All'età di 88 anni è morto papa Francesco. Dal viaggio a Lampedusa alla speranza trasmessa durante la pandemia, dall'impegno per la pace all'enciclica Laudato si', i dodici anni del suo pontificato hanno segnato l’inizio di un importante cambio di paradigma nella missione della Chiesa nel mondo.
«Vi esorto a non scoraggiarvi: all’impegno per la giustizia e per la cura della casa comune è associata una promessa di gioia e di pienezza. Molti lo possono testimoniare e certo anche voi avete modo di sperimentarlo nel vostro lavoro: mettersi dalla parte dei poveri è un incontro con sofferenze e ingiustizie, ma anche con una felicità genuina e contagiosa». Con queste parole si concludeva il discorso che papa Francesco il 6 dicembre 2019 aveva preparato per l’udienza con la redazione di Aggiornamenti Sociali in vista dei settant’anni di pubblicazione della rivista (gennaio 1950). Si ritrovano molti temi, primo fra tutti quello della gioia, che sono stati centrali nel pontificato di Jorge Mario Bergoglio.
La sua elezione nel 2013 ha segnato una novità significativa per la Chiesa. Il primo papa proveniente dall’America latina, il primo papa gesuita, si è da subito fatto conoscere e amare per la capacità di comunicare in modo immediato e semplice, per la precisa visione della missione a cui è chiamata la Chiesa nel nuovo millennio, concretizzata attraverso una serie di gesti, come andare a vivere a Santa Marta o compiere il primo viaggio apostolico a Lampedusa. La scelta del nome Francesco, in onore del santo di Assisi, si inserisce in questa prospettiva: è l’espressione di una Chiesa vicina ai poveri, attenta alla cura della casa comune, protesa al dialogo ecumenico e interreligioso, animata dal desiderio di abitare le periferie geografiche ed esistenziali del mondo contemporaneo.
Queste diverse dimensioni, che possono sembrare tra loro lontane, sono in realtà integrate dalla profonda tensione missionaria che ha animato papa Francesco orientandone le scelte. Fin dai suoi primi discorsi, e ancor di più nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) del 2013, vero e proprio documento programmatico del suo pontificato (come lui stesso afferma in EG, n. 25), papa Francesco ha promosso un modello di Chiesa in uscita, in grado di prendere l’iniziativa in modo originale e creativo, che cammina a fianco delle persone. La metafora dell’ospedale da campo ben sintetizza questa impostazione pastorale, che si ritrova appieno nel Giubileo straordinario della misericordia del 2016: una Chiesa che accoglie, cura e accompagna, anziché giudicare e condannare.
La prospettiva sinodale
La missione è il perno del modo in cui è concepita e di conseguenza organizzata la Chiesa. In questa prospettiva si colloca l’impegno per una Chiesa sinodale, che rappresenta uno degli assi portanti del pontificato di papa Francesco, fin da quando, nel 2015, affermò che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2024). Il Sinodo è una delle istituzioni che più sono state rinnovate lungo il pontificato di papa Bergoglio: è stato trasformato da evento puntuale a processo ecclesiale che si distende nel tempo, con una fase preparatoria di ascolto del Popolo di Dio, a cui segue la celebrazione dell’Assemblea sinodale e una fase di attuazione delle sue conclusioni. Anche i criteri di composizione dell’Assemblea sono cambiati, prevedendo la possibilità di partecipazione come membri a pieno titolo anche di laici e consacrati non sacerdoti, donne e uomini. Il processo sinodale diventa così il modello e il cantiere di costruzione di una Chiesa vicina alla gente, aperta alla partecipazione e inclusiva, al cui interno possono trovare posto «tutti, tutti, tutti», secondo uno slogan che papa Francesco ha spesso ripetuto. L’orizzonte della sinodalità delinea allora un percorso di conversione e riforma della Chiesa, necessario perché «Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione» (ivi).
Nella stessa linea, papa Bergoglio ha avviato una profonda riforma della Curia romana con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium (2022), pensata per rendere le strutture centrali della Chiesa più orientate alla missione evangelizzatrice e capaci di entrare in relazioni di autentica collaborazione, a servizio della comunione tra tutte le Chiese nell’unica Chiesa.
In questo cammino si riconosce l’influenza esercitata dal concetto chiave del poliedro (cfr EG 236), che esprime una visione inclusiva della comunità cristiana, in cui le differenze non vengono annullate, ma valorizzate nella loro complementarità. La diversità è vista come un’opportunità per arricchire la Chiesa, in una unità profonda che non è uniformità.
L’impegno per la giustizia
Per papa Bergoglio la tensione missionaria non è circoscritta ai settori a cui era tradizionalmente associata, ma dà forma a ogni dimensione della vita della Chiesa. In questa prospettiva si comprende l’importanza cruciale assegnata alla lettura dei segni dei tempi attraverso l’esercizio del discernimento, presentato con tre verbi di immediata comprensione – riconoscere, interpretare, scegliere (EG n. 51) –, che aiutano a leggere la realtà contemporanea e a prepararsi per un’azione incisiva e consapevole.
Particolarmente profondo è stato poi l’impatto avuto dai quattro principi per la convivenza sociale presentati nel documento (EG, nn. 217-237): il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte. Sono stati il motore di un rinnovato confronto su temi urgenti e tante volte trascurati nelle comunità ecclesiali (in particolare, la conflittualità), sollecitando un ripensamento di mentalità e modalità operative sclerotizzate. È il caso, ad esempio, dell’attenzione riservata all’avvio di processi, che ha profondamente interrogato e ha rimesso in discussione in diversi casi la gestione di un ordinario stanco e poco vitale, in cui anche inconsapevolmente prevaleva il mantenimento dello status quo di attività, relazioni e poteri. Più in generale, questi principi sono presenti in filigrana nelle posizioni assunte da papa Francesco su temi particolarmente sensibili, come le migrazioni, la tutela del pianeta, il rispetto della dignità della persona nel mondo del lavoro.
