbe essere il loro interesse principale. Un amico, che ho messo in contatto con il padre Michael Garanzini [Segretario per l'Educazione Universitaria della Compagnia di Gesù, ndr], ci ha suggerito di organizzare dei forum, perché le università della Compagnia in particolare dovrebbero essere luoghi in cui i politici possano andare a parlare. E questi, alla fine, forse dopo un paio d'anni, potrebbero svilupparsi in un qualche tipo di istituto, di piccole dimensioni ma con una chiara funzione sociale. Questi istituti potrebbero avere ulteriori sviluppi, secondo quanto la storia o i talenti dei nostri compagni riusciranno a realizzare.

Negli ultimi due anni, Lei è diventato un sostenitore dell'e-learning, e penso che abbia seguito anche dei corsi online. Come mai questo interesse?

Il mio interesse per l'e-learning è in qualche modo marginale. Non ho seguito quei corsi perché volevo sviluppare l'e-learning, ma più per interesse personale. Un corso era sulla giustizia, un altro sulla globalizzazione. Ho imparato molto su queste materie, ma ho appreso ancora di più sulla pedagogia, sul modo in cui i docenti si rapportano agli studenti. Il primo corso, quello sulla giustizia, aveva come titolo la giustizia ma, in realtà, trattava di filosofia della politica, filosofia politica. Ma il docente ha saputo gestire un numero davvero considerevole di studenti; ben più di un migliaio. Ed è così da 30 anni. Inoltre, ha creato un'interazione tra gli studenti. E' stato un grande insegnamento. Siamo abituati ad ascoltare le lezioni, ma qui si è trattato di una riflessione a cui la classe ha partecipato, e gli scambi sono avvenuti per via digitale. Ho imparato davvero tanto su questo e penso che anche noi potremmo farlo. Perché non sviluppare anche noi corsi di e-learning, nei quali potremmo disporre dei migliori teologi, filosofi o esperti in qualsiasi materia, a livello mondiale, e offrire un corso in CD?
L'accordo concluso a Boston tra Harvard e il MIT (Massachusetts Institute of Technology), secondo uno dei presidenti, era appunto un impegno a fornire un'istruzione a chiunque abbia un computer. Non è perciò questione di acquisire prestigio o di fare più soldi, ma di diffondere ciò che abbiamo ricevuto al maggior numero possibile di persone. Penso che questo darà accesso all'istruzione a così tante persone, che ne sarà valsa la pena.

Parlando ora di spiritualità ignaziana, lei l'ha messa in rilievo un paio d'anni fa; allora disse che si trattava di una grossa preoccupazione, che riguardava la formazione dei gesuiti sotto questo aspetto. Oggi qual è la sua impressione a tale riguardo?

La mia impressione è che dobbiamo superare la situazione attuale. Attualmente si ha un primo approccio alla spiritualità durante il noviziato, e poi la si dimentica fino all'ultima fase del cammino di formazione, il cosiddetto "terz'anno"; e questo non va bene. Perciò, se vogliamo gesuiti che lo siano al 100%, dobbiamo fare un programma che fornisca accesso alle fonti della spiritualità, di cui disponiamo, per i nostri compagni. Un docente di filosofia negli Stati Uniti mi ha detto: "Io faccio ciò che voi gesuiti dovreste fare". Vale a dire usare l'insegnamento di Sant'Ignazio nelle classi di filosofia per l'ermeneutica, perché solo un esiguo numero di autori hanno gli Esercizi, che indicano il modo di rapportarsi alle cose, inoltre un'Autobiografia, che illustra come lui ha fatto; le numerose lettere ad altri per indicare come lo dovrebbero fare; e le Costituzioni, che spiegano come un corpo incarna tutto questo. In altre parole, noi abbiamo in Sant'Ignazio fonti che non stiamo utilizzando appieno, che non stiamo usando, e che ci potrebbero essere di grande aiuto.
Ma la cosa principale è che i nostri scolastici (gesuiti in formazione, ndr) dovrebbero stare maggiormente a contatto con queste fonti per tutta la durata dei loro studi; non solo all'inizio e alla fine.
 
Per concludere, parliamo delle Case Romane; si tratta ovviamente di una sua grande preoccupazione. Sono una missione richiesta dal Santo Padre. L'Europa ha tradizionalmente dato molte persone alle Case Romane e continua a farlo. In Europa i numeri delle vocazioni sono in diminuzione. Che cosa ne pensa? Altre parti del mondo sono in grado di dare un maggiore aiuto?

Penso che l'attuale raggruppamento di tutti i docenti europei di fama sia insostenibile. Come lei ha appena detto, i numeri delle vocazioni sono in diminuzione. In realtà, nelle tre istituzioni di cui ci occupiamo a Roma abbiamo un numero sempre crescente, rispetto a prima, di latinoamericani, africani e persone provenienti da altre parti del mondo. Questo significa che le fonti del sapere non sono limitate all'Europa, grazie a Dio. Ci sono molte altre fonti di riflessione, e persone con importanti titoli di studio e di grande intelligenza, che possono infondere vita a queste istituzioni. Allo stesso tempo, penso che dovremmo cominciare a pensare quale sarà il miglior servizio che potremo offrire alla Chiesa nel futuro. E forse dovremo pensare a una rete di istituzioni, non necessariamente gestite da noi; ma perlomeno queste istituzioni che i Papi hanno affidato alla Compagnia devono impegnare ogni risorsa a nostra disposizione, e tali risorse non si trovano necessariamente in Europa. E' per questo che dobbiamo guardare oltre i confini europei.
 
Padre Generale, La ringrazio molto per il tempo che mi ha dedicato; vuole rivolgere qualche altra parola o messaggio ai Provinciali e ai Superiori maggiori?

Sì: continuare a pensare, perché è lì dove incontreremo Dio e la sapienza. Ultimamente sono affascinato dalla sapienza, e questo è il motivo per cui penso che dobbiamo cercare ogni genere di sapienza. È appena uscito un libro, che sto leggendo proprio ora, del Padre Paul Valadier, l'ex direttore di Études, su Sapienza e Politica - Religione e Politica, e mi piace che sia incentrato sulla ricerca della sapienza. Ma vi è qualcosa che menziona solo en passant, ed è che abbiamo bisogno della saggezza dell'Asia, di quella dell'Africa, di quella dell'America Latina. Ecco perché dobbiamo continuare a cercare, cercare e cercare.

20 ottobre 2015
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