Leggendo con maggiore attenzione i documenti e i discorsi di papa Francesco emerge con forza che la sua maniera di concepire la riflessione e l’azione della Chiesa in campo sociale è caratterizzata da una prospettiva di profonda integrazione tra spiritualità e impegno per la giustizia. Non è un caso che nell’enciclica Laudato si’ risuoni in modo molto forte l’invito alla conversione ecologica. Dietro questa espressione vi è la profonda convinzione che non è possibile un cambiamento duraturo e attento al bene comune a livello politico, sociale, culturale, che non trovi radice e sostegno in un rinnovamento interiore. Questo cambiamento è guidato da un nuovo paradigma di giustizia, l’ecologia integrale, che risponde alle domande del nostro tempo e ha il suo perno nella constatazione che «tutto è connesso». Il legame tra la questione ecologica e la giustizia è ulteriormente affermato nella Laudate Deum, l’esortazione apostolica preparata in vista della COP28 di Dubai, in cui papa Francesco fa proprie le prospettive e le rivendicazioni del Sud globale.
In un mondo senza pace
Sul piano politico, Francesco si è dovuto misurare con un tempo di profonda incertezza. Il ritorno della guerra in Europa, il susseguirsi di crisi nel Medio Oriente (da ultimo, il riaccendersi del conflitto tra Israele e Hamas; la caduta di Assad in Siria; la crisi iraniana), i tanti conflitti dimenticati che rappresentano «una guerra mondiale a pezzi», lo sgretolarsi del sistema multilaterale che ha retto le relazioni internazionali negli ultimi ottant’anni, hanno messo il tema della pace al centro del magistero di papa Francesco in un modo drammaticamente attuale. La sua diplomazia si è distinta per l’impegno nella mediazione di conflitti internazionali e per la denuncia delle conseguenze disumane delle guerre in termini di vite umane distrutte, di danni all’ambiente, di inasprimento delle disuguaglianze sociali ed economiche.
Inoltre, in un contesto globale caratterizzato da crescenti derive populiste, papa Francesco ha operato una netta distinzione tra un’autentica vicinanza al popolo e la strumentalizzazione delle sue paure per fini politici. Nel suo discorso ai movimenti popolari in Bolivia nel 2015, ha denunciato il rischio che le istanze dei poveri vengano manipolate per logiche di potere, ribadendo invece il valore della loro partecipazione attiva alla vita sociale ed economica. Netto in tal senso è un passaggio dell’enciclica Fratelli tutti del 2020: «Il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti. In entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture» (n. 155). In chiara continuità con la Laudato si’, la Fratelli tutti approfondisce le implicazioni del «tutto è connesso», esplorando il legame che unisce gli esseri umani, rendendoli fratelli e sorelle, e richiamando la politica alla sua dimensione più propria di servizio per il bene comune, con una particolare attenzione ai membri più fragili delle nostre società e a chiunque sia “altro”: straniero, lontano, escluso.
«Siate pastori con l’odore delle pecore»
Questa frase fu pronunciata da papa Francesco il 28 marzo 2013, poche settimane dopo l’elezione a pontefice. L’immagine è chiara e immediata, trasmette un messaggio forte di prossimità alle persone, che papa Francesco per primo ha vissuto in svariate occasioni.
Francesco ha saputo anche farsi interprete delle sfide poste dal presente con uno stile diretto e privo di retorica, capace di interpellare credenti e non credenti. La preghiera in una piazza San Pietro deserta in piena pandemia è un esempio che tutti ricordiamo. Nel silenzio assordante di quella sera, rotto solo dalle sirene delle autombulanze, le sue parole hanno risuonato come un invito forte alla speranza, che non si sottrae alla durezza della realtà, ma non si lascia neanche vincere dal senso di impotenza e dalla rassegnazione. In un gesto altamente simbolico, il Papa ha mostrato la profonda vicinanza con quanti soffrono e la possibilità di un riscatto.
Al termine di dodici anni di pontificato, il segno di Francesco appare indelebile e per questo è profonda la gratitudine per il modo in cui ha svolto il suo servizio come vescovo di Roma. Ha restituito alla Chiesa una dimensione più umana, una voce più profetica e un cuore aperto a tutti coloro che sono in ricerca. Coerente con quanto aveva scritto nell’Evangelii gaudium, ha avviato diversi processi all’interno della Chiesa, suscitando speranze e timori, impazienza per i tempi lunghi e anche opposizioni, in particolare su questioni tradizionalmente “sensibili” per la compagine ecclesiale, quali il ruolo e il contributo delle donne, o la pastorale dei divorziati risposati e delle persone LGBTQ+. Non tutte le iniziative avviate si sono concluse. Di sicuro resta ancora da completare la traversata più importante immaginata da papa Francesco: camminare come Chiesa verso un profondo rinnovamento delle forme e delle strutture, per ritrovare la dimensione missionaria e declinarla in una maniera che sia sensata per il tempo in cui viviamo. Di fronte a un compito così forte non siamo però senza bussola: alla fine del suo pontificato risuona con forza l’invito a sperimentare e annunciare la gioia del Vangelo, che è al cuore della vita e della missione della Chiesa.